Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9952 del 20/04/2017
Cassazione civile, sez. III, 20/04/2017, (ud. 23/02/2017, dep.20/04/2017), n. 9952
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21074/2014 proposto da:
F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE
SANTO, 2, presso lo studio dell’avvocato SIMONA CARLONI,
rappresentato e difeso dall’avvocato DANIELA DENAROSI, giusta
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA (già NUOVA TIRRENA SPA), in persona del
Procuratore Speciale Dott. R.P., elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA ORAZIO 3, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
GRAZIOSI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in
calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
C.F.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 770/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,
depositata il 07/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
23/02/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato SIMONA CARLONI per delega;
udito l’Avvocato ROBERTO FACCINI per delega.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. F.A., rimasto vittima d’un sinistro stradale, nel (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Arezzo, sezione di Montevarchi, C.F. e la Nuova Tirrena s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in Groupama s.p.a.; d’ora innanzi, “la Groupama”), e chiedendone la condanna al risarcimento del danno.
2. Il Tribunale di Arezzo con sentenza 20.1.2011 n. 13 accolse la domanda.
La sentenza venne appellata in via principale dalla Groupama, ed in via incidentale da F.A..
La Corte d’appello di Firenze con sentenza 7.6.2013 n. 770, accolse il gravame dell’assicuratore e, per quanto in questa sede ancora rileva:
(-) attribuì al danneggiato una corresponsabilità del 20%;
(-) rigettò la domanda di risarcimento del danno patrimoniale per perdita di incarichi professionali, ritenendola non provata.
3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da F.A., con ricorso fondato su due motivi.
Ha resistito con controricorso la sola Groupama.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo il ricorrente (pur formalmente richiamando il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) denuncia che la sentenza impugnata avrebbe violato l’art. 2054 c.c. e art. 148 cod. ass..
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe malamente valutato le prove, dalle quali emergeva una responsabilità esclusiva di C.F..
1.2. Il motivo è manifestamente inammissibile. Esso, infatti, sollecita da questa Corte una nuova e diversa valutazione, rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, della deposizione del testimone Fr.An., delle fotografie dei luoghi eseguite dalla polizia municipale, ed in definitiva domanda una diversa ricostruzione della dinamica del sinistro, richiesta che esula dal perimetro dei poteri di questa Corte.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 245 e 345 c.p.c..
Ad onta dei non pertinenti richiami alle disposizioni appena citate, il ricorrente nella sostanza si duole di ciò: che la Corte d’appello dapprima ha rigettato le richieste istruttorie con le quali intendeva provare l’esistenza del danno patrimoniale da lucro cessante; e quindi ha rigettato la relativa domanda perchè non provata.
2.2. Prima di esaminare il motivo nel merito, v’è da rilevare come l’indicazione delle norme che si assumono violate non sia coerente con l’errore effettivamente denunciato.
Il ricorrente infatti lamenta formalmente la violazione delle norme sul contenuto dell’ordinanza ammissiva della prova testimoniale (art. 245 c.p.c.) e sul divieto di domande nuove in appello (art. 345 c.p.c.), che in nessun modo vengono in rilievo nel presente giudizio. Tuttavia l’illustrazione del motivo espone un tipico vizio di illogicità manifesta, che integra una violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (come rilevato, in motivazione, da Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Questo errore nell’indicazione delle norme che si assumono violate, tuttavia, non è di ostacolo all’esame del motivo in esame.
Infatti, in virtù del principio jura novit curia, l’erronea indicazione delle norme che il ricorrente assume violate non è d’ostacolo alla individuazione d’ufficio, da parte della Corte, delle norme effettivamente applicabili, a condizione che il ricorrente esponga comunque con chiarezza l’errore di cui si duole (cfr. Sez. U., Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).
Nel caso di specie, l’illustrazione contenuta nelle pp. 31-33 del ricorso principale è sufficientemente chiara nel prospettare l’adozione, da parte del giudice d’appello, d’una motivazione palesemente incongrua: e quindi il motivo è ammissibile, previa qualificazione d’ufficio come denuncia della violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
2.3. Nel merito, il motivo è fondato.
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053/14, cit.), anche dopo l’abrogazione della possibilità di impugnare per cassazione la sentenza di merito malamente motivata, esistono casi eccezionali in cui il vizio di motivazione resta censurabile in sede di legittimità: e segnatamente quando la motivazione manchi del tutto, ovvero quando sia irresolubilmente contraddittoria. Si tratta, per usare il linguaggio delle Sezioni Unite, di casi in cui la motivazione scende al di sotto del “minimo costituzionale” preteso dall’ordinamento, e costituiscono perciò violazione dell’obbligo stesso di motivare i provvedimenti giurisdizionali, imposto dall’art. 132 c.p.c..
2.4. Nel nostro caso, la Corte d’appello doveva giudicare la domanda d’una persona che, assumendo di essere un libero professionista, di essere rimasto invalido, e di avere dovuto a causa della malattia rinunciare a svolgere incarichi già conferitigli, ovvero a rinunciare ad incarichi che verosimilmente gli sarebbero stati conferiti, aveva chiesto di provare l’esistenza di tali incarichi, e la rinuncia forzosa ad essi.
Tali istanze istruttorie, formulate in primo grado e ritenute superflue dal Tribunale, che accolse la domanda, erano state riproposte in appello ex art. 346 c.p.c..
La Corte d’appello, senza provvedere su quelle istanze di prove testimoniali (nè per ammetterle, nè per rigettarle), ha rigettato la domanda ritenendola non provata. Per di più, ha ritenuto insufficienti i documenti prodotti dall’attore perchè consistenti in “dichiarazioni neppure confermate in giudizio”: quasi a lasciar intendere che, se l’autore di quei documenti fosse stato chiamato a deporre come testimone, il giudizio sulla domanda di risarcimento sarebbe potuto essere diverso.
Una motivazione siffatta effettivamente si colloca al di sotto del “minimo costituzionale” imposto da Sez. Un. 8053/14, perchè rifiuta di ammettere quel che contemporaneamente esige (come già ritenuto da questa corte: Sez. U., Sentenza n. 789 del 29/03/1963).
2.5. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, la quale nel riesaminare la domanda di risarcimento del danno patrimoniale si atterrà al seguente principio di diritto:
“Viola il dovere costituzionale minimo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali il giudice che dapprima non esamina (nè per accoglierle, nè per rigettarle) le prove richieste dalla parte, e poi rigetta la domanda ritenendola non provata”.
3. Le spese.
Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio.
PQM
la Corte di Cassazione:
(-) rigetta il primo motivo di ricorso;
(-) accoglie il secondo motivo ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2017