Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9950 del 26/04/2010

Cassazione civile sez. I, 26/04/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 26/04/2010), n.9950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9982-2008 proposto da:

B.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SAN GODENZO 59, presso l’avvocato AIELLO GIUSEPPE, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositato il

13/02/2008, n. 400/2007 R.G.V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 17.10.2007, B.A. adiva la Corte di appello di Catania chiedendo che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrispondergli l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848. Con decreto del 6-13.02.2008, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore dell’istante, a titolo di equo indennizzo del danno non patrimoniale, della somma di Euro 2.600,00, nonchè al pagamento della metà delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 725,00, di cui Euro 25 per esborsi, Euro 300,00 per diritti ed Euro 400,00 per onorari.

La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che il B. aveva chiesto l’equa riparazione del danno non patrimoniale subito per effetto dell’irragionevole durata del processo civile in tema di risoluzione per li. inadempimento di un contratto preliminare di compravendita immobiliare e di conseguenti domande restitutorie e risarcitorie, da lui introdotto con atto di citazione del 22.02.1992, dinanzi al Tribunale di Gela, e deciso in primo grado con sentenza del 25.10.2004 ed in appello con sentenza depositata il 27.06.2007, a distanza di circa due anni dalla prima udienza celebrata il 1.06.2005;

– che detto processo, in appello era durato per un tempo congruo, mentre in primo grado, essendosi protratto per 12 anni, 5 mesi e 25 giorni, aveva ecceduto il triennio di durata ragionevole;

– che, peraltro, doveva essere addebitato al ricorrente il periodo, pari complessivamente ad anni 5 e mesi 2, dei rinvii ai quali, se chiesti dalla controparte non si era opposto o che aveva con la stessa concordati, ragione per cui il periodo d’irragionevole ritardo indennizzabile doveva essere determinato in 4 anni, 3 mesi e 25 giorni;

– che per il periodo d’irragionevole ritardo di definizione il chiesto indennizzo del danno morale doveva essere equitativamente liquidato nella misura di circa Euro 600,00 ad anno di ritardo, tenuto conto del fatto che il 1.06.1994, nel corso del giudizio di primo grado il B. aveva conseguito, in base ad ordinanza emessa ai sensi dell’art. 186 bis c.p.c., l’importo da lui preteso in restituzione dai convenuti (e che questi avevano già fatto oggetto di offerta formale alla prima udienza dinanzi al G.I.), così ottenendo più che ampiamente il soddisfacimento dell’unica sua ragione creditoria fondata, come accertato nella decisione d’appello;

– che l’accoglimento solo parziale della pretesa giustificava la compensazione della metà delle spese processuali e la condanna dell’Amministrazione al pagamento della residua parte.

Avverso questo decreto il B. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 1.04.2008, affidato a tre motivi ed illustrato da memoria. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso notificato il 9.05.2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso il B. denunzia:

1. “Violazione e mancata applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 sub 1, artt. 3 e 4 con insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”, formulando conclusivamente il seguente quesito di diritto “Se il giudice di merito, nella valutazione della durata eccedente quella ritenuta normale, dovrà valutare o meno tutto il procedimento nel suo complesso, dall’inizio alla fine, e non una singola parte di esso, limitata al giudizio di primo grado”.

2. “Violazione e mancata applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, e art. 4 con insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)” formulando conclusivamente il seguente quesito di diritto “Se il giudice del merito, nella valutazione della durata del processo eccedente quella ritenuta normale, dovrà tenere conto o meno, per i rinvii chiesti dalle parti, se essi rientrino nella necessaria fisiologia del processo e in ogni caso, se siano stati concessi in misura eccedente la normale esigenza ed addebitabile alla organizzazione giudiziaria” Il primo ed il secondo il motivo di ricorso sono inammissibili in quanto sorretti da quesiti che essendo del tutto generici ed inidonei a chiarire l’errore di diritto imputato al decreto impugnato in riferimento alla concreta fattispecie, si pongono in violazione di quanto prescritto dall’art. 366-bis c.p.c..

3. “Violazione e mancata applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 sub 1 e art. 3 sull’ammontare dell’equa riparazione, e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.

La doglianza, concernente l’inadeguatezza dell’indennizzo liquidato per il sofferto danno non patrimoniale, merita favorevole apprezzamento.

Secondo la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito. Pertanto, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della legge 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata (cfr Cass. 200016086).

Nella specie, dunque, la determinazione del ristoro del danno non patrimoniale nella ridotta somma di Euro 600,00 ad anno di ritardo irragionevole, per quanto adeguatamente argomentata, non si pone in relazione ragionevole con quella – tra i 1.000.00 e i 1.500,00 Euro – accordata in sede sovranazionale negli affari consimili.

Accolta, dunque, la censura in questione, ben può procedersi sulle esposte premesse, alla cassazione in parte qua dell’impugnato decreto ed alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nessun accertamento di fatti essendo residuato alla cognizione di questa Corte.

Quindi, considerato il periodo di incongruo ritardo di definizione pari a 4 anni 4 anni, 3 mesi e 25 giorni ed individuato, con riguardo agli standards CEDU ed alle recepite ragioni che la Corte distrettuale ha posto a fondamento della sua pronuncia, nella somma di Euro 750,00 ad anno per il primo triennio ed in Euro 1.000,00 ad anno per il periodo successivo, il parametro indennitario di base per la riparazione del danno non patrimoniale subito dal B., devesi riconoscere all’istante l’indennizzo complessivo di Euro 3.585,00 oltre agli interessi legali con decorrenza dalla domanda (cfr. Cass. 200608712).

Quanto alla regolamentazione delle spese, a carico della medesima Amministrazione della Giustizia soccombente va posto il pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo, adottando la tariffa per processo svoltosi innanzi alla Corte di appello.

L’esito del ricorso giustifica la compensazione nella misura di 1/2 delle spese del giudizio di legittimità, e la condanna dell’Amministrazione intimata al pagamento della residua parte, liquidata come in dispositivo. Spese distratte.

PQM

Accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso del B., cassa in parte qua il decreto impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero della Giustizia ai pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 3.585,00 con interessi legali dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate in complessivi Euro 1.150,00 (di cui Euro 720,00, per onorari ed Euro 50,00 per esborsi), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge. Compensa per la metà le spese del giudizio di legittimità e condanna il Ministero della Giustizia al pagamento della residua parte, liquidata in complessivi Euro 550,00, di cui L. 50,00, per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2010

 

 

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