Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9950 del 05/05/2011

Cassazione civile sez. VI, 05/05/2011, (ud. 31/03/2011, dep. 05/05/2011), n.9950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.F., elettivamente domiciliato in Roma, Corso Trieste

87, presso l’av. Antonucci Arturo, che con l’avv. Roberto Vassalle lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a. in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma, via Monte delle

Gioie 13, presso l’avv. Valensise Carolina, che con l’avv. Mara Lori

la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 1134/09 del

22.12.2009;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza del 31.3.2011 dal

Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. Vassalle per il ricorrente e Valensise per la

resistente;

E’ presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che nulla osserva.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il relatore designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c. rilevava quanto segue: ” L.F. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi avverso la sentenza con la quale la Corte di Appello di Brescia aveva confermato la decisione di primo grado del Tribunale di Mantova, che aveva rigettato le domande di nullita’ di operazioni di borsa (acquisto di obbligazioni argentine) e di risarcimento del danno dallo stesso proposte nei confronti della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, con la quale sarebbe intercorso il rapporto di negoziazione. La banca ha resistito con controricorso. In particolare la Corte di appello, sui diversi punti prospettati al suo esame, affermava la ritualita’ della costituzione della Cassa di Risparmio – contrastata sotto il profilo della carenza di rappresentanza sostanziale del funzionario delegato -, la carenza di legittimazione attiva del L., l’infondatezza della pretesa.

Avverso la decisione L. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, con i quali rispettivamente ha denunciato: a) violazione di legge, con riferimento alla titolarita’ del potere di rappresentanza sostanziale che sarebbe stato conferito al funzionario delegato; b) violazione della legge processuale, per l’affermata carenza di legittimazione di esso ricorrente, pur in assenza di una specifica contestazione della controparte al riguardo; c) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla mancata considerazione del rapporto di custodia e amministrazione titoli intestato soltanto ad esso ricorrente, rispetto al quale non sarebbe stata neppure astrattamente contestabile la propria legittimazione.

Cio’ premesso, il relatore propone la trattazione del ricorso in Camera di Consiglio ritenendolo manifestamente infondato per le seguenti considerazioni: a) non e’ ipotizzabile una violazione di legge, poiche’ la Corte territoriale ha correttamente affermato che il potere di rappresentanza processuale non puo’ essere disgiunto dal conferimento del potere di rappresentanza sostanziale. Si tratta quindi di valutazione del giudice del merito (in ordine all’esistenza del potere di rappresentanza sostanziale), sufficientemente motivata, basata sull’interpretazione di delibera societaria (del consiglio di amministrazione), contrastata semplicemente con una interpretazione difforme da quella data dal giudicante; b) la banca aveva negato l’esistenza di un proprio impegno negoziale con il ricorrente (p. 4 della sentenza impugnata), e pertanto il giudizio di estraneita’ di L.F. al rapporto in questione non risulta emesso “ultra petita”; c) il risarcimento danni risulta essere stato chiesto con riferimento alle operazioni di acquisto di titoli argentini, sicche’ l’affermata inesistenza di un collegamento fra L.F. e il detto acquisto vanifica la connessa richiesta risarcitoria. Nel merito comunque si tratta di valutazioni in fatto non consentite in questa sede.

Tali rilievi sono stati contrastati dal L. con memoria, con la quale in particolare egli ha lamentato il travisamento delle doglianze prospettate, in quanto: per il primo motivo, la violazione di legge sarebbe stata individuabile nel fatto che la “rappresentanza institoria” sarebbe stata a torto ravvisata in capo a soggetto con poteri limitati solo ad una parte del contenzioso; per il secondo, l’eccezione relativa alla titolarita’ del rapporto atterrebbe al merito della lite e non sarebbe rilevabile di ufficio; per il terzo, sarebbe comunque indiscutibile la propria qualita’ di controparte della banca nel rapporto di custodia ed amministrazione dei titoli relativi al dossier n. (OMISSIS) (e fra essi quelli argentini), per i quali era stato sollecitato il risarcimento.

Ritiene tuttavia il Collegio che sia condivisibile la conclusione proposta dal relatore, atteso che la Corte di appello ha chiaramente e correttamente precisato che il potere di rappresentanza processuale puo’ essere conferito soltanto a colui che sia investito anche di un potere rappresentativo sostanziale relativamente al rapporto oggetto di controversia (p. 7), sicche’ il giudizio in ordine all’esistenza di tale ultimo potere e’ espressione di valutazione di merito circa i limiti dei poteri delegati dal Consiglio di Amministrazione della banca, valutazione che, essendo sorretta da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici, non e’ sindacabile in questa sede di legittimita’ (primo motivo); la decisione della Corte di appello sul punto non e’ stata emessa “ultra petita”, risultando dalla sentenza impugnata (pp. 4 e 8) che la banca aveva preliminarmente dedotto il difetto di legittimazione dell’attore, mentre la questione relativa al piu’ limitato contenuto che avrebbe avuto l’eccezione di carenza di legittimazione (sarebbe stata sollevata “non perche’ lo stesso attore non fosse titolare del rapporto dedotto nel giudizio, ma in relazione alla provenienza della provvista”) attiene al merito dell’interpretazione fornita al riguardo dalla Corte di appello, insindacabile in sede di legittimita’ (secondo motivo); non e’ configurabile il denunciato vizio di omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria nei confronti della banca per inadempimento agli obblighi a lei derivanti dal contratto di amministrazione e di custodia dei titoli, non risultando dalla sentenza impugnata che la detta domanda sia stata proposta, ne avendo fornito il ricorrente alcuna indicazione in ordine al contenuto dell’asserita richiesta ed alle modalita’ ed ai tempi della relativa prospettazione (terzo motivo).

Ne consegue, conclusivamente, che il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 31 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2011

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