Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 995 del 16/01/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 995 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 7469-2006 proposto da:
LA PULISAN S.R.L. (C.E. 00254300726), in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA MONTE SANTO 25, presso
l’avvocato BOTTI ANDREA, rappresentata e difesa
dall’avvocato MASTROVITI FULVIO, giusta procura a
2012

margine del ricorso;
– ricorrente –

1787
contro

REGIONE PUGLIA (c.f. 80017210727), in persona del

Data pubblicazione: 16/01/2013

Presidente della Giunta Regionale pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII
154, presso l’avvocato BRUNO ARCANGELO,
rappresentata e difesa dall’avvocato SINDACO FEDELE,
giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 687/2005 della CORTE
D’APPELLO di BARI, depositata il 30/06/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/11/2012 dal Consigliere Dott. ANTONIO
PIETRO LAMORGESE;
udito,

per

MASTROVITI

la

ricorrente,

l’Avvocato

FULVIO

che ha chiesto raccoglimento del

ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato FEDELE
SINDACO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

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Svolgimento del processo
1.- La società Pulisan si aggiudicò il servizio di pulizia
di alcuni immobili della Regione Puglia e in data 20
novembre 1989 stipulò il contratto,

avente durata

triennale, prorogabile di anno in anno in mancanza di una
formale disdetta; il 18 ottobre 1993 la regione comunicò
la disdetta per il 30 novembre 1994 ma, a seguito di
trattative intercorse tra le parti, il contratto fu
prorogato sino al 30 giugno 1995 per un corrispettivo
ribassato del 10% rispetto a quello originariamente
previsto. La società convenne in giudizio la Regione
Puglia e ne chiese la condanna al pagamento dell’importo
revisionale dal l gennaio 1991 al 30 novembre 1994, nonché
dell’adeguamento del canone mensile a decorrere dal l
dicembre 1994.
2.- La Corte di appello di Bari, con sentenza 30 giugno
2005, riformando la sentenza del Tribunale di Bari del 12
gennaio 2000, ha rigettato la domanda della Pulisan,
ritenendo

che

essa

avesse

tacitamente

ma

ineguivocabilmente rinunciato all’importo revisionale.
3.- La società propone ricorso per cassazione articolato
in due motivi illustrati da memoria; la Regione Puglia

resiste con controricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione

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1.- La corte d’appello è pervenuta alla sua decisione
all’esito di una interpretazione complessiva (art. 1363
c.c.) e secondo buona fede (art. 1367 c.c.) degli atti
negoziali che hanno condotto alla proroga del contratto

dai quali ha ricostruito la volontà della società
appaltatrice di rinunciare in modo inequivocabile alla
revisione del prezzo prevista dal contratto con rinvio
all’art. 33 della legge n. 41 del 1986 (poi abrogato
dall’art. 26, comma 2, della legge n. 109 del 1994; la
revisione dei prezzi era stata esclusa anche dall’art. 3,
comma l, del d.l. n. 333 del 1992, conv. con mod. dalla
legge n. 359 del 1992).
La corte ha tenuto conto, in particolare, sia della nota
del 5 maggio 1994, nella quale la società aveva presentato
come vantaggiosa la sua proposta di rinnovo del contratto
in scadenza previa riduzione del prezzo contrattuale nella
misura del 10%, visto che il corrispettivo da ribassare
era rimasto inalterato e privo di adeguamenti sin dal 1989
e che la società mai aveva chiesto in precedenza la
revisione dei prezzi; sia della nota del 7 ottobre 1994,
nella quale la regione aveva chiesto la riduzione del
corrispettivo del 20%, cui la società aveva risposto
negativamente con lettera del 27 ottobre 1994, nella quale
aveva evidenziato che il canone contrattuale non era mai
stato aggiornato, ribadendo la proposta di rinnovo con un
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ribasso del 10% sino al 30 giugno 1995. La motivazione è
stata sintetizzata dalla stessa corte con le seguenti
parole: è come se l’appaltatrice avesse agito così: il
prezzo contrattuale è rimasto lo stesso, nonostante il

sensibile aumento del costo della vita dal 1989; ciò
nondimeno, ti chiedo un corrispettivo addirittura
inferiore (del 10%) a quello previsto nel 1989. In queste
affermazioni c’è qualcosa di inespresso, ma di inequivoco,
che evidenzia al massimo la vantaggiosità della proposta
di rinnovo. Il prezzo contrattuale non è mai aumentato;
poteva essere revisionato in aumento, ma io non ho mai
avanzato tale pretesa; ora addirittura ti chiedo, per
proseguire il rapporto, un corrispettivo inferiore a
quello del 1989, rinunciando a qualsiasi pretesa per il
passato. In altre parole, il vantaggio che presenta per la
regione la proposta di rinnovo è tutto in un’assunzione
tacita ma inequivoca: la rinuncia alle maggiorazioni sul
prezzo”; e ancora “la rinuncia, tacita, ma inequivoca,
alla revisione quale imput fondamentale per indirizzare la
volontà dell’ente regionale verso la proroga del
contratto”. La proposta in questione, ad avviso della
corte, era in sostanza incompatibile con la volontà di
esercitare il diritto alla revisione del prezzo.
2.- Nel primo motivo, rubricato come violazione degli
artt. 1324 e 1362 ss. c.c., la ricorrente imputa alla
5

corte territoriale di avere interpretato la sua proposta
contrattuale come un autonomo atto negoziale, alla luce
della sola presunta volontà della stessa proponente e
prescindendo dalla volontà della Regione Puglia, la quale

mai aveva fatto cenno ad una rinuncia alla revisione dei
prezzi, con l’effetto di trascurare la ricerca della
comune intenzione delle parti.
2.1.- Il motivo è infondato.
L’affermazione della corte di merito – secondo cui il
criterio interpretativo da seguire nella valutazione degli
atti negoziali unilaterali a contenuto patrimoniale, qual
e la proposta rivolta dalla società Pulisan alla Regione
Puglia, è nel senso dell’applicabilità della disciplina in
tema di ermeneutica contrattuale, con esclusione dell’art.
1362» comma, c.c. concernente la ricerca della comune
intenzione delle parti, dovendosi ricercare solo la reale
volontà dell’autore dell’atto è in linea con la
giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale alla
proposta e all’accettazione, siano essi atti giuridici non
negoziali o prenegoziali o dichiarazioni unilaterali di
volontà, non è applicabile, trattandosi di atti
unilaterali, il criterio ermeneutico della comune
intenzione delle parti, escludendosi altresì la rilevanza
del comportamento del suo autore e del destinatario e
rimanendo invece applicabile, alla stregua del rinvio
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operato

dall’art.

1324

c.c.,

il

criterio

dell’interpretazione complessiva dell’atto, di cui
all’art. 1363 c.c. (v. Cass. n. 41 del 1990, n. 1072 del
1985 e,

in generale, Cass. n. 460 del 2011, n. 1387 del

2009, n. 4251 del 2001, n. 12780 del 2000). La ricorrente,
affermando, in sostanza, che tra le parti non vi sarebbe
stato alcun accordo prevedente, ai fini della proroga del
contratto, la rinuncia della società appaltatrice alla
revisione del prezzo, evidenzia un profilo che, da un
lato, è estraneo alla decisione impugnata (che è
incentrata sulla natura abdicativa della proposta quale
atto unilaterale) e, dall’altro, trascura il dato
oggettivo e incontroverso che quella proposta fu accettata
dalla regione.
3.- Nel secondo motivo la ricorrente imputa alla corte
territoriale di avere offerto una motivazione illogica e
contraddittoria e di avere erroneamente ricostruito e
interpretato i fatti e la volontà delle parti in contrasto
con le regole legali di interpretazione, di cui agli artt.
1362, 1363 e 1367 c.c. La corte di merito avrebbe
erroneamente desunto la rinuncia tacita alla revisione dei
prezzi dal fatto che la trattativa per la proroga del

contratto e per la determinazione del corrispettivo fosse
stata condotta sulla base dell’offerta di condizioni
economiche invariate, ciò trovando conferma in una
7

presunta convenienza economica per entrambe le parti, in
realtà insussistente per la società, stante la
sproporzione tra il sacrificio economico derivante dalla
rinuncia all’adeguamento del prezzo e i vantaggi derivanti

dalla prosecuzione del rapporto.
3.1.- Il motivo è infondato in entrambi i suoi profili.
E’ opportuno premettere che la rinuncia al diritto alla
revisione dei prezzi (nella specie già maturato in quanto
riferito al periodo gennaio 1991-novembre 1994)

è

astrattamente ammissibile (v., ad es., Cass. n. 9775 del
1990) e che a ciò non è di ostacolo la natura formale,
anche ai fini della proroga, dei contratti con la Pubblica
Amministrazione, natura che “non comporta il rilievo
esclusivo del criterio dell’interpretazione strettamente
letterale del testo contrattuale, dovendo questa essere
condotta alla stregua delle regole di ermeneutica di
diritto comune, poste dagli artt. 1362 ss. c.c.” (v. Cass.
n. 20057 del 2011).
3.1.1.- Il primo profilo, concernente l’assunta violazione
dei canoni legali di interpretazione del contratto e degli
atti unilaterali a contenuto patrimoniale, trascura di
considerare che la corte di merito non ha affatto desunto
la rinuncia da mere presunzioni semplici (come nel caso
considerato da Cass. n. 248 del 1979 che casse) la sentenza
di merito che aveva ravvisato una rinuncia nel solo fatto
8

che l’appaltatore aveva preteso la somma per revisione dei
prezzi molti mesi dopo la consegna dell’opera e la
percezione del compenso), ma ha ritenuto che essa fosse
stata manifestata in forma tacita con un comportamento

negoziale del titolare idoneo a rivelare in modo univoco
la sua volontà abdicativa, in quanto incompatibile con la
volontà di avvalersi del diritto alla revisione (v. Cass.
n. 8891 del 1999, n. 6116 del 1990). I giudici di merito
non si sono limitati a constatare che la proposta
rinnovazione del contratto prevedeva un prezzo ridotto del
10 per cento rispetto a quello in scadenza, secondo quanto
previsto dall’art. 6 della legge n. 537 del 1993, ma hanno
evidenziato che quella riduzione si applicava sul prezzo
originario mai revisionato (e da non revisionare). A tal
fine essi hanno effettuato una rigorosa indagine
ermeneutica degli atti (in forma scritta) che precedettero
l’approvazione della proroga da parte dell’ente pubblico,
non limitandosi alla mera ricognizione del senso letterale
delle parole usate, ma effettuando una interpretazione
complessiva delle clausole le une per mezzo delle altre,
della quale hanno dato conto in motivazione.
3.1.2.-

Venendo

al

secondo

decisivo

sottolineato che l’interpretazione

profilo,

va

data dalla corte

d’appello non è l’unica possibile, ma il punto è che, a
fronte della motivazione espressa in modo esteso e
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circostanziato, il ricorrente avrebbe dovuto evidenziare
l’esistenza di lacune o vizi logici idonei ad intaccarne
l’argomentazione, e così non è stato.
Per costante insegnamento di questa Corte, il motivo di

impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione

ricorso per cassazione con il quale alla sentenza
ex

art. 360, n. 5, c.p.c. dev’essere inteso a far valere
carenze o lacune nelle argomentazioni ovvero illogicità
nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato
fuori dai senso comune od ancora mancanza di coerenza tra
le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità
razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli
stessi; non può, invece, essere diretto a far valere la
non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal
giudice di merito al diverso convincimento soggettivo
della parte né a proporre un preteso migliore e più
appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti,
atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito
della discrezionalità di valutazione degli elementi di
prova e di apprezzamento dei fatti, attengono al libero
convincimento del giudice e non ai possibili vizi
dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai
sensi della norma in esame; diversamente, il motivo di
ricorso per cassazione si risolverebbe in un’inammissibile
istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti
10

del giudice del merito, ai fini di una nuova pronunzia sul
fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio
di legittimità. Né può imputarsi al detto giudice d’aver
omesse l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o

non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra
gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza d’adeguata
motivazione che il convincimento risulti – come è dato,
appunto, rilevare nel caso di specie – da un esame logico
e coerente delle prospettazioni delle parti e delle
emergenze istruttorie ritenute di per sé sole idonee e
sufficienti a giustificarlo.
4.

Stante la novità e complessità della questione

controversa è opportuno compensare le spese del giudizio
di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese
processuali.
Roma, 27 novembre 2012.

la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio

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