Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9947 del 26/04/2010

Cassazione civile sez. I, 26/04/2010, (ud. 09/03/2010, dep. 26/04/2010), n.9947

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27331-2008 proposto da:

S.L., SA.LE. (C.F. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, V. CRESCENZIO 42, presso

l’avvocato VENCESLAI MASSIMILIANO, che li rappresenta e difende,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

15/11/2007, n. 52523/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato M. VENCESLAI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 2006, Sa.Le. e L. adivano la Corte di appello di Roma chiedendo che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che non si costituiva in giudizio, fosse condannata a corrispondere loro l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 2.04-15.11.2007, l’adita Corte di appello condannava la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore degli istanti, quale indennizzo del danno non patrimoniale, della somma di Euro 1.800,00 oltre agli interessi legali decorrenti dalla data del provvedimento, nonchè al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 750,00 di cui Euro 200,00 per diritti ed Euro 500,00 per onorari e distratte in favore dell’avv.to M. Venceslai antistatario.

La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che i ricorrenti avevano chiesto l’equa riparazione del danno subito per effetto dell’irragionevole durata del processo amministrativo in tema di equo indennizzo, introdotto il 3.02.2000, dinanzi al TAR Lazio, e deciso con sentenza depositata il 4.01.2006, d’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione;

– che detto processo amministrativo, inerente a caso alquanto semplice, avrebbe dovuto essere definito in anni 3;

– che, dunque, per il triennio d’irragionevole ritardo di definizione l’indennizzo da limitare al danno morale, poteva essere equitativamente liquidato nella somma di Euro 1.800,00, atteso che la vicenda non ineriva a beni fondamentali della persona e della vita e che il pregiudizio non era dimostrabile nel suo preciso ammontare.

Avverso questo decreto i S. hanno proposto ricorso per Cassazione, notificato il 13.11.2008. La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso i S. denunciano, con conclusiva formulazione di quesiti di diritto in ossequio al disposto dell’art. 366 bis c.p.c.:

1. “Violazione ed errata applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 2056 cod. civ.. Difformità dai criteri di liquidazione del danno non patrimoniale stabiliti dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Corte di cassazione, sezione 1^, con la sentenza del 24 gennaio 2007, n. 1605 e dalle sezioni riunite con le sentenze nn. 1338, 1339, 134 e 1341 del 2004.” 2. “Motivazione insufficiente e contraddittoria sempre in relazione ai criteri di liquidazione del danno non patrimoniale”.

Con entrambi i motivi d’impugnazione, che essendo strettamente connessi consentono esame unitario, i ricorrenti, premesso anche che dinanzi al giudice amministrativo avevano impugnato la determinazione dirigenziale del 9.12.1998, con cui il Comune di Roma, pur dando atto che la malattia di B.A., rispettivamente loro coniuge e madre, e la sua successiva morte, avvenuta nel (OMISSIS), erano dipese da causa di servizio, aveva negato l’equo indennizzo ritenendo tardiva l’istanza di relativa attribuzione, si dolgono dell’insufficienza della liquidata riparazione del danno non patrimoniale, dal momento anche che avrebbe dovuto indennizzare quanto sofferto da ciascuno di loro e che il discostamento peggiorativo dai parametri europei non è stato adeguatamente motivato.

Il ricorso è fondato.

In tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. Peraltro, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta che la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno.

La liquidazione dell’equo indennizzo deve inoltre essere effettuata in favore di ogni singolo ricorrente e non può essere determinata in un solo importo globale e complessivo per più ricorrenti (cfr Cass. 200608034; 200705338).

Accolti dunque i motivi di ricorso, sulle esposte premesse ben può procedersi alla cassazione in parte qua dell’impugnato decreto ed alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nessun accertamento di fatti essendo residuato alla cognizione di questa Corte.

Quindi, considerato il periodo di irragionevole durata del giudizio, pari a tre anni e recepito il parametro indennitario di Euro 1.000,00 ad anno di ritardo, in linea con gli standars europei, devesi riconoscere a ciascuno dei ricorrenti l’indennizzo complessivo di Euro 3.000,00, oltre agli interessi legali con decorrenza dalla domanda (Cass. 200608712).

Quanto alla regolamentazione delle spese, a carico dell’Amministrazione soccombente va posto il pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo, adottando la tariffa per processo svoltosi innanzi alla Corte di appello, nonchè delle spese del giudizio di legittimità, anch’esse liquidate come in dispositivo.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 3.000,00 oltre agli interessi legali dalla domanda, nonchè al pagamento sia delle spese del giudizio di merito, liquidate in complessivi Euro 1.150, di cui Euro 380,00 per diritti ed Euro 720,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e sia delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2010

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