Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9944 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9944 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 7495-2012 proposto da:
AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI REGGIO CALABRIA c.f.
02638720801, (che ha accorpato l’Azienda sanitaria n.9
di Locri), in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
OTTAVIANO 32, presso lo studio dell’avvocato CARNUCCIO
2014
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FRANCESCO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato LOMBARDO ROSA, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

BECCARIA

FRANCESCO

C.F.

BCCFNC33E15F158S,

Data pubblicazione: 08/05/2014

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA 121,
presso lo studio dell’avvocato PANUCCIO ALBERTO, che
lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controri corrente nonchè contro

– intimato –

avverso la sentenza n. 198/2011 della CORTE D’APPELLO
di MESSINA, depositata il 23/03/2011 R.G.N. 652/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/01/2014 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito l’Avvocato CARNUCCIO FRANCESCO;
udito l’Avvocato PANUCCIO ALBERTO,
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

POLITO ROBERTO;

FATTO
La Corte di Appello di Messina, in sede di rinvio da Cass. n. 13454/2006, con
sentenza del 23 marzo 2011, dichiarava il diritto di Beccaria Francesco a
permanere in servizio fino al compimento del 70° anno di età quale dirigente
medico di secondo livello della struttura complessa di oculistica del Presidio
Ospedaliero di Locri e, pertanto, la illegittimità incidentale della delibera n.
1272 del 19 settembre 2000 e degli atti conseguenziali condannando la ASL
n. 9 di Locri a risarcire i danni patrimoniali causati al Beccaria quantificati in

misura pari alle retribuzioni ed ai compensi accessori maturati, quale
dirigente medico di secondo livello di struttura complessa per il periodo dal 1°
ottobre 2000 al 10 marzo 2001 nonché dal 31 marzo 2002 fino al 15 maggio
2003 ammontanti ad euro 147.640,58 oltre interessi legali e rivalutazione
monetaria dal maturato al soddisfo nonché al pagamento delle differenze sul
TFR, oltre accessori, dedotto quanto percepito a titolo pensionistico e
dichiarava il diritto del Beccaria alla restituzione da parte di Polito Roberto
della somma di euro 581,35 oltre accessori.
La Corte accoglieva l’appello proposto dal Beccaria in applicazione del
principio di diritto affermato nella decisione n. 13454/2006 sopra indicata
secondo cui ” In materia di collocamento a riposo dei primari ospedalieri, la
disposizione di cui all’art. 1, comma primo, della legge 19 febbraio 1991, n.
50.irsecondo cui i suddetti dirigenti sanitari di ruolo che non avessero
raggiunto il numero di anni di servizio effettivo necessario per conseguire il
massimo della pensione avrebbero potuto chiedere di essere trattenuti in
servizio fino al raggiungimento di tale anzianità e, comunque, non oltre il
settantesimo anno di età (a condizione della preventiva presentazione della
relativa domanda entro i sei mesi successivi al compimento del
sessantaquattresimo anno di età)*eomportava la configurazione di un vero e
proprio diritto potestativo in favore degli interessati, non condizionato ad
accettazione o valutazioni dell’amministrazione datrice di lavoro, demandata
soltanto a verificare la sussistenza dei riportati requisiti mediante atti
paritetici, di contenuto meramente ricognitivo, salva l’eventualità, per il caso
di contestazione, della determinazione in sede giudiziale della data di
cessazione effettiva del rapporto di lavoro in base alla legge. L’art. 15 nonies,
comma primo, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (aggiunto dall’art. 13 del
d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229), nella parte in cui, abrogando la citata legge n.
50 del 1991, ha fatto salvo il diritto a rimanere in servizio per coloro i quali
avevano già ottenuto il beneficio, va interpretato nel senso che per
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”ottenimento del beneficio” si deve intendere la continuazione del rapporto di
lavoro dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età, nella
sussistenza degli evidenziati requisiti previsti dalla menzionata disposizione
abrogata.”.
Rilevava, infatti, la Corte che il Beccaria: aveva presentato la domanda di
mantenimento in servizio entro i sei mesi dal compimento del 64° anno di
età; al termine del semestre successivo al compimento del 64° anno di età
era ancora primario ospedaliero di ruolo essendo rilevante ai fini di causa

solo il dato formale della relativa qualifica da lui conservata anche dopo
l’attribuzione dell’incarico quinquennale di dirigente medico di secondo livello
per la Divisione oculistica del Presidio Ospedaliero di Locri in forza del
provvedimento di aspettativa emesso dalla ASL di Messina; aveva fornito la
prova del mancato raggiungimento della massima contribuzione non
essendosi awalso della facoltà di riscatto degli anni universitari e di quelli di
specializzazione (circostanza accertata anche nella delibera del Dirigente
generale della ASL N. 9 di Locri nella quale veniva attestato che i
quarant’anni di servizio sarebbero maturati solo a far data dal 1° febbraio
2006). La Corte precisava, altresì, che le doglianze formulate nella fase di
rinvio dagli appellati in ordine alla irritualità della produzione volta a fornire la
prova della maturazione di un periodo di servizio inferiore a quello massimo
previsto non erano fondate e perché la detta circostanza era stata provata e
non era contestata nei precedenti gradi di giudizio e perché la necessità di
fornire una adeguata prova della medesima era sorta solo a seguito della
decisione di legittimità con conseguente ritualità della documentazione
prodotta in sede di giudizio di rinvio. Evidenziava, inoltre, la insussistenza di
una causa di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto di pubblico
impiego oltre l’età pensionabile con lo svolgimento di qualsivoglia “rapporto
convenzionale” con il S.S.N. in quanto: il rapporto instaurato dal Beccaria dal
febbraio 1998 con l’Azienda non era di natura convenzionale ma si trattava di
incarico dirigenziale; la domanda di permanenza in servizio presentata dal
Beccaria, per legge, comportava la rinuncia, al compimento del 65° anno di
età, ad ogni altro rapporto di convenzione con il S.S.N.. Infine, la Corte,
all’esito dell’espletamento di una CTU contabile, determinava quanto dovuto
dall’ASL al Beccaria, detratto quanto dallo stesso percepito a titolo di
pensione, e riconosceva il diritto dell’appellante alle differenze maturate sul
trattamento di fine rapporto potendo tale domanda nuova ritenersi

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ammissibile in quanto solo nel corso del giudizio di appello il Beccaria aveva
compiuto i 70 anni di età e non poteva essere più riammesso in servizio.
Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la Azienda Sanitaria
Provinciale di Reggio Calabria affidato ad un unico motivo illustrato da
memoria ex art. 378 c.p.c..
Resiste con controricorso il Beccaria.
Polito Roberto è rimasto intimato.

DIRITTO

Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 394, 414, 416, 434 e 437 c.p.c. nonché dell’art. 111 Cost. , e
dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte di appello di Messina erroneamente
ritenuto ammissibile l’espletamento di una nuova attività istruttoria nel
giudizio di rinvio e, segnatamente, la produzione di nuovi documenti da parte
del Beccaria – al fine di dimostrare la sussistenza del requisito (negativo)
della mancata maturazione del diritto al massimo della pensione alla data del
raggiungimento del 65° anno di età – pur in mancanza di fatti sopravvenuti e
non essendo stata modificata la materia del contendere dalla decisione di
questa Suprema Corte n. 13454/2006.
Il motivo è inammissibile alla luce della motivazione della impugnata
sentenza in cui la Corte ritiene provata la sussistenza del requisito (negativo)
anche a prescindere dalla documentazione prodotta dal Beccaria nel giudizio
di rinvio ( vedi sentenza e controricorso a pag. 12 e ss.) avendo rilevato: che
lo stesso aveva prodotto una autocertificazione con la quale dichiarava che
la propria domanda di riscatto ai fini pensionistici e degli anni di laurea e di
specializzazione non era stata più coltivata ed una lettera con la quale
rinunciava la rinuncia al riscatto; la circostanza che nella delibera del
dirigente Generale della ASL 9 di Locri si attestava che il Beccaria avrebbe
40 anni di servizio solo in data 1 febbraio 2006; che, quindi, risultava
pacificamente dalla documentazione agli atti la sussistenza di detto requisito.
In proposito si tratta di valutazione di merito sorretta da una motivazione
completa, logica e priva di contraddizioni che non può essere oggetto di
ulteriore sindacato in questa sede.
Quanto alla delibera del direttore generale richiamata in motivazione e
revocata da quella n. 1272/2000 si osserva che le ragioni della revoca erano
fondate sul rilievo che l’art. 15 nonies del d.Lgs 229/99 al comma 1° avesse
abrogato in modo esplicito le disposizioni di cui alla L. n. 50/91 poste a

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fondamento della delibera revocata e non concerneva i dati di fatto in essa
presi in considerazione.
Ne consegue che il documento acquisito nel giudizio di rinvio ( la
certificazione dell’INPDAP), come emerge dalla motivazione
complessivamente considerata, è stato considerato dalla Corte di appello
come elemento confermativo della sussistenza del predetto requisito sicchè
non risulta essere stato decisivo.
Il motivo, comunque, è anche infondato in quanto, come è stato, affermato

da questa Corte, la configurazione da parte dell’art. 394 cod. proc. civ. del
giudizio di rinvio quale giudizio ad istruzione sostanzialmente chiusa, in cui è
preclusa la formulazione di nuove conclusioni e quindi la proposizione di
nuove domande o eccezioni e la richiesta di nuove prove, salvo che la
necessità di nuove conclusioni sorga dalla stessa sentenza di cassazione come nel caso in cui tale sentenza abbia definito il rapporto dedotto in
giudizio in maniera diversa o sia necessario fare applicazione di una legge
sopravvenuta -, non osta all’esercizio, in sede di rinvio, dei poteri istruttori del
giudice e, in particolare, dei poteri istruttori esercitabili d’ufficio dal giudice del
lavoro anche in appello (art. 437 cod. proc. civ.), limitatamente ai fatti già
allegati dalle parti, o comunque acquisiti al processo ritualmente, nella fase
processuale antecedente al giudizio di cassazione. Tale conclusione è
postulata sia dal fatto che l’art. 394 cod. proc. civ. non prevede una
limitazione dei poteri del giudice, sia dalla considerazione che il consapevole
esercizio del potere di ammissione di prove d’ufficio (che non può essere
pretermesso per ragioni accidentali, pena la violazione dei principi di
uguaglianza e del giusto processo una volta che tale potere sia previsto dalla
legge per un determinato tipo di processo) presuppone la esatta
individuazione della regola di diritto applicabile alla specie e una corretta
valutazione della incidenza del materiale probatorio acquisito,elementi che in
genere sono stati carenti, almeno in parte, nella fase decisoria che ha dato
luogo alla sentenza così cassata, salva l’ipotesi della cassazione per
pregiudiziali vizi procedurali, che impone una piena rinnovazione della fase
decisoria (Cass. n. 3047 de/ 13/02/2006) . E’ stato, altresì, affermato che nel
giudizio di rinvio i limiti all’ammissione delle prove concernono l’attività delle
parti e non si estendono ai poteri del giudice, ed in particolare a quelli
esercitabili d’ufficio (cfr. Cass. 9 gennaio 2009 n. 341; Cass. 7 febbraio 2006
n. 2605; Cass. 2 settembre 2004 n. 17686, giurisprudenza ribadita di recente
da Cass. n. 900 del 17/01/2014). Le decisioni di questa Corte citate nel
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motivo sono riferite alle attività consentite alle parti ma non all’esercizio, in
sede di rinvio, dei poteri istruttori esercitabili d’ufficio dal giudice del lavoro
anche in appello (art. 437 cod. proc. civ.), limitatamente ai fatti già allegati
dalle parti, o comunque acquisiti al processo ritualmente, nella fase
processuale antecedente al giudizio di cassazione.
Per quanto esposto il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono

come da dispositivo; non si prowede in ordine alle spese nei confronti di
Polito Roberto rimasto intimato.

P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alle spese del presente
giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3.000,00 per
compensi professionali, oltre accessori di legge; nulla per le spese nei
confronti di Polito Roberto.
Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2014.

poste a carico della ricorrente in favore del Beccaria e vengono liquidate

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