Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9941 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9941 Anno 2015
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: VELLA PAOLA

SENTENZA

sul ricorso 28226-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliataL in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo„ rappresenta e difende;
– ricorrente 2014
3836

contro
COTTA MORANDINI GIORGIO, COTTA MORANDINI LINETTE;

– intimati

avverso la sentenza n. 44/2008 della COMM.TRIB.REG.
di TORINO, depositata il 27/10/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Data pubblicazione: 15/05/2015

udienza del 01/12/2014 dal Consigliere Dott. PAOLA
VELLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Con ricorso affidato a tre motivi, l’Agenzia delle entrate ha impugnato la
sentenza n. 44/30/08 del 27.10.2008 con cui la Commissione Tributaria
Regionale del Piemonte, nel rigettare l’appello proposto dall’amministrazione
fiscale, ha confermato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di
Torino, la quale aveva accolto il ricorso proposto da Linette Cotta Morandini
(quale erede di Giorgio Cotta Morandini) contro il provvedimento di diniego del
rimborso di un credito Iva relativo all’anno di imposta 2000, fondato sulla

decadenziale biennale di cui all’art. 21, D. Lgs. n. 546/92, presupposti ritenuti
entrambi non necessari dai giudici di merito nel caso di specie, peraltro
caratterizzato dalla intervenuta cessazione dell’attività.
La parte intimata non ha svolto difese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate deduce la
«violazione e falsa applicazione degli artt. 30, comma secondo, e 38 bis, DPR
633/1972, in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3», formulando il seguente quesito di
diritto: «Dica codesta Suprema Corte se, in materia di IVA – ai sensi e per gli
effetti di cui agli artt. 30, comma secondo, e 38 bis, DPR 633/1972 – la
dichiarazione mod. IVA, contenente nel relativo quadro l’indicazione del credito
IVA maturato dall’impresa, possa equivalere ad una istanza di rimborso idonea
ad impedire il maturare della decadenza di cui all’art. 21, D.Igs. 546/1992 e a
determinare l’obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su di essa ovvero se
– contrariamente a quanto ritenuto dalla adita CTR – devesi ritenere che, in forza
del sopra citato art. 38 bis, DPR 633/1972, occorra anche la formulazione
dell’istanza attraverso apposita dichiarazione presentata con i modelli VR previsti
da detta norma o con apposita istanza al concessionario per la riscossione».
2. Con il secondo mezzo viene invece lamentata la «violazione e falsa
applicazione dell’art. 21, D. Lgs. 546/1992, in combinato disposto con gli artt.
2946 c.c., 2033 c.c., 2935 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3», sulla scorta
del seguente quesito di diritto: «Dica codesta Suprema Corte se – ai sensi e per
gli effetti di cui agli artt. 21, D. Lgs. 546/1992, nonché 2946, 2033 e 2935 c.c. la presenza di uno speciale regime di decadenza per l’indebito tributario, previsto
dalle singole leggi di imposta, impedisca l’applicazione dell’ordinario termine
prescrizionale di dieci anni stabilito per l’indebito di diritto comune dalle norme
codicistiche di riferimento e sopra riportate, di guisa che, quindi – relativamente
alla condictio indebiti in materia tributaria – debba ritenersi non vi sia spazio per
una azione generale di indebito (ex art. 2033 c.c.) in quanto tale azione non

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n. 28226/09 R

mancata presentazione del “modello VR” e sul superamento del termine

potrebbe ammettersi e in forza del rapporto di specialità che esiste fra normativa
fiscale e quella generale e in quanto (tale azione) risulterebbe comunque
assolutamente incompatibile con il sistema di tutela procedimentale e
giurisdizionale del contribuente, venendo, così, a snaturare l’intero assetto della
disciplina della imposizione nonché le preclusioni, le decadenze e tutti i termini
stabiliti dalla legge; ciò premesso, relativamente al caso di specie – avente ad
oggetto l’impugnazione, ad opera dell’odierno intimato, del provvedimento di
rigetto dell’istanza di rimborso di un credito IVA per l’anno di imposta 2000 –

applicabile l’ordinario termine prescrizionale decennale di cui alla disciplina
codicistica ovvero se – contrariamente a quanto ritenuto nell’impugnata sentenza
– sia da applicare, ratione temporis, il biennale termine decadenziale di cui al
sopra riportato art. 21, D. Lgs. 546/1992».
3. Con il terzo motivo infine la ricorrente deduce la «nullità della sentenza
per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3», in base al
seguente quesito di diritto: «Dica codesta Suprema Corte se incorra in violazione
dell’art. 112 c.p.c. (…) il giudice d’appello che abbia omesso di pronunciarsi su
una delle domande e/o eccezioni spiegate dalle parti; ciò premesso,
relativamente al caso di specie – avente ad oggetto l’impugnazione, ad opera
dell’odierno intimato, del provvedimento di rigetto dell’istanza di rimborso di un
credito IVA per l’anno di imposta 2000 – dica codesta Suprema Corte se sia
viziata da nullità la sentenza resa dalla CTR di Torino la quale … in nessun modo
si sia pronunciata sul motivo di appello spiegato dall’Ufficio Finanziario in punto
di errata applicazione, ad opera del giudice di prime cure, dell’art. 6, comma
quinto, legge 212/2000 (…)».
4. I motivi non meritano accoglimento, in quanto in parte inammissibili ed in
parte infondati.
5. E’ innanzitutto affetto da inammissibilità il terzo motivo di ricorso, non
solo per difetto di autosufficienza – in quanto parte ricorrente si limita a dedurre
genericamente la “errata applicazione, ad opera del giudice di prime cure,
dell’art. 6, comma quinto, legge n. 212/2000” senza trascrivere le corrispondenti
statuizioni – ma anche (e soprattutto) perché il giudice di secondo grado ha in
realtà puntualmente dato atto che uno dei motivi dell’appello proposto
dall’amministrazione finanziaria verteva sulla inapplicabilità, al caso di specie,
della norma citata, senza tuttavia pronunciarsi espressamente sul tema in
quanto esso è rimasto evidentemente assorbito dal rigetto delle ulteriori censure
riguardanti il merito della controversia. Di qui l’insussistenza del lamentato vizio
di nullità della sentenza impugnata.

Id. 1 dicembre 2014

n. 28226/09 R.G.

codesta Suprema Corte dica se alla domanda di restituzione del credito IVA sia

6. Anche il secondo motivo è inammissibile, in quanto parte ricorrente, pur
dando atto che la controversia concerneva una istanza di rimborso di un credito
Iva maturato nell’anno di imposta 2000, ha tuttavia incentrato l’intero quesito
sul (ben distinto) tema dell’indebito tributario, sollevando la questione
dell’applicabilità del termine biennale di decadenza ex art. 21, D.Lgs. n. 546/92,
in luogo del termine di prescrizione ordinaria decennale, alla (però ben diversa)
fattispecie di domanda di “restituzione” di un tributo non dovuto. E’ di
conseguenza del tutto irrilevante che la giurisprudenza di questa Corte sia in

o indebitamente versata, perché non dovuta, si applichi il termine di decadenza
di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, piuttosto che il diverso
termine ordinario di prescrizione decennale previsto per l’indebito oggettivo dagli
artt. 2033 e 2946 cod.civ. (ex multis, Cass. n. 1578, 23552, 25988 e 27281 del
2014; n. 9818 del 2012; n. 526 del 2007).
7. Invero, l’orientamento di questa stessa Corte è altrettanto consolidato nel
ritenere – viceversa – che il credito Iva esposto dal contribuente nella
dichiarazione dei redditi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, mentre
non è applicabile il termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, in quanto l’istanza di rimborso non
integra il fatto costitutivo del diritto, ma solo il presupposto di esigibilità del
credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso (ex
multis, Cass. n. 4857 del 2015, n. 20678 del 2014, nn. 7684, 14070, 15229 e
23580 del 2012, n. 13920 del 2011, n. 9794 del 2010).
8. Il primo motivo, esaminabile nel merito, è invece infondato.
9. Non vi è ragione, infatti, di discostarsi dal consolidato orientamento di
questa Corte secondo cui la domanda di rimborso del credito d’imposta maturato
dal contribuente deve considerarsi già presentata con la compilazione del
corrispondente quadro della dichiarazione annuale (“RX4”), la quale configura
formale esercizio del diritto, mentre la presentazione del modello VR costituisce,
ai sensi dell’art. 38 bis del d.P.R. n. 633/72, solo un presupposto per l’esigibilità
del credito e, dunque, un adempimento prodromico al procedimento di
esecuzione del rimborso (ex plurimis, Cass. nn. 4592 e 4857 del 2015; nn.
10653, 20069 e 26867 del 2014; n. 14070 del 2012; n. 20039 del 2011). In
particolare è stato affermato che ove si tratti – come nel caso di specie – di
richiesta di rimborso relativa all’eccedenza d’imposta risultata alla cessazione
dell’attività, la fattispecie è regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma
2 (e quindi soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale, non a quello
biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, applicabile in via sussidiaria e

ud. 1 dicembre 2014

n. 2822(5/09 R.G,

effetti ferma nel ritenere che, alla domanda di restituzione dell’Iva erroneamente

residuale, solo in mancanza di disposizione specifiche), proprio perchè l’attività
non prosegue, sicché non sarebbe possibile portare l’eccedenza in detrazione
l’anno successivo (Cass. n. 2005 del 2014; nn. 7684, 7685 e 14070 del 2012;
nn. 13920 e 20039 del 2011; nn. 9794 e 25318 del 2010; n. 27948 del 2009).
10. Siffatta soluzione ermeneutica è del resto coerente con il diritto
eurounitario, poiché, se è vero che gli Stati membri adottano le misure
necessarie ad assicurare l’osservanza degli obblighi di dichiarazione e di
pagamento, l’esatta riscossione dell’imposta e la prevenzione di frodi, tuttavia è

Corte di giustizia, 11 dicembre 2014, in causa C-590/14, Idexx; 8 maggio 2008,
in causa C- 95/07 e C-96/07, Ecotrade; 27 settembre 2007, in causa C-146/05,
Coilee), essendo il diritto al ristoro dell’Iva versata “a monte” basilare nel
sistema comunitario, in forza del principio di neutralità (cfr. Corte di giustizia, 22
dicembre 2010, in causa C- 438/09, Dankowski, p.to 34, con riguardo al caso di
cessazione d’attività; 18 dicembre 1997, in cause riunite C-286/94, C-340/95, C401/95, C-47/96, Molenheide e altri).
11. Deve quindi ritenersi ormai definitivamente superato il diverso e più
risalente orientamento secondo cui, in caso di cessazione dell’attività, solo una
domanda di rimborso conforme al modello ministeriale corrisponderebbe allo
schema tipico delineato dall’art. 30 del decreto IVA, con la conseguenza che la
domanda difforme resterebbe assoggettata alla decadenza biennale prevista, in
via residuale, dall’articolo 21 del citato D.Lgs. n. 546/92 (Cass. nn. 18920 e n.
18915 del 2011; n. 7669 del 2012).
12. Va quindi data continuità alla rimeditazione di tali aspetti da parte di
copiose, più recenti ed ormai costanti pronunce di questa Corte, che nella
dichiarazione annuale ravvisano l’esaustiva manifestazione di una volontà diretta
all’ottenimento del rimborso, ancorchè non accompagnata dalla presentazione
dell’ulteriore “mod. VR” (in tal senso adde, a quelle già sopra citate, Cass. nn.
7684, 7685 e 15229 del 2012; nn. 8813 e 23755 del 2013; nn. 2005, 3742,
6486, 6986, 6987 e 8790 del 2014).
13. In conclusione, il ricorso va respinto per infondatezza del primo motivo
ed inammissibilità dei restanti due. Stante la mancata costituzione della parte
intimata, le spese del giudizio di legittimità restano a carico della ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il secondo ed il terzo motivo di ricorso e rigetta il primo.
Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 1 dicembre 2014.

pur vero che tali misure non possono eccedere gli obiettivi sopra indicati (v.

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