Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 994 del 21/01/2010

Cassazione civile sez. III, 21/01/2010, (ud. 23/11/2009, dep. 21/01/2010), n.994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6559-2005 proposto da:

G.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, CORSO D’ITALIA 97, presso lo studio dell’avvocato DE BATTISTA

FLAVIO, rappresentata e difesa dall’avvocato CELLITTI SPARTACO giusta

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Z.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PAOLO EMILIO 57, presso lo studio dell’avvocato SERRA

MARCO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAGGIORE

ROBERTO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2918/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA, 3^

SEZIONE CIVILE, emessa il 18/6/2004, depositata il 13/07/2004, R.G.N.

1145/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito l’Avvocato ALESSANDRO MARIANI per delega dell’Avvocato SPARTACO

CELLITTI;

udito l’Avvocato GIANLUCA MARZELLA per delega dell’Avvocato ROBERTO

MAGGIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 18 giugno-13 luglio 2004 la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da G.R. avverso la decisione del locale Tribunale del 7-12 novembre 2002, la quale aveva accolto la domanda di convalida di sfratto per finita locazione dell’immobile dalla stessa condotto in locazione, in (OMISSIS), adibito a casa di riposo per anziani.

La proprietaria dell’immobile, Z.A., aveva dedotto di avere inviato regolari disdette in data 7 febbraio e 11 aprile 1998.

Il primo giudice aveva rilevato la regolarità di tali disdette, sottolineando che anche la intimazione giudiziale doveva considerarsi valida, poichè non vi era necessità che l’atto reiterasse i motivi del denegato rinnovo, già indicati nella disdetta.

I giudici di appello confermavano che la L. n. 392 del 1978, art. 29 impone la indicazione del motivo solo nella disdetta comunicata al conduttore, ma non anche che lo stesso sia riprodotto nella intimazione giudiziale.

Quanto alla utilizzazione effettiva dell’immobile come casa di riposo per anziani, le testimonianze raccolte non consentivano di ritenere che la proprietaria Z. avesse piena consapevolezza della mutata utilizzazione, rispetto a quanto previsto dal contratto di locazione.

Sotto un altro profilo, la Corte territoriale rilevava che la attività di gestione di una casa di riposo per anziani non può essere assimilata a quella alberghiera.

Pur non ravvisandosi la stretta analogia, ritenuta invece dal primo giudice, tra casa di riposo e casa di cura (nella quale la attività di assistenza sanitaria è così rilevante da connotarla in maniera determinante) la gestione di una casa di riposo deve considerarsi caratterizzata da “una serie di attività, sussumibili nel generale concetto dell’accudimento dell’anziano ospite, che non solo non trova riscontro nei contenuti e nelle modalità di esercizio dell’attività alberghiera – con la quale condivide l’offerta di soggiorno, il servizio di pulizia delle camere e della biancheria, oltre che la ristorazione – ma in sostanza definisce un diverso genere, per così dire “atipico”, di ospitalità”.

Tanto premesso, i giudici di appello osservavano ancora che, secondo nozioni di comune esperienza, l’attività di una casa di riposo si concreta nell’assiduo controllo delle condizioni personali dell’ospite e nell’aiuto in tutta una serie di attività, per le quali la casa di cura dispone di personale qualificato e dotato di esperienza adeguata.

Tutti questi elementi, ha concluso la Corte territoriale, rendevano difficilmente riconducibile l’attività di una casa di riposo nella tipologia del attività alberghiera, che – pertanto – in mancanza di una previsione tipica, e considerato il fine di lucro del gestore, doveva essere ricompresa nella attività commerciale.

Da ciò derivava la riconducibilità ad essa della relativa locazione, la cui disciplina, sia in ordine alla durata (sei anni già previsti in contratto) che ai termini di disdetta; era dunque quella della locazione ad uso diverso, di tipo commerciale.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la G. con due distinti motivi. Resiste la Z. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed “errore in procedendo et in iudicando”.

La G. rileva che i giudici di appello avrebbero dovuto dichiarare la inefficacia, o la nullità della notifica delle due disdette e la declaratoria di improcedibilita della domanda, ovvero la inaccoglibilità della stessa, in conseguenza della rinnovazione tacita del contratto.

La prima lettera del 14 febbraio 1998 non conteneva alcuna disdetta, ma solo la richiesta di aggiornamento del canone agli indici ISTAT. La seconda lettera conteneva effettivamente la disdetta, per il 30 giugno 1999, mentre nella intimazione si faceva riferimento al diverso termine del 20 maggio 1999.

Entrambe le lettere erano state restituite al mittente per compiuta giacenza. La circostanza che la notificazione di entrambe non fosse stata seguita da nuova raccomandata rendeva la comunicazione nulla o inesistente.

Le censure formulate con il primo mezzo sono inammissibili, ancor prima che infondate.

Le stesse, infatti, si rivolgono alla decisione di primo grado, piuttosto che a quella di secondo grado, che non ha pronunciato sulla regolarità delle due disdette e della loro comunicazione, in difetto di specifica censura da parte della attuale ricorrente.

In ogni caso, le censure formulate con il primo mezzo di ricorso sono prive di qualsiasi fondamento.

Il primo giudice aveva dato atto che la prima lettera del (OMISSIS) conteneva già il diniego di rinnovo alla prima scadenza.

In essa, la Z. comunicava, infatti, alla G. la volontà “di rientrare in possesso dell’ immobile alla scadenza del contratto, data la necessità di trasferire lì il mio domicilio”.

La lettera era stata restituita alla mittente per compiuta giacenza, ma la Z. aveva ripetuto la comunicazione con una seconda raccomandata dell'(OMISSIS), che era stata anche essa – come la prima restituita alla mittente per compiuta giacenza.

Non sussiste, pertanto, alcuna delle nullità denunciate, neppure sotto il profilo della inesistenza o nullità della notificazione (L. n. 392 del 1978, art. 29, comma 4).

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa motivazione conseguente alla violazione dell’art. 116 c.p.c..

La disdetta era stata inviata dalla Z. dodici mesi prima della scadenza naturale del contratto (al 20 maggio 1999) mentre la stessa avrebbe dovuto essere comunicata almeno diciotto mesi prima della scadenza del periodo di nove anni, applicabile in quanto trattavasi di attività alberghiera (L. n. 392 del 1978, art. 29, comma 4).

I giudici di appello non avevano tenuto conto delle prove documentali e testimoniali, le quali confermavano – oltre ragionevole dubbio – che la Z. fosse perfettamente a conoscenza del fatto che l’immobile era stato destinato ad uso diverso da quello abitativo, ed in particolare ad alloggio per anziani (attività, questa, assimilabile in tutto e per tutto a quella alberghiera).

Anche questo motivo è infondato.

La Corte territoriale ha svolto due autonome “rationes decidendi”.

Ha osservato la Corte che, innanzi tutto, doveva escludersi che la attuale controricorrente avesse piena consapevolezza del fatto che la conduttrice avesse effettivamente utilizzato l’immobile come casa di riposo per anziani, nonostante la diversa indicazione contenuto nel contratto.

Sul punto, la ricorrente si limita a proporre una diversa lettura delle risultanze probatorie, inammissibile in questa sede.

Tra l’altro, la G. non riproduce integralmente il contenuto delle prove – testimoniali o documentali – che assume essere state male interpretate dai giudici di appello, onde un ulteriore profilo di inammissibilità delle censure.

Sotto altro profilo, gli stessi giudici hanno rilevato che pur non ravvisandosi una stretta analogia tra casa di curacene questa Corte in precedenti decisioni ha escluso) ciò nondimeno questa ultima attività non era riconducibile a quella alberghiera.

Questa affermazione è specificamente censurata dalla G., la quale rileva che i giudici di appello avrebbero dovuto affermare la esistenza di una piena analogia tra le attività di una casa di riposo e quella alberghiera.

Con tutte le conseguenze in tema di durata della locazione e del periodo di preavviso.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato. La ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 3.200,00 (tremiladuecento/00) di cui Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010

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