Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9936 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. U Num. 9936 Anno 2015
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: DI AMATO SERGIO

Data pubblicazione: 15/05/2015

SENTENZA

sul ricorso 3698 – 2013 proposto da:
GAVIOLI STEFANO, in proprio e nella qualità di legale
2015

rappresentante, liquidatore ed ex amministratore di

54

ENERAMBIENTE S.P.A. in liquidazione, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72, presso

lo

studio dell’avvocato DOMENICO BONACCORSI DI PATTI, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARSILIO FERRATA, per delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro

FALLIMENTO n. 62/2012 della ENERAMBIENTE S.P.A. IN
LIQUIDAZIONE, in persona del curatore pro-tempore,

104, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CAIAFA, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZENO
FORLATI, per delega a margine del controricorso e per
procura speciale, in atti;
– controricorrente non chè contro

VRENT S.R.L. (alla quale non è stato notificato il
ricorso) , CONCORDATO PREVENTIVO ENERAMBIENTE S.P.A. IN
LIQUIDAZIONE, ENERAMBIENTE S.P.A. IN LIQUIDAZIONE E IN
CONCORDATO PREVENTIVO, PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO
IL TRIBUNALE DI NAPOLI;
– intimati –

sul ricorso 15612-2014 proposto da:
FALLIMENTO DELLA ENERAMBIENTE S.P.A. IN LIQUIDAZIONE,
in persona del curatore fallimentare pro-tempore,
elettivamente domtiliata in ROMA, VIA CASSIODORO 1/A,
presso lo studio dell’avvocato GIORGIO COSTANTINO, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZENO
FORLATI, per delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALFREDO BUSCO

GAVIOLI STEFANO, in proprio e nella qualità di ex
liquidatore ed amministratore di ENERAMBIENTE S.P.A. in
liquidazione, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
z

FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell’avvocato
DOMENICO BONACCORSI DI PATTI, che lo rappresenta e

ANNALISA DAL BO, per delega a margine del
controricorso;
FAGGIANO GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA AMELIA 15, presso lo studio dell’avvocato CARLA
LUCIGNANO, rappresentato e difeso dall’avvocato
FRANCESCO GALLUCCIO MEZIO, per delega a margine del
controricorso;
– controricorrenti –

TONETTO GIANCARLO,

BELLAMIO PAOLO,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,
presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che li
rappresenta e difende unitamente agli avvocati MAURO
PIZZIGATI, CLAUDIO CONSOLO, per delega in calce al
controricorso e ricorso incidentale;
– controxicorrenti e ricorrenti incidentali contro

VRENT S.R.L., PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA
PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, PROCURATORE GENERALE
PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA, PROCURATORE
GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI,

difende unitamente all’avvocato MARSILIO FERRATA,

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI
NAPOLI, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL
TRIBUNALE DI VENEZIA;
– Intimati –

avverso le sentenze nn. 148/2012 della CORTE D’APPELLO

n. 3698/2013 e n. 1213/2014 della CORTE D’APPELLO di
VENEZIA depositata il 19/05/2014 per il ricorso r.g. n.
15612/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/02/2015 dal Consigliere Dott. SERGIO DI
AMATO;
uditi gli avvocati Giorgio COSTANTINO, Zeno FORLATI,
Francesco GALLUCCIO, Damenio BONACCORSI DI PATTI,
Marsilio FERRATA, Luigi MANZI, Claudio CONSOLO, Mauro
PIZZIGATI, Antonio CAIAVA;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott.
UMBERTO APICE, che ha concluso per il rigetto del
ricorso principale, assorbito l’incidentale per il
ricorso r.g. n. 15612/2014; accoglimento del primo
motivo del ricorso, assorbiti gli altri per il ricorso
r.g. n. 3698/2013.

DI NAPOLI depositata il 01/08/2012 per il ricorso r.g.

:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 9 maggio 2011 il Tribunale di Napoli dichiarava la
2

propria incompetenza a provvedere sulla domanda di concordato preventivo
proposta da Enerambiente s.p.a. e la competenza del Tribunale di Venezia.

., Il decreto veniva impugnato dalla predetta società davanti alla Corte di
cassazione.

Venezia ammetteva la società debitrice alla procedura di concordato
preventivo ma, successivamente al deposito della relazione del commissario
giudiziale, convocata la medesima società in camera di consiglio per la
revoca dell’ammissione e la dichiarazione di fallimento, all’udienza del 12
gennaio 2012 si riservava di decidere. Prima che fosse sciolta la riserva, il
Tribunale di Napoli, dopo essersi dichiarato incompetente su due istanze di
fallimento, su richiesta della locale Procura della Repubblica e sul duplice
presupposto della rinuncia della debitrice alla eccezione di incompetenza
territoriale ed alla procedura di concordato preventivo pendente innanzi al
Tribunale di Venezia, dichiarava il fallimento di Enerambiente s.p.a. con
sentenza del 29 febbraio 2012. Il Tribunale di Venezia prendeva atto della
dichiarazione di fallimento e, sciogliendo la menzionata riserva, sollevava
conflitto di competenza davanti alla Corte di cassazione ai sensi dell’art.45
c.p.c.
La sentenza dichiarativa di fallimento veniva reclamata davanti alla
Corte d’appello di Napoli, la quale con sentenza non definitiva del 1° agosto
2012 (oggetto del ricorso NRG 3698/2013), rigettava alcune eccezioni
preliminari ed il motivo con il quale era stato dedotto il vizio del
contraddittorio per nullità della notifica del ricorso per la dichiarazione di
fallimento. Con ordinanza in pari data la Corte di appello sospendeva il
giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., quanto al motivo che aveva denunziato
l’incompetenza territoriale del Tribunale di Napoli, in attesa della decisione
della Corte di cassazione sul conflitto di competenza sollevato dal Tribunale
di Venezia.
Con sentenza n. 9323 del 17 aprile 2013 la Corte di cassazione, riuniti i
due procedimenti pendenti davanti a sé (impugnazione del decreto del
Tribunale di Napoli che aveva dichiarato inammissibile per ragioni di
competenza la domanda di concordato preventivo proposta da Enerambiente
SUl0f3698-13+SUI0f15612-14

Nelle more della decisione della Corte di cassazione, il Tribunale di

s.p.a. e conflitto di competenza sollevato dal Tribunale di Venezia
nell’ambito del procedimento di concordato preventivo), decideva per la
2

competenza del Tribunale di Venezia, al quale dovevano essere trasmessi gli
atti della procedura fallimentare.
Il Tribunale di Venezia, con decreto del 13 giugno 2013, provvedeva,
pertanto, alla nomina di un giudice delegato e di un nuovo curatore e, nel
contempo, con decreto del 25 luglio 2013, dichiarava improcedibile il
concordato preventivo. Entrambi i provvedimenti venivano impugnati, con
distinti reclami, davanti alla Corte d’appello di Venezia, da Giancarlo Tonetto
e Paolo Beilamio, professionisti che avevano prestato la loro opera in favore
della società debitrice ed erano rimasti coinvolti nel procedimento penale per
bancarotta collegato al fallimento.
Il reclamo originariamente pendente davanti alla Corte d’appello di
Napoli, avente ad oggetto la dichiarazione di fallimento e sospeso in attesa
della decisione della Corte di cassazione, veniva quindi riassunto sia davanti
alla Corte d’appello di Venezia che davanti alla Corte d’appello di Napoli, con
distinti ricorsi ai sensi dell’art. 50 c.p.c., da Stefano Gavioli, detentore, in
parte direttamente ed in parte per il tramite di altra società, dell’intero
capitale sociale della società debitrice. La Corte di appello di Napoli, con
sentenza definitiva del 10 marzo 2014, dichiarava improcedibile il reclamo
sul presupposto dell’assenza di altri punti da decidere dopo quelli decisi con
la sentenza non definitiva.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 19 maggio 2014,
provvedendo con riferimento ai tre giudizi di reclamo riuniti, revocava il
fallimento di Enerambiente s.p.a., revocava i decreti con cui il Tribunale di
Venezia aveva nominato giudice delegato e curatore ed aveva dichiarato
l’improcedibilità del concordato preventivo e rimetteva gli atti al Tribunale di
Venezia per la prosecuzione di quest’ultima procedura. In particolare, la
Corte territoriale osservava che erroneamente il Tribunale di Napoli aveva
ritenuto che, a seguito di rinunzia, la s.p.a. Enerambiente non si trovasse
più in concordato preventivo. Pertanto, il fallimento, considerato il
necessario previo esame della domanda di concordato, non poteva essere
dichiarato.
Avverso la sentenza non definitiva, emessa in data 1° agosto 2012 dalla
Corte di appello di Napoli, Stefano Gavioli, cui, come sopra detto, era
SUI0f3698-13+SUl0f15612-14

..

riferibile l’intero capitale sociale della s.p.a. Enerambiente, in proprio e quale
legale rappresentante della società, propone ricorso per cassazione (NRG
:

3698/2013) deducendo sette motivi che sono stati illustrati anche con
memoria. Il fallimento della s.p.a. Enerambiente resiste con controricorso.

, Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Avverso la sentenza, emessa in data 19 maggio 2014 dalla Corte
d’appello di Venezia, il fallimento della Enerambiente s.p.a. propone ricorso

controricorso Stefano Gavioli, Giovanni Faggiano (intervenuto innanzi alla
Corte di appello con la richiesta di accoglimento del reclamo proposto da
Stefano Gavioli), Giancarlo Tonetto e Paolo Bellamio, gli ultimi due
proponendo altresì ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi. Il
fallimento ha presentato memoria così come Giancarlo Tonetto e Paolo
Bellamio.
Su istanza del fallimento i ricorsi avverso le predette sentenze sono stati
rimessi al Primo Presidente, in considerazione della prospettazione nelle
cause di questione identica a quella già rimessa alle sezioni unite a seguito
dell’ordinanza interlocutoria n. 9476 del 30 aprile 2014 della prima sezione
civile della Corte. Il Primo Presidente ha assegnato i ricorsi alle sezioni unite.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1..

Il ricorso NRG 3698/2013, avverso la sentenza non definitiva con cui

la Corte di appello di Napoli ha provveduto su alcune questioni proposte con
l’impugnazione della dichiarazione di fallimento della s.p.a. Enerambiente,
ed il ricorso NRG 15612/2014, avverso la sentenza con cui la Corte di
appello di Venezia ha revocato il fallimento ed ha disposto la prosecuzione
della procedura di concordato preventivo, devono essere riuniti in quanto
relativi a sentenze emesse, da due diverse corti di appello, in sede di
reclamo avverso la stessa dichiarazione di fallimento.
2.

Con il ricorso NRG 3698/2013, Stefano Gavioli deduce: 1) la

violazione degli artt. 48 e 298 c.p.c., lamentando che la Corte di appello di
Napoli, pur consapevole della pendenza del regolamento di competenza,
come risultava dalla contestuale ordinanza di sospensione, aveva esaminato
eccezioni e deciso motivi di reclamo; 2) la violazione degli artt. 48 e 298
c.p.c. per la mancata revoca della dichiarazione di fallimento, perché
pronunziata in pendenza di regolamento di competenza avverso il decreto
SUl0f3698-13+SU1Of15612-14

per cassazione (NRG 15612/2014) affidato ad otto motivi. Resistono con

del Tribunale di Napoli del 9 maggio 2011; 3) l’erronea esclusione della
legittimazione del Gavioli, quale liquidatore della società, senza considerare
d che la nomina di altro liquidatore doveva ritenersi inefficace perché non
iscritta nel registro delle imprese; 4) la mancata convocazione della s.p.a.
, Enerambiente, in persona del suo liquidatore Gavioli, nel procedimento
prefallimentare; 5) il vizio di motivazione della sentenza impugnata laddove
aveva ritenuto che la s.p.a. Enerambiente aveva rinunciato al concordato;

era avvenuta senza il rispetto delle formalità previste dall’art. 152 l. fall.; 7)
la violazione del principio di prevenzione perché il fallimento era stato
dichiarato in pendenza della procedura di concordato preventivo.
Il primo motivo di ricorso è fondato. In relazione alla dichiarazione di
fallimento della s.p.a. Enerambiente pronunciata dal Tribunale di Napoli con
sentenza in data 29 febbraio 2012, il Tribunale di Venezia ha chiesto il
regolamento d’ufficio della competenza. Ne consegue che, ai sensi dell’art.
48 c.p.c., il procedimento di reclamo innanzi alla Corte di appello di Napoli
doveva ritenersi sospeso di diritto.
Al riguardo si deve, anzitutto, rilevare che, come risulta dall’impugnata
sentenza, l’odierno ricorrente, nella veste di socio della fallita, aveva
impugnato con reclamo la sentenza dichiarativa di fallimento, allegando sia
!a questione della competenza territoriale del Tribunale di Napoli sia il vizio
processuale della mancata rituale convocazione.
La fattispecie della impugnazione nei modi ordinari (nella specie con
reclamo) della sentenza che afferma la competenza del giudice adito e che
pronunzia nel merito è disciplinata dalla legge (art. 43 c.p.c.) senza
prevedere, poiché il codice di rito non contempla il conflitto reale positivo di
competenza, il caso che in relazione alla stessa decisione sia proposto
regolamento d’ufficio di competenza da altro giudice che si ritiene
competente. Alla fattispecie, pertanto, si deve applicare in via analogica
l’art. 48 c.p.c. nella parte in cui prevede che «i processi relativamente ai
quali è chiesto il regolamento di competenza sono sospesi … dalla pronuncia
dell’ordinanza che richiede il regolamento». Anche in questo caso, infatti,
sussiste l’esigenza che il giudice innanzi al quale pende il processo non
svolga una attività che possa essere travolta dalla successiva pronunzia
della Corte di cassazione: il giudice adito non può, pertanto, pronunziare
SU10f3698-131-SU1Of15612-14

6) la mancata considerazione che la rinuncia alla procedura di concordato

sentenza non definitiva sulle questioni diverse da quella di competenza,
limitando la sospensione del giudizio a quest’ultima questione, che ha,
.

invece, natura assolutamente pregiudiziale (e plurimis Cass. ord. 18 giugno
2008, n. 16557; Cass. s.u. 20 febbraio 2007, n. 3840).

..

Pertanto, la Corte di appello di Napoli, avendo avuto notizia che il
Tribunale di Venezia, investito della procedura di concordato preventivo e
ritenutosi competente, aveva avanzato richiesta di regolamento d’ufficio

c.p.c., dichiarare la sospensione del giudizio fino all’esito del procedimento
di regolamento, che nella specie, come si è detto, si è concluso con
l’affermazione della competenza del Tribunale di Venezia (v. per una
questione analoga, in un regime che prevedeva la rilevabilità in ogni stato e
grado della incompetenza funzionale, Cass. 25 marzo 1976, n. 1073).
La mancata dichiarazione della sospensione, seguita dalla affermazione
dell’incompetenza del Tribunale di Napoli, conduce alla nullità della sentenza
impugnata in quanto emessa da un giudice che avrebbe dovuto sospendere
il processo innanzi a sé. Alla fondatezza del primo motivo consegue la
cassazione senza rinvio della sentenza impugnata e la perdita di efficacia, ai
sensi dell’art. 336 c.p.c., della sentenza definitiva della Corte di appello di
Napoli, in data 10 marzo 2014, che ha dichiarato improcedibile il reclamo sul
presupposto, cancellato con la cassazione, dell’assenza di altri punti da
decidere dopo quelli decisi con la sentenza non definitiva.
All’accoglimento del primo motivo del ricorso consegue l’assorbimento
degli altri motivi.
3.

Con il ricorso NRG 15612/2014, il fallimento della s.p.a. Enerambiente

deduce: 1) la violazione del giudicato sulla improcedibilità del reclamo
formatosi con il passaggio in giudicato della sentenza in data 10 marzo 2014
della Corte di appello Napoli, con conseguente irrilevanza degli errori nei
quali la stessa fosse incorsa; 2) la violazione dell’art. 45 c.p.c. perché in
presenza di un conflitto positivo la sentenza impugnata aveva disapplicato la
sentenza della Corte di appello di Napoli; 3) il mancato rilievo
dell’inammissibilità del reclamo per carenza di interesse in quanto vedeva
unicamente su ragioni processuali, senza involgere questioni attinenti alla
sussistenza dei presupposti, soggettivi ed oggettivi, per la dichiarazione di
fallimento; 4) la mancata pronunzia sulla eccezione di inammissibilità del
SU10f3698-13+SU1Of15612-14

della competenza, avrebbe dovuto, in applicazione analogica dell’art. 48

reclamo per la deduzione di meri motivi di rito; 5) il mancato rilievo del
difetto di interesse a proporre un reclamo col quale non erano contestati i
.

presupposti della dichiarazione di fallimento; 6) l’erronea attribuzione di
rilevanza a quella ragione processuale, vale a dire la pendenza del

i concordato preventivo, che aveva condotto la Corte d’appello di Venezia ad
accogliere il reclamo; a tal fine si osserva che la proposizione della domanda
di concordato non fa venire meno automaticamente la possibilità di

affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n.
1521 del 23 gennaio 2013, il potere di bilanciare gli opposti interessi,
coordinando quello del debitore, che chiede di essere ammesso al
concordato preventivo, con gli interessi sottostanti alla ‘procedura
fallimentare; ciò al fine di evitare abusi, non essendo attribuita al debitore la
facoltà di disporre unilateralmente e potestativamente dei tempi del
procedimento fallimentare, paralizzando così le possibili iniziative
recuperatorie del curatore; 7) la violazione dell’art. 173 I. fall. in quanto la
Corte di appello aveva accolto il reclamo avverso la dichiarazione di
improcedibilità del concordato, insuscettibile di autonoma impugnazione; 8)
la violazione degli artt. 18 e 26 1. fall. in quanto era stato accolto il reclamo
proposto contro il decreto di nomina del giudice delegato e del curatore,
malgrado il carattere meramente ordinatorio dei provvedimenti.
Con il ricorso incidentale condizionato, Giancarlo Tonetto e Paolo
Bella mio lamentano che: 1) erroneamente era stata affermata
l’improcedibilità del concordato preventivo, dotato di pregiudizialità logica
rispetto al fallimento; 2) che erroneamente era stata disposta la
prosecuzione della procedura fallimentare innanzi al Tribunale di Venezia.
4.

I primi due motivi del ricorso principale possono essere esaminati

congiuntamente e sono infondati per le ragioni esposte nell’esame del primo
motivo del ricorso NRG 3698/2013. Infatti, alla cassazione senza rinvio della
sentenza non definitiva in data 10 agosto 2012 della Corte di appello di
Napoli consegue la perdita di efficacia, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., della
sentenza definitiva, in data 10 marzo 2014, con la quale la stessa Corte di
appello ha dichiarato improcedibile il reclamo sul presupposto, cancellato
con la cassazione, dell’assenza di altri punti da decidere dopo quelli decisi
con la sentenza non definitiva.
SU10f3698-13+SU1Of15612-14

dichiarare il fallimento, poichè al tribunale deve essere riconosciuto, come

5.

Il sesto motivo, per ragioni di ordine logico, deve essere esaminato

prima dei terzo, quarto e quinto motivo poiché soltanto dopo avere risolto la
questione del rapporto tra le procedure si può valutare l’interesse ad
impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento per ragioni attinenti alla
dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato. Il motivo è
infondato.
Il tema dei rapporti tra procedimento prefallimentare e procedimento di

del 23 gennaio 2013, in una situazione nella quale il fallimento
dell’imprenditore era stato dichiarato dopo il diniego di omologazione della
sua domanda di concordato preventivo ed il tema in questione era stato
prospettato sotto il peculiare profilo della necessità o meno di attendere la
definizione dell’impugnazione, avverso il diniego di omologazione del
concordato, prima di dichiarare il fallimento; nella fattispecie esaminata,
pertanto il c.d. principio di prevenzione aveva trovato pratica applicazione
nella fase di primo grado e si discuteva soltanto se dovesse trovare
applicazione anche nella fase dell’impugnazione. La motivazione seguita
nell’occasione dalla Corte aveva, tuttavia, una portata più ampia di quella
del caso deciso, poiché conduceva a negare in assoluto la permanenza nel
nostro ordinamento del c.d. principio di prevenzione.
Nella parte che interessa, la sentenza n. 1521/2013, dopo avere dato
rilievo alla eliminazione, nel corpo del primo comma dell’art. 160 I. fall.,
dell’inciso («fino a che il suo fallimento non è dichiarato») cui
tradizionalmente si ancorava l’affermazione del criterio della prevenzione, ha
svolto le seguenti considerazioni: «non ricorre certamente nella specie
un’ipotesi di pregiudizialità necessaria, atteso che: non sono sovrapponibili
le situazioni esaminate nelle due distinte procedure di fallimento e di
concordato (C. 11/3059); la, sospensione è istituto eccezionale che incide in
termini limitativi rispetto all’esercizio del diritto di azione, e che pertanto
può trovare applicazione soltanto quando la situazione sostanziale dedotta
nel processo pregiudicante rappresenti il fatto costitutivo di quella dedotta
nella causa pregiudicata (C. 03/14670), ipotesi non ricorrente nel caso in
esame; il vigente codice di rito esclude casi di sospensione discrezionale e
non prevede inoltre casi di sospensione impropria o atecnica. Al contrario,
deve invece ritenersi che il rapporto tra concordato preventivo e fallimento
SU1013698-13+SU10f15612-14

concordato preventivo è stato affrontato dalla richiamata sentenza n. 1521

si atteggi come un fenomeno di conseguenzialità (eventuale del fallimento,
all’esito negativo della procedura di concordato) e di assorbimento (dei vizi
del provvedimento di rigetto in motivi di impugnazione del successivo
fallimento), che determina una mera esigenza di coordinamento fra i due
procedimenti (C. 11/3059). Ne consegue ulteriormente che la facoltà per il
debitore di proporre una procedura concorsuale alternativa al suo fallimento
non rappresenta un fatto impeditivo alla relativa dichiarazione (C. 12/18190,

debitore, che non potrebbe comunque “disporre unilateralmente e
potestativamente dei tempi del procedimento fallimentare”, venendo così a
paralizzare le iniziative recuperatorie del curatore (C. 18190 cit., C.
97/10383) e ad incidere negativamente sul principio costituzionale della
ragionevole durata del processo. La conseguenzialità logica tra le due
procedure non si traduce dunque anche in una conseguenzialità
procedimentale, ferma restando la connessione fra l’eventuale decreto di
rigetto del ricorso per concordato e la successiva conseguenziale sentenza di
fallimento, anche se non emessa contestualmente al primo provvedimento,
dovendosi in tal caso farsi valere i vizi del decreto mediante l’impugnazione
della sentenza di fallimento (C. 11/3586, C. 08/9743)».
6.

Il superamento del principio di prevenzione (idest di prevalenza del

concordato preventivo) e la sussistenza di una mera esigenza di
coordinamento tra la procedura di concordato preventivo e quella
prefallimentare non sono state condivise dalla citata ordinanza interlocutoria
n. 9476 del 30 aprile 2014, secondo cui la perdurante vigenza del predetto
principio è «ricavabile dal sistema, il quale attribuisce al concordato
preventivo la funzione di prevenire – appunto – il fallimento attraverso una
soluzione alternativa basata sull’accordo del debitore con la maggioranza dei
creditori. Tale funzione preventiva comporta sia che, prima di dichiarare il
fallimento, debba necessariamente essere esaminata l’eventuale domanda
di concordato presentata dal debitore, per far luogo, poi, alla dichiarazione
del fallimento solo in caso di mancata apertura della procedura minore; sia
che, una volta aperta quest’ultima ai sensi dell’art. 163 legge fallim., il
fallimento non possa più essere dichiarato sino alla conclusione di essa in
senso negativo, ossia con la mancata approvazione ai sensi dell’art. 179, il

SUl0f3698-13+SU10f15612-14

C. 09/19214), ma una semplice esplicazione del diritto di difesa del

rigetto ai sensi dell’art. 180, u.c., ovvero la revoca dell’ammissione ai sensi
dell’art. 173».
Tali conclusioni, secondo la predetta ordinanza, troverebbero
conferma in espresse disposizioni della legge fallimentare, specie se lette
alla luce della indicata funzione del concordato preventivo. «Così l’art. 162,
comma 2, (cui rinvia anche il richiamato art. 179) consente la dichiarazione
di fallimento, “su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero”,

concordato, e nulla autorizza a pensare che il legislatore abbia inteso riferirsi
esclusivamente all’Istanza o richiesta sopraggiunte alla declaratoria stessa e
non anche a quelle eventualmente già presentate in precedenza; tanto più
che sembra doversi ritenere che la dichiarazione del fallimento sia
consentita anche all’esito dell’unica audizione del debitore prevista dal
medesimo comma (audizione da estendere ovviamente, per completezza di
contraddittorio, all’esame anche dell’istanza o richiesta di fallimento, oltre
che della domanda di concordato), necessariamente anteriore alla
declaratoria d’inammissibilità; la quale, infine, ben può essere contenuta
nella medesima sentenza dichiarativa del fallimento (Cass. 12986/2009), a
conferma della ordinaria contestualità dei due procedimenti volti
rispettivamente alla declaratoria d’inammissibilità del concordato e alla
dichiarazione del fallimento. Alla stessa maniera l’art. 180, u.c., consente la
dichiarazione del fallimento soltanto “se il tribunale respinge il concordato”,
dunque non prima di ciò e non al di fuori della relativa procedura.

E

analogamente dispone anche l’art. 173. Infine, l’art. 161, comma 10
(Introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n.
134), prevede, per l’ipotesi di presentazione della domanda di concordato
con riserva in pendenza di procedimento per la dichiarazione di fallimento,
una riduzione del termine per sciogliere la riserva stessa: prevede, in altri
termini, un’accelerazione dei tempi della definizione della procedura relativa
alla domanda di concordato, in considerazione della pendenza del
procedimento prefallimentare, che non avrebbe ragion d’essere se il
fallimento potesse essere dichiarato anche prima della decisione sulla
procedura minore. Né va sottaciuta l’attenzione prestata dai legislatore, nel
riformare la legge fallimentare, agli effetti “protettivi” della domanda di
concordato. L’anticipazione della decorrenza dei termini di cui agli artt. 64 e
SU1013698-13+SU10f15612-14

soltanto a seguito della declaratoria d’inammissibilità della proposta di

65, art. 67, commi 1 e 2 e art. 69 alla pubblicazione di tale domanda in ogni
caso in cui ad essa “segua la dichiarazione di fallimento” – dunque anche in
caso di inammissibilità della domanda stessa – ai sensi dell’art. 69 bis,
comma 2 (inserito dal già richiamato D.L. n. 83 del 2012), e l’estensione
degli effetti della presentazione di quest’ultima a quelli previsti dall’art. 45,
ai sensi dell’art. 169 novellato, impediscono che il ritardo nella dichiarazione
del fallimento, derivante dalla necessità del previo esame della domanda di
par condicio creditorum

e

confermano, al tempo stesso, l’intenzione del legislatore di mantenere la
necessità di tale esame preventivo».
7.

Si deve anzitutto escludere che la soluzione delle questioni in tema di

rapporti tra la procedura prefallimentare e quella di concordato preventivo
possa essere influenzata dall’eliminazione dell’inciso già contenuto nell’art.
160, comma 1, I. fall. Invero, continua ad essere tuttora evidente che
l’imprenditore può presentare domanda di concordato preventivo soltanto
«fino a che il suo fallimento non è dichiarato» e che, per l’assenza di un
effetto prenotativo, la presentazione di una istanza di fallimento non
preclude all’imprenditore la possibilità di presentare domanda di concordato.
In realtà, l’inciso, che era ridondante e sostanzialmente neutro rispetto
all’ordine di trattazione delle procedure, dopo la riforma sarebbe stato
incoerente con l’individuazione del presupposto della procedura di
concordato nello stato di crisi e non necessariamente di insolvenza.
Piuttosto, le novità che possono suscitare perplessità sulla
permanenza del principio di prevenzione sono rappresentate dalla
abrogazione, anche nel corso della procedura di concordato preventivo, del
fallimento d’ufficio e dai venire meno della identità del presupposto delle due
procedure. Infatti, la possibilità che il tribunale, indipendentemente da una
istanza, dichiarasse il fallimento nel corso del procedimento di concordato,
da un lato, rendeva immanente l’esito alternativo del fallimento e, dall’altro,
lo agganciava ad un incidente di percorso del procedimento, che pertanto
doveva avere un esito negativo perché potesse essere dichiarato il
fallimento.
Peraltro, neppure l’abrogazione dei fallimento d’ufficio e la
diversificazione dei presupposti delle due procedure consentono di per sé di
affermare il superamento del principio di prevenzione con il quale non sono
SU10f3698-13+SU10f15612-14

concordato, incida negativamente sulla

incompatibili. Perciò, quando la crisi che il debitore chiede di regolare con il
concordato preventivo ha i connotati di uno stato di insolvenza e quando
uno o più creditori chiedono di regolare la stessa crisi con la procedura
fallimentare, non è precluso chiedersi se alla non discussa priorità logica del
concordato preventivo, quale procedura diretta a prevenire la dichiarazione
di fallimento, corrisponda la permanenza del principio di prevenzione.
In questo senso, come riferito, si è espressa la citata ordinanza n.

necessaria l’istanza dei creditori o la richiesta del pubblico ministero, resta
fermo che la dichiarazione di fallimento, nelle ipotesi previste dagli artt. 162,
173, 169 e 180 1. fall., presuppone rispettivamente l’inammissibilità della
domanda di concordato, la revoca dell’ammissione alla procedura, la
mancata approvazione della proposta e la mancata omologazione e perciò,
sempre, il previa esaurimento del procedimento di concordato. Una parte
della dottrina, tuttavia, rileva esattamente che la lettera delle richiamate
disposizioni non si esprime sull’ordine di trattazione delle procedure, ma
afferma soltanto la necessità di una istanza o di una richiesta di fallimento,
per procedere alla relativa dichiarazione, dopo l’esito negativo del
procedimento di concordato. Ci si deve perciò chiedere se le disposizioni in
questione rappresentino o meno il momento di emersione a livello
normativo della possibilità di dichiarare il fallimento solo dopo l’esaurimento
della procedura di concordato e, quindi, della scelta del legislatore quanto
all’ordine di trattazione delle procedure. Di tale scelta, però, per poterla
affermare, si devono trovare riscontri nel complessivo sistema delineato dal
legislatore.
Una conferma, contrariamente a quanto sostenuto da parte della
dottrina, non può essere rinvenuta nel disposto dell’art. 168, primo comma,
l. fall. poiché sembra doversi dare risposta negativa all’interrogativo se il
divieto per i creditori, ivi disposto, di iniziare o proseguire azioni esecutive
sul patrimonio del debitore sia comprensivo o meno anche dell’istanza di
fallimento, considerato l’effetto di pignoramento generale prodotto dalla
sentenza che l’accoglie. La disposizione, infatti, è diretta a non alterare la
par condicio creditorum in pendenza della procedura di concordato e, quindi,
ad essa non si può ricondurre l’impedimento all’apertura della procedura di
fallimento, che è diretta a realizzare proprio la par condicio. Inoltre, la
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9476/2014, svolgendo i sopra riportati rilievi: anche se dopo la riforma è

disposizione fa riferimento all’iniziativa del creditore e ciò comporta, da un
lato, la mancata previsione di analogo divieto per l’iniziativa del pubblico
ministero e, dall’altro, la difficoltà di attribuire all’iniziativa del creditore il
carattere anche esecutivo proprio della sentenza di fallimento. Ciò che
conta, tuttavia, è che comunque la citata disposizione, accogliendo la
soluzione negativa, diventa neutra rispetto al problema in esame e non
consente di fondare su di essa argomenti contrari alla necessità del previo

8.

Dopo la riforma non solo il concordato preventivo ha mantenuto la

funzione di prevenire il fallimento attraverso una soluzione alternativa della
crisi, ma tale funzione viene svolta con un accentuato carattere negoziale
dell’istituto e con un ridimensionamento dei connotati pubblicistici: è affidata
perciò soltanto ai creditori, sia pure sulla base di una informazione la cui
correttezza e completezza è controllata dal tribunale (Cass. 9 maggio 2013,
n. 11014; Cass. 27 maggio 2013, n. 13083), la valutazione di convenienza
della proposta di concordato e della fattibilità economica del relativo piano,
restando consentita al tribunale solo la valutazione della fattibilità giuridica,
anche sotto il profilo della idoneità ad assicurare il soddisfacimento della
causa della procedura (Cass. s.u. n. 1521/2013 cit. e la successiva
giurisprudenza di questa Corte). Con tale quadro non è compatibile l’idea
che il coordinamento tra i due procedimenti, pacificamente indispensabile
per l’identità della crisi da regolare, sia affidato alla discrezionalità del
tribunale, al quale, se sono sottratte le valutazioni di convenienza e di
fattibilità nel merito, non può che essere sottratta anche la possibilità di
provvedere ad un bilanciamento degli interessi coinvolti dalla scelta tra
concordato preventivo e fallimento. Né, tantomeno, può accettarsi l’idea,
prospettata in dottrina, di una competizione tra le procedure da risolvere
decidendo per prima quella che per prima giunge a maturità istruttoria. Ciò
non tanto perché i tempi delle procedure, quando non sono affidati al caso,
sono pur sempre regolati dal tribunale, ma perché la soluzione proposta, da
un lato, suppone che un ordine di trattazione non sia stabilito dal legislatore
né demandato al tribunale e, dall’altro, è capace di condurre a risultati
paradossali come l’apertura del fallimento, quando la relativa istruttoria sia
chiusa, pur in presenza di una convenientissima proposta di concordato
(perché, ad esempio, è previsto l’intervento di un terzo), magari già
SUl0f3698-13+SU1Of15612-14

esaurimento della procedura di concordato.

approvata dalla maggioranza dei creditori e soltanto da omologare, ovvero
come la necessità, comunque, di un ordine di trattazione quando le
procedure siano di fatto entrambe in una situazione di completa istruttoria.
L’esclusione, per incompatibilità col sistema, di un bilanciamento degli
interessi affidato al tribunale o di una cieca competizione tra le procedure
accresce, da un lato, l’esigenza di individuare un ordine di trattazione e,
dall’altro, la verosimiglianza dell’ipotesi che l’ordine indicato dagli artt. 162,

Nello stesso senso si può osservare che la dichiarazione di fallimento, in
pendenza della procedura di concordato e su istanza di un creditore,
finirebbe incomprensibilmente per rendere irrilevante il procedimento di
approvazione della proposta di concordato, persino nel caso di una
approvazione già intervenuta, attribuendo decisivo rilievo alla contraria
volontà anche di un solo creditore e ciò al di fuori del procedimento di
omologazione, ove l’opposizione trova la sua sede naturale con la precisa
indicazione dei limiti entro i quali assume rilievo. Con ciò non si vuole affatto
dire che in pendenza della procedura di concordato al creditore dissenziente
sia consentito soltanto esprimere voto contrario all’approvazione ovvero
opporsi all’omologazione e non anche presentare istanza di fallimento. Il
voto contrario e l’opposizione non equivalgono certamente alla istanza di
fallimento e neppure l’assorbono, come si desume senza ombra di dubbio
dalla prevista necessità della presentazione dell’istanza perché il tribunale
possa dichiarare il fallimento. La mancanza di equivalenza si spiega sia
perché presupposto della procedura non è solo lo stato di insolvenza ma
anche lo stato di crisi, sia perché il rigetto della proposta potrebbe trovare
spiegazione nella pretesa di migliori condizioni della soluzione concordata o
nella preferenza per una esecuzione individuale. Specularmente il voto
favorevole all’approvazione non comporta certamente la rinunzia ad una
eventuale precedente istanza di fallimento. Ciò che, invece, si vuole dire è
che il creditore contrario all’approvazione del concordato o alla sua
omologazione non sembra possa sfuggire al carattere vincolante ed
universale della procedura di concordato con la semplice presentazione
dell’istanza di fallimento. Sembra, infatti, più coerente con il sistema
ritenere che, finché la procedura di concordato non ha avuto un esito

SUI0f3698-13+SUl0f15612-14

173, 169 e 180 I. fall. sia espressione di un principio generale.

negativo, il creditore che ha chiesto di regolare la crisi attraverso il
fallimento non può ottenere la relativa dichiarazione.
Ne consegue che – durante la pendenza di una procedura di concordato,
sia essa in fase di ammissione, di approvazione o di omologazione – non
può ammettersi il corso di un autonomo procedimento prefallimentare che si
concluda con la dichiarazione di fallimento indipendentemente dal verificarsi
di uno degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 1. fall.

dell’art. 161 l. fall., aggiunto dal d.l. n. 83/2012, che disciplina l’ipotesi della
presentazione di una domanda di concordato con riserva (art. 161, comma
6, I. fall.), nel caso in cui penda il procedimento per la dichiarazione di
fallimento, dettando due disposizioni. Secondo la prima resta fermo «quanto
disposto dall’art. 22, primo comma,» e cioè il fatto che «il tribunale, che
respinge il ricorso per la dichiarazione di fallimento, provvede con decreto
motivato». Ne consegue che la presentazione della domanda di concordato
con riserva non esclude la possibilità di respingere il ricorso eventualmente
pendente per la dichiarazione di fallimento. A contrario, si deve escludere
che sia possibile la dichiarazione di fallimento. La seconda disposizione
dettata dal citato art. 161, comma 10, prevede che il termine per la
presentazione della proposta sia quello minimo di sessanta giorni, senza
possibilità per il tribunale di stabilirlo, come accade in assenza della
pendenza di un procedimento per la dichiarazione di fallimento, tra un
minimo di sessanta giorni ed un massimo di centoventi.
È evidente, pertanto, che la presentazione della domanda di concordato
in pendenza di procedimento per la dichiarazione di fallimento non sospende
e neppure rende improcedibile la procedura prefallinnentare, che può
proseguire nella sua istruttoria e può concludersi con una pronunzia di
rigetto. Non è possibile, invece, la dichiarazione di fallimento, che
priverebbe di senso l’assegnazione non discrezionale del termine di sessanta
giorni per la presentazione della proposta di concordato, allo scopo di
prevenire la dichiarazione di fallimento. Infatti, non può condividersi la
lettura riduttiva secondo la quale la disposizione, senza decretare un ordine
di trattazione o un obbligo di non dichiarare il fallimento, si limiterebbe a
stabilire una protezione (di minore durata) del patrimonio del debitore che
presenta domanda di concordato con riserva in pendenza di una procedura
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Al riguardo assume il rilievo di una decisiva conferma il decimo comma

prefallimentare. Tale lettura, infatti, non è in grado di spiegare
adeguatamente perché sia fatta salva soltanto la possibilità di rigettare
l’istanza di fallimento. Neppure si può condividere l’assunto secondo cui, se
anche potesse trarsi dalla norma un qualche argomento per ritenere una
sorta di pregiudizialità del concordato con riserva sulla dichiarazione di
fallimento, non è detto che tale pregiudizialità si estenderebbe al concordato
ordinario. è semplice, infatti, osservare che se il legislatore ha escluso la

di concordato con riserva, a maggior ragione tale possibilità deve escludersi,
ricorrendo l’eadem ratio del favor per la soluzione negoziata della crisi,
quando la proposta sia stata formulata sin dall’inizio, come accade nel
concordato ordinario, ovvero a scioglimento della riserva.
La conclusione nel senso della possibilità di dichiarare il fallimento solo
dopo l’esaurimento con esito negativo della procedura di concordato trova,
poi, ulteriore conferma nella disposizione dettata dall’art. 69 bis, comma 2,
I. fall. alla cui stregua il c.d. periodo sospetto, ai fini degli effetti del
fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, si computa a far tempo dalla
«data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle
imprese» «nel caso in cui alla domanda di concordato segua la dichiarazione
di fallimento». Infatti, tale disposizione, non a caso aggiunta anch’essa dal
di. n. 83/2012, esprime, come esattamente sottolineato dall’ordinanza n.
9476/2014, la preoccupazione del legislatore di evitare che i creditori
possano subire un danno per il ritardo nella dichiarazione dei fallimento,
derivante dalla necessità del previo esame della domanda di concordato.
Nello stesso senso opera, poi, la previsione del noveliato art. 169 I. fall. che
ha fatto discendere dalla presentazione della domanda di concordato anche
gli effetti previsti dall’art. 45 I. fall.
La necessità di un previo esame della domanda di concordato preventivo
corrisponde, inoltre, al favor per la procedura, accentuato dalla riforma, tra
l’altro, con l’esclusione del requisito della meritevolezza e con la
presunzione, ai fini del calcolo delle maggioranze, dell’adesione alla proposta
dei creditori che non hanno votato in adunanza e non hanno espresso il loro
dissenso nei venti giorni successivi (art. 178 l. fall.).
Infine, la soluzione della necessità del previo esame della domanda di
concordato è coerente con quanto chiesto dalla Commissione Europea con la
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possibilità di dichiarare il fallimento dopo la presentazione di una domanda

raccomandazione del 12 marzo 2014 («su un nuovo approccio al fallimento
delle imprese e all’insolvenza»). Con detta raccomandazione, infatti, è stato
chiesto agli Stati membri di prevedere, allo scopo di facilitare i negoziati sui
piani di ristrutturazione, la sospensione delle «domande dei creditori di
aprire la procedura di insolvenza contro il debitore» presentate dopo la
proposta di concordato; nulla, invece, è stato “raccomandato” quanto alla

per le quali, tuttavia, la sospensione non viene esclusa. Come è noto, la
raccomandazione della Commissione Europea è un atto non vincolante, del
quale, tuttavia, il giudice nazionale deve tenere conto nella interpretazione
del diritto interno (CEG 13 dicembre 1989, causa C-322/ Grimaldi). In
questa sede, indipendentemente dalla (im)possibilità (v.

infra § 9) di

configurare nel nostro ordinamento una sospensione del procedimento
prefallimentare per la pendenza di una procedura di concordato preventivo,
ciò che conta è l’esigenza, espressa dalla raccomandazione, di escludere che
la possibilità di regolare l’insolvenza attraverso un accordo tra debitore e
maggioranza dei creditori venga meno per la presentazione di una istanza di
fallimento. La necessità di un previo esaurimento della procedura di
concordato soddisfa certamente tale esigenza.
In conclusione, non solo è necessario un coordinamento tra le
procedure, ma è anche necessario che tale coordinamento avvenga
assicurando il previo esaurimento della procedura di concordato preventivo.
Si deve qui chiarire, come esattamente affermato dall’ordinanza n.
9476/2014, che la temporanea non dichiarabilità del fallimento non riguarda
le fasi d’impugnazione dei provvedimenti che pongono fine – nelle fattispecie
previste dagli artt. 162, 173, 179 e 180 I. fall. – alla prospettiva
concordataria e perciò, per dichiarare il fallimento, non è necessario
attendere l’esito di dette impugnazioni. Invero, il decreto d’inammissibilità
della proposta di concordato, ai sensi dell’art. 162, comma 2, l. fall., è
espressamente dichiarato non reclamabile, e anche allorché se ne ammette
la ricorribilità per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., si precisa che il
ricorso è consentito solo in quanto non sia stato altresì dichiarato il
fallimento (Cass. s.u. 14 aprile 2008, n. 9743; Cass. 25 settembre 2013, n.
21901; Cass. 2 aprile 2010, n. 8186). Se ciò è, invece, avvenuto, l’art. 162,
comma 3, prevede la reciamabilità della sentenza che dichiara il fallimento,
SUl0f3698-13+SU1Of15612-14

sorte delle eventuali istanze presentate prima della proposta di concordato,

precisando che con il reclamo possono farsi valere anche motivi attinenti
all’ammissibilità della proposta di concordato: con il che il legislatore dice
espressamente che con la dichiarazione di inammissibilità del concordato
diventa possibile la dichiarazione di fallimento. Quanto ai decreti di revoca e
di rigetto del concordato, gli artt. 173 e 180 citati prevedono espressamente
la contestualità degli stessi e della possibile sentenza dichiarativa del

fallimento nel caso di mancata approvazione del concordato. Analoga alla
previsione dell’art. 163, comma 3, pur nel parziale silenzio del legislatore, è
la soluzione accolta da questa Corte con riguardo alla deducibilità con
l’impugnazione avverso la dichiarazione di fallimento dei vizi che hanno
condotto all’esito negativo della procedura di concordato (Cass. 8 maggio
2014, n. 9998 in un caso di revoca dell’ammissione al concordato. Cass. 30
marzo 1998, n. 3332; Cass. 24 marzo 2000, n. 3521 in tema di mancata
approvazione del concordato. Cass. s.u. 23 gennaio 2013, n. 1521; Cass. 26
settembre 2013, n. 22083; Cass. 20 febbraio 2015, n. 3452, in tema di
mancata omologazione del concordato).
L’affermazione della dichiarabilità del fallimento, durante le fasi di
impugnazione dei provvedimenti che concludono negativamente la
procedura di concordato, non è in contraddizione con la precedente
affermazione della necessità del previo esaurimento negativo della
procedura di concordato preventivo nei casi previsti dagli artt. 162, 173,
179 e 180 1. fai]. Infatti, come si ricorderà nel prossimo paragrafo, tale
necessità non è il frutto di una pregiudizialità tecnico-giuridica, ma soltanto
di una valutazione di opportunità che il legislatore non ha affidato al giudice,
ma ha effettuato direttamente, escludendo la non dichiarabilità del
fallimento nelle predette fasi di impugnazione.
9.

Resta da esaminare come la soluzione accolta possa avere concreta

attuazione e come la stessa possa fronteggiare eventuali abusi del debitore.
Il principio da attuare è quello della necessità del preventivo esame
della domanda di concordato e della dichiarabilità del fallimento solo al
verificarsi di uno dei possibili esiti negativi del concordato preventivo previsti
dagli artt. 162, 173, 179 e 180 I. fall.
La contemporanea pendenza di una procedura prefallimentare e di
una domanda di concordato non può dare luogo alla sospensione della
SU10f3698-13-1-SU10f15612-14

fallimento, così come l’art. 179 prevede la possibile dichiarazione di

prima. In senso contrario depongono sia la ricordata disciplina dettata
dall’art. 161, comma 10, I. fall., che lascia ferma la possibilità di rigettare
l’istanza o la richiesta di fallimento, sia l’assenza di un rapporto di
pregiudizialità tecnico-giuridica. Sul punto, ormai pacifico nella
giurisprudenza di questa Corte e in dottrina, si può richiamare quanto detto
da queste sezioni unite con la citata sentenza n. 1521 del 23 gennaio 2013 e
sopra riportato (§ 5).

dichiarazione di improcedibilità la procedura prefallimentare che, invece, può
proseguire con l’istruttoria e concludersi con il rigetto dell’istanza o della
richiesta di fallimento.
La soluzione deve essere, pertanto, ricercata attraverso l’esame del
rapporto tra i due procedimenti per giungere ad identificare lo strumento
eventualmente posto a disposizione dal codice di rito. Sotto il primo profilo
assumono rilievo: 1) la parziale coincidenza dei soggetti, quando l’iniziativa
per la dichiarazione di fallimento è assunta dal creditore, che in quanto tale
rientra anche tra i soggetti che sono parti sostanziali della procedura di
concordato; 2) la coincidenza della causa petendi, rappresentata dallo stato
di insolvenza; 3) la parziale coincidenza del

petitum, rappresentato in

entrambi i casi dalla regolazione della crisi (sub specie dello stato di
insolvenza), ma secondo le diverse regole delle due procedure, con
conseguente incompatibilità tra le istanze: la dichiarazione di fallimento
presuppone per quanto sopra detto l’esito negativo della procedura di
concordato e non consente la presentazione di ulteriori domande di
concordato preventivo mentre l’omologazione del concordato rende
improcedibili le istanze di fallimento già presentate e rimuove lo stato di
insolvenza, rendendo possibile la presentazione di nuove istanze solo per
fatti sopravvenuti o per la risoluzione o l’annullamento del concordato.
La giurisprudenza di questa Corte ha adottato un concetto di
continenza piuttosto ampio, affermando che la continenza di cause ricorre
non solo quando due cause siano caratterizzate da identità di soggetti e
titolo e da una differenza soltanto quantitativa dell’oggetto, ma anche
quando fra le due cause sussista un rapporto di interdipendenza, come nel
caso in cui sono prospettate, con riferimento ad un unico rapporto
negoziale, domande contrapposte, o in relazione di alternatività (cd.
SU10f3698-13+SU10fl5612-14

Neppure è possibile, per quanto già detto, definire con una

continenza per specularità: Cass. ord. 14 luglio 2011, n. 15532; Cass. s.u.
ord. 1° ottobre 2007, n. 20599; Cass. s.u. 23 luglio 2001, n. 10011; Cass.
30 marzo 2000, n. 3924; Cass. 10 marzo 1999, n. 2077). Tale concetto di
continenza si adatta, tenuto conto delle peculiarità dei due procedimenti,
all’ipotesi di contemporanea pendenza del procedimento prefallimentare e
della procedura di concordato preventivo, sia prima che dopo l’ammissione.
Ne consegue che quando i due procedimenti pendono innanzi allo stesso

ord. 23 settembre 2013, n. 21761; Cass. 21 aprile 2010, n. 9510; Cass. 19
luglio 2004, n. 13348); quando, invece, i procedimenti si trovano innanzi a
giudici diversi (il che nel caso in questione investe ipotesi marginali legate al
trasferimento di sede ed al diverso momento di deposito degli atti
introduttivi) trova applicazione l’art. 39, comma 2, c.p.c.
10. La preoccupazione dell’abuso del processo da patte del debitore ha
condizionato l’atteggiamento di parte della giurisprudenza di merito e della
dottrina rispetto alla questione dei rapporti tra le due procedure,
suggerendo le strade, che si sono sopra escluse, del bilanciamento degli
interessi affidato al giudice ovvero della competizione delle procedure. La
riunione dei procedimenti ridimensiona, almeno nella maggior parte dei casi,
i temuti problemi di abuso del diritto attraverso la presentazione di nuove
domande di concordato dopo l’esito negativo della prima, quando siano
pendenti istanze o richiesta di fallimento (per l’inammissibilità di tali
domande v., da ultimo, Cass. 14 gennaio 2015, n. 495).
Infatti, la riunione delle procedure comporta non solo la fruibilità in
ciascuna procedura del materiale probatorio raccolto nell’altra, ma anche lo
svolgimento di un pieno contraddittorio tra le parti in ordine ai presupposti
oggettivi e soggettivi di entrambe le procedure concorsuali, garantendo il
diritto di difesa del debitore. Ne consegue che al momento della pronunzia
negativa ex artt. 162, 173, 179 e 180 I. fall., in ordine alla proposta di
concordato, il tribunale può decidere in via definitiva anche le istanze di
fallimento riunite, dichiarando il fallimento del debitore se ne ricorrono i
presupposti; mentre, in caso di esito positivo del giudizio di omologazione
ex art. 180 I. fall., il tribunale può dichiarare l’improcedibilità delle istanze di
fallimento riunite.

SUM3698-13+SUI0f15612-14

giudice si deve provvedere alla riunione, ai sensi dell’art. 273 c.p.c. (Cass.

Si deve, inoltre, osservare che il problema dell’abuso è stato ben
presente all’attenzione del legislatore della riforma che ha previsto, in
generale, la necessità dell’autorizzazione del tribunale per il compimento
.

degli atti urgenti di straordinaria amministrazione e, rispetto alla ipotesi più
suscettibile di abusi, ovvero quella del concordato con riserva, ha anche
previsto obblighi informativi periodici, la cui inosservanza determina
l’inammissibilità della proposta e la dichiarazione di fallimento su istanza dei
creditori o su richiesta del pubblico ministero. Il legislatore, poi, con il di. n.
69/2013, sempre con riferimento al concordato con riserva, ha anche
previsto la possibile nomina di un commissario giudiziale nonché, quando
risulta che l’attività compiuta dal debitore è manifestamente inidonea alla
predisposizione della proposta e del piano, l’abbreviazione dei termini allo
scopo concessi. Rispetto al concordato con riserva, il legislatore ha, infine,
previsto una ulteriore ipotesi di inammissibilità «quando il debitore, nei due
anni precedenti, ha presentato altra domanda ai sensi dei medesimo comma
alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato
preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti».
La ricordata disciplina, peraltro, non individua ipotesi di abuso del
processo, ma detta una serie di cautele destinate ad operare nell’area in cui
maggiore è la possibilità di un abuso. Tali cautele, tuttavia, non possono
escludere che il debitore possa preSentare domande di concordato, con o
senza riserva, con una mera ed evidente finalità dilatoria. In questo caso,
quando cioè lo scopo del debitore non è quello di regolare la crisi
dell’impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma quello di differire
la dichiarazione di fallimento, la proposta di concordato si deve considerare
inammissibile, secondo i principi affermati da questa Corte in tema di abuso
del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di
correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto
processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti
o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti (Cass.
s.u. 15 novembre 2007, n. 23726; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22502; Cass. 22
gennaio 2014, n. 1271).
Il tribunale, pertanto, in caso di abuso della domanda di concordato,
può procedere alla dichiarazione di inammissibilità della proposta ed alla
dichiarazione di fallimento, rispettando così, anche in questo caso, il
SU10f3698-13+SUI0f15612-14

W’

principio che vuole l’esaurimento della procedura di concordato prima della
.. dichiarazione di fallimento e senza che possa configurarsi eccezione alla
regola della deducibilità, in sede di impugnazione della dichiarazione di
fallimento, degli eventuali vizi relativi alla declaratoria di inammissibilità
della proposta.
11. Si può a questo punto passare all’esame del terzo, quarto e quinto
motivo del ricorso principale. Il terzo ed il quinto possono essere esaminati
congiuntamente per la sostanziale unitarietà della censura e sono infondati.
Nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato il principio, invocato dal
fallimento ricorrente, secondo cui in materia di impugnazioni civili, dai
principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di
interesse ad agire si desume che la denunzia di vizi dell’attività del giudice
che comportano la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi
dell’art. 360, n. 4, c.p.c., non tutela l’astratta regolarità dell’attività
giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di
difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio; pertanto,
laddove non sia indicato lo specifico e concreto pregiudizio subito, il dedotto
error in procedendo

non acquista rilievo idoneo a determinare

l’annullamento della sentenza impugnata (e plurimis e da ultimo Cass. 12
dicembre 2014, n. 26157). Tale principio, tuttavia, non conduceva nella
specie alla inammissibilità del reclamo, essendo evidente che i vizi
processuali denunziati avevano determinato non solo la dichiarazione di
inammissibilità della domanda di concordato con riserva, ma anche e
soprattutto la dichiarazione di fallimento, con il conseguente pregiudizio in
re ipsa di vedere l’insolvenza regolata non attraverso la procedura di
concordato preventivo, come richiesto dal debitore, ma attraverso la
dichiarazione di fallimento. Si deve, quindi, concludere che la dichiarazione
di fallimento può essere impugnata anche allegando soltanto censure in
ordine alla mancata ammissione al concordato (Cass. s.u. 14 aprile 2008, n.
9743; Cass. 2 aprile 2010, n. 8186; Cass. 14 febbraio 2011, n. 3586).
Anche il quarto motivo è infondato. La pronunzia della Corte di appello
nel merito sottintende, infatti, l’implicito rigetto della eccezione di
inammissibilità (Cass. 8 marzo 2007, n. 5351) dei reclamo, prescindendo
dalla pacifica inconfigurabilità di un vizio di omessa pronunzia per l’omesso
esame di una questione procedurale, al quale può connettersi soltanto una
SUl0f3698-13+SU10fl 5612-14

,

nullità della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c.,
qualora sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione
sollevata dalla parte (Cass. 24 giugno 2005, n. 13649; Cass. 28 marzo
2014, n. 7406).
12.

Il settimo ed ottavo motivo possono essere esaminati congiuntamente

e sono infondati. Infatti, la Corte di appello ha revocato il decreto con cui
era stata dichiarata l’improcedibilità del concordato preventivo ed il decreto

innanzi al Tribunale di Venezia, non sulla base di vizi propri di detti decreti,
ma sul rilievo che tali provvedimenti erano travolti dalla revoca del
fallimento, in quanto «adottati dal tribunale di Venezia siccome
consequenziali alla ritenuta persistenza del fallimento».
13.

In conclusione, devono essere affermati i seguenti principi di diritto:
1) qualora la sentenza dichiarativa di fallimento sia stata impugnata

con reclamo, allegando sia l’incompetenza del tribunale che l’ha pronunziata
sia la mancata instaurazione del contraddittorio, e qualora il diverso
tribunale innanzi al quale pende una procedura di concordato preventivo
abbia chiesto, ritenendosi competente, il regolamento d’ufficio della
competenza, ricorrono le condizioni per l’applicazione analogica dell’art. 48
c.p.c.; ne consegue la nullità della sentenza se la corte di appello dichiara la
sospensione del processo solo dopo avere pronunziato sulle questioni
diverse da quella della competenza e successivamente, in sede di
regolamento, viene dichiarata l’incompetenza del tribunale che ha emesso la
sentenza di fallimento;
2) in pendenza di un procedimento di concordato preventivo, sia esso
ordinario o con riserva, il fallimento dell’imprenditore, su istanza di un
creditore o su richiesta del pubblico ministero, può essere dichiarato
soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180
I. fall. e cioè, rispettivamente, quando la domanda di concordato sia stata
dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l’ammissione alla
procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e
quando/ all’esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il
concordato; la dichiarazione di fallimento, peraltro, non sussistendo un
rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, non è esclusa

SUl0f3698-13+SUI0f15612-14

di nomina del curatore e del giudice delegato, nel fallimento che proseguiva

durante le eventuali fasi di impugnazione dell’esito negativo del concordato

preventivo;
3) la pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso
ordinario o con riserva, non rende improcedibile il procedimento
prefallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del pubblico
ministero, né ne consente la sospensione, ma impedisce temporaneamente
soltanto la dichiarazione di fallimento sino ai verificarsi degli eventi previsti
dagli artt. 162, 173, 179 e 180 1. fall.; il procedimento, pertanto, può essere
istruito e può concludersi con un decreto di rigetto;
4) tra la domanda di concordato preventivo e l’istanza o la richiesta di
fallimento ricorre, in quanto iniziative tra loro incompatibili e dirette a
regolare la stessa situazione di crisi, un rapporto di continenza. Ne consegue
la riunione dei relativi procedimenti ai sensi dell’art. 273 c.p.c., se pendenti
innanzi allo stesso giudice, ovvero l’applicazione delle disposizioni dettate
dall’art. 39, comma 2, c.p.c. in tema di continenza e competenza, se
pendenti innanzi a giudici diversi;
5) la domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con
riserva, presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa
attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire
la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di
un abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni
generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del
giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità
eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha
predisposti;
6) in tema di concordato preventivo, quando in conseguenza della
ritenuta inammissibilità della domanda il tribunale dichiara il fallimento
dell’imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del pubblico
ministero, può essere impugnata con reclamo solo la sentenza dichiarativa
di fallimento e l’impugnazione può essere proposta anche formulando
soltanto censure avverso la dichiarazione di inammissibilità della domanda
di concordato preventivo.
Sussistono giusti motivi, in considerazione delle incertezze
giurisprudenziali in ordine ai rapporti tra le procedure, per compensare le
spese del giudizio di cassazione.
SUl0f3698-13+SU1Of1 5612-14

1r

P.Q.M.
riunisce il ricorso NRG 15612/2014 al ricorso NRG 3698/2013; accoglie il
primo motivo del ricorso NRG 3698/2013 e dichiara assorbiti gli altri motivi;
cassa senza rinvio la sentenza in data 1° agosto 2012 della Corte di appello
di Napoli; rigetta il ricorso NRG 15612/2014 e dichiara assorbito il ricorso
incidentale; compensa le spese del giudizio di cassazione tra tutte le parti.
Con riferimento al ricorso NRG 15612/2014, ai sensi dell’art. 13, comma 1

il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 febbraio 2015.

quater, del d.p.r. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per

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