Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9933 del 27/05/2020

Cassazione civile sez. I, 27/05/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 27/05/2020), n.9933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30320 del ruolo generale dell’anno 2018

proposto da:

U.O.J., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in

calce al ricorso, dall’avv. Chiara Costagliola, con la quale

elettivamente si domicilia in Roma, alla via Mario Menghini, n. 21,

presso lo studio dell’avv. Pasquale Porfilio;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, Commissione territoriale di Salerno, sezione

di Campobasso;

– intimati –

per la cassazione del decreto del Tribunale di Campobasso n. 2014

depositato in data 13 settembre 2018.

Fatto

RILEVATO

– emerge dal decreto impugnato che la Commissione Territoriale di Salerno, sezione di Campobasso, ha rigettato la domanda proposta da U.O.J., cittadino (OMISSIS), per il riconoscimento dello status di rifugiato, oppure per la concessione della protezione sussidiaria o di quella umanitaria;

– a fondamento della domanda l’istante aveva riferito di appartenere, a partire dal 2010, al movimento di lotta indipendentista IPOB e di essere ricercato dalla polizia a seguito di una manifestazione organizzata dal movimento nel (OMISSIS);

– il Tribunale di Campobasso ha respinto l’impugnazione proposta contro la decisione della Commissione;

– a sostegno della decisione, ha fatto leva sul fatto che le motivazioni non sono risultate plausibili, perchè il ricorrente non è stato in grado di specificare alcunchè in relazione al movimento al quale ha dichiarato di appartenere, nè in ordine alla guerra del Biafra, di cui, peraltro, ha disegnato la bandiera in modo sbagliato; sicchè il racconto è risultato privo di riferimenti temporali e mancante di concatenazione logica;

– a tanto il Tribunale ha aggiunto che nel territorio di provenienza, ossia nello Stato dell’Anambra, non v’è in atto violenza indiscriminata, giacchè l’organizzazione jihadista (OMISSIS) opera nel nord-est del paese, secondo quanto risulta dal rapporto più recente di Amnesty international;

– a base del rigetto della richiesta di concessione della protezione umanitaria, ha escluso l’esistenza di ragioni di vulnerabilità;

– per conseguenza il Tribunale ha disposto la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio;

– contro il decreto propone ricorso il cittadino nigeriano per ottenerne la cassazione, che affida a cinque motivi, cui non v’è replica per iscritto (il Ministero dell’interno si è limitato a dichiararsi disponibile a partecipare all’udienza di discussione).

Diritto

CONSIDERATO

che:

– inammissibile è il primo motivo di ricorso, col quale l’istante lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e c), per il diniego di protezione sussidiaria, là dove il Tribunale di Campobasso avrebbe escluso da un lato la rilevanza della situazione individuale del ricorrente e dall’altro la situazione di pericolo derivante dall’attuale situazione socio-politica della Nigeria;

il motivo è inammissibile quanto al primo aspetto, perchè non intercetta la ratio decidendi, che non consiste nell’affermazione dell’irrilevanza in astratto delle esigenze personali, bensì nell’inconferenza di esse in concreto, per la mancanza di plausibilità; esso è altresì inammissibile in relazione al secondo, giacchè l’accertamento della sussistenza di una minaccia grave e individuale alla vita di colui che chieda la protezione sussidiaria, derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in rapporto alla situazione generale del paese di origine, costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità (tra varie, Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064 e 21 novembre 2018, n. 30105);

– parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso, col quale il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, là dove il Tribunale non avrebbe considerato il conflitto interno nel paese del migrante;

– questa Corte (si veda in particolare Cass. 3 aprile 2019, n. 9304) ha già avuto occasione di stabilire che l’apprezzamento della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria dev’essere ancorato a una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si avrebbe riguardo non già alla situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, a quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

– nel caso in esame, di contro, l’apprezzamento svolto dal giudice di merito e in ordine alla situazione del paese d’origine, e in ordine alla situazione in Italia del ricorrente esclude la sussistenza della condizione di vulnerabilità in questione;

– le considerazioni che precedono evidenziano l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso, col quale si deduce la violazione dell’art. 116 c.p.c. e l’omessa valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali. Ciò in base al principio secondo cui, in tema di valutazione delle allegazioni e delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità; sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione (vedi, tra varie, Cass. 6 aprile 2018, n. 8473). Laddove, all’esame della deduzione del vizio di motivazione, è d’ostacolo il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al regime del quale è soggetta l’impugnazione del decreto;

– sono poi inammissibili gli ultimi due motivi di ricorso, coi quali il ricorrente censura, rispettivamente, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74 e la violazione e falsa applicazione dell’art. 136 del medesimo decreto, con prospettazione di questioni di legittimità costituzionale relativamente alla disciplina della revoca del decreto: in base al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. 8 febbraio 2018, n. 3028 e 11 dicembre 2018, n. 32028) indipendentemente dalla circostanza che sia pronunziato nel contesto della sentenza che definisce il giudizio di merito, il provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio resta in ogni caso assoggettato esclusivamente al mezzo di impugnazione suo proprio, e cioè l’opposizione da proporsi al capo dell’ufficio giudiziario del magistrato che ha disposto la revoca, ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170; sicchè risultano irrilevanti le prospettate questioni di legittimità costituzionale;

– il ricorso va dichiarato inammissibile, senza statuizione in ordine alle spese, per la mancanza di attività difensiva.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2020

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