Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9930 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/04/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 15/04/2021), n.9930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10688-2020 proposto da:

B.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AMERIGO

VESPUCCI N. 34, presso lo studio dell’avvocato ENRICO CECERE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO COPPOLA;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE di AVELLINO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato BRUNELLA MEROLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1136/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

24/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

il Tribunale di Avellino ha respinto l’opposizione, ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 51 e ss., proposta da B.C. avverso l’ordinanza di rigetto dell’impugnativa del licenziamento intimato senza preavviso, del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 55 quater, lett. a), (id est: per falsa attestazione della presenza in servizio) e il codice disciplinare aziendale del 13 luglio 2016, art. 16, comma 5, lett. d);

la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 1136 del 2020, ha respinto il reclamo;

per quanto qui solo residua, la Corte territoriale ha osservato come il profilo della disparità di trattamento (per avere I’ASL, secondo la prospettazione difensiva, irrogato sanzioni più lievi ad altri dipendenti che avevano invece perpetrato fatti di maggiore gravità), ai fini della valutazione della proporzionalità del licenziamento, fosse carente di specificità, per essere ignote le vicende, a tale fine rilevanti, degli altri lavoratori;

secondo i giudici, maggiori elementi erano stati offerti, dalla reclamante, solo in relazione alla posizione della dipendente Petruzziello, la cui condotta era, tuttavia, giudicata diversa da quella addebitata alla ricorrente;

in particolare, in merito al giudizio di gravità in concreto della condotta, la Corte di appello ha osservato come il disvalore della condotta non si esaurisse nel danno economico arrecato all’azienda, effettivamente modesto; l’inaffidabilità della lavoratrice era piuttosto evidenziata dalla quasi quotidiana violazione della normativa di rilevazione delle presenze e dalla indifferenza per la continuità del servizio, dimostrata dall’abitualità con la quale la ricorrente entrava e usciva dalla sede aziendale, facendo in modo di evitare che il sistema apposito potesse registrarla;

per la Corte distrettuale, la condotta era, dunque, connotata da una particolare intensità dell’elemento soggettivo, manifestata dalla diffusività del sistema invalso, dai chiari contorni associativi, per il numero elevato dei dipendenti che vi partecipavano. Nel solo mese preso in considerazione, “in favore” della ricorrente, vi erano state ben 29 timbrature da parte dei colleghi e 8 timbrature della reclamante a vantaggio di altri dipendenti, circostanze che evidenziavano, sul piano oggettivo oltre che volitivo, non solo la disponibilità allo scambio di illeciti favori per eludere il sistema di rilevazione delle presenze ma anche l’abitualità delle condotte e la completa indifferenza per la violazione dei propri doveri di ufficio, tanto più grave, per la funzione ricoperta e la rilevanza dei compiti assegnati;

avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione, la lavoratrice, con un unico ed articolato motivo, successivamente illustrato con memoria;

ha resistito, con controricorso, l’ASL di Avellino;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con un unico e articolato motivo, è dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 111 Cost. e agli artt. 116 e 132 c.p.c., nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 3 Cost., dell’art. 2119 c.c., della L. n. 92 del 2012;

per la parte ricorrente, la Corte di appello, in contrasto con i suoi stessi precedenti giurisprudenziali in casi identici, avrebbe contraddetto il pacifico orientamento della Suprema Corte secondo cui, ove non emergano differenze che giustifichino il diverso trattamento dei lavoratori, può essere valutata e valorizzata dal giudice l’esistenza di soluzioni differenti assunte nei confronti di altri dipendenti, al fine di valutare la proporzionalità della sanzione adottata;

la Corte partenopea avrebbe omesso di esaminare tutte le circostanze relative agli altri dipendenti non licenziati ed indicati nell’atto di reclamo, confermati dalla documentazione versata nel processo e dalla prova per testi raccolta nel giudizio;

il ricorso è inammissibile;

come reso evidente dalla sintesi riportata nello storico di lite, il giudizio di gravità in concreto della condotta e di proporzionalità della sanzione è stato espresso dalla Corte di appello con motivazione esaustiva e condotto con apprezzamento, puntuale e coerente, di plurimi elementi soggettivi ed oggettivi;

i rilievi mossi, anche quelli formalmente prospettati in termini di violazione di legge, schermano, in realtà, questioni di fatto;

parte ricorrente, infatti, non individua nella valutazione di legittimità della sanzione espulsiva da parte del giudice del reclamo alcuno specifico contrasto con criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale; le critiche articolate tendono, piuttosto, a contrastare tale valutazione sotto il profilo della mancata considerazione di alcuni elementi e della errata valorizzazione di circostanze che si asseriscono ininfluenti. In altri termini, oggetto di critica è l’apprezzamento delle circostanze del caso concreto, che costituisce valutazione riservata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 (ex plurimis, Cass. n. 398 del 2020), nella fattispecie, in radice, precluso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 348 ter;

a norma dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, infatti, allorquando la sentenza d’appello conferma la decisione di primo grado (pronuncia c.d. doppia conforme) il ricorso per Cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1-2-3 e 4, sicchè è inammissibile la denuncia del vizio di motivazione;

questa Corte ha anche chiarito (ex plurimis, Cass. n. 23021 del 2014), l’applicabilità della disposizione in oggetto (id est: dell’art. 348 ter c.p.c.) alla sentenza che definisce il procedimento di reclamo Legge Fornero, ex art. 1; a tale riguardo, ha evidenziato come la normativa di riferimento non disciplini il contenuto dell’atto di reclamo, introduttivo del giudizio di secondo grado e che vi è dunque integrazione della disciplina- pur speciale- dettata dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 58 e 61 con quella dell’appello nel rito del lavoro; dalla integrazione deriva la applicazione anche dell’art. 348 ter c.p.c., ed in particolare – per quanto in questa sede rileva- della modifica che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia cd. “doppia conforme”;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, al rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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