Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9929 del 05/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/05/2011, (ud. 29/03/2011, dep. 05/05/2011), n.9929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

STAZIONE DI MONTE MARIO 9, presso lo studio dell’avvocato GULLO

ALESSANDRA, rappresentato e difeso dall’avvocato MAGARAGGIA GIUSEPPE,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati, VALENTE NICOLA,

GIUSEPPINA GIANNICO, RICCIO ALESSANDRO, giusta mandato in calce al

ricorso;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI LECCE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1532/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 29/07/2006 R.G.N. 3202/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/03/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilita’ o in subordine

rigetto.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Lecce, depositato in data 30.7.2002, M.M.L., premesso di essere affetto da patologie gravemente invalidanti per le quali, sin dal 1988, la Commissione Medica di prima istanza aveva espresso un parere di invalidita’ nella misura dell’85%, chiedeva il riconoscimento dell’assegno di invalidita’ civile, oltre accessori.

Con sentenza n. 8654/03 del 9.12.2003 il Tribunale adito, sulla base delle risultanze della disposta C.T.U. che aveva riconosciuto un grado di invalidita’ nella misura del 67%, rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’originario ricorrente lamentandone la erroneita’ sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Lecce, con sentenza in data 7.7/29.7.2006, disposta ed espletata nuova consulenza medico legale, rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione M. M.L. con due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso l’Inps.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il Comune di Lecce non hanno svolto attivita’ difensiva.

Diritto

Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13.

In particolare rileva che la relazione di consulenza tecnica d’ufficio effettuata nel secondo grado del giudizio, fatta propria dalla Corte di merito, presentava carenze e deficienze diagnostiche nonche’ affermazioni illogiche e scientificamente inesatte: in particolare le oscillazioni pluridirezionali accertate all’esame Romberg comportavano una incidenza sulla capacita’ di lavoro, sia sotto il profilo della innegabile limitazione dell’attivita’ lavorativa che sotto l’aspetto del rischio da previsione per atti usuranti; l’insufficienza respiratoria accertata con la spirometria, in soggetto che presentava cardiopatia ipertensiva con ipertrofia concentrica oltre a miocardiopatie, costituiva l’eziologia piu’ comune dell’arresto cardiaco nei soggetti apparentemente sani;

l’obesita’ rilevante comportava una piu’ spiccata morbilita’ che sfociava ovviamente in una mortalita’ piu’ elevata.

Il motivo non e’ fondato.

Osserva il Collegio che questa Corte ha avuto modo a piu’ riprese di affermare che, in tema di trattamento di invalidita’, costituisce tipico accertamento di fatto la valutazione espressa dal giudice del merito in ordine alla obiettiva esistenza delle infermita’, alla loro natura ed entita’, nonche’ alla incidenza delle stesse in relazione ai requisiti previsti dalla legge per la concessione delle singole prestazioni richieste.

Tale accertamento e’ incensurabile in sede di giudizio di legittimita’ quando e’ sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici che consenta di identificare l’iter argomentativo posto a fondamento della decisione. Cio’ in quanto il controllo di legittimita’ non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa, ma si estrinseca nella verifica, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, dell’esame e della valutazione compiuti dal giudice di appello, cui e’ appunto riservato l’apprezzamento dei fatti e degli elementi di prova acquisiti a processo.

Ora, e’ pur vero che quando il giudice del merito si basa sulle conclusioni dell’ausiliario, gli eventuali errori e lacune della consulenza si riverberano sulla sentenza sotto il profilo del vizio di motivazione; ma perche’ cio’ possa verificarsi e’ necessario che si tratti di carenze o deficienze diagnostiche, o di affermazioni illogiche o scientificamente errate, non gia’ di semplici difformita’ tra la valutazione del consulente circa l’entita’ e l’incidenza del dato patologico e il valore diverso allo stesso attribuito dalla parte (ex plurimis, Cass. sez. lav., 12.12.2003 n. 19005; Cass. sez. lav., 23.8.2003, 12408; Cass. sez. lav., 15.7.2003 n. 11054; Cass. sez. lav., 11.1.2000 n. 225; Cass. sez. lav., 8.8.1998 n. 7798).

In tale corretta prospettiva, le censure sollevate col detto motivo di ricorso avverso l’impugnata sentenza non possono essere accolte atteso che tali censure, se pur formalmente dirette ad evidenziare l’esistenza di carenze diagnostiche ovvero di affermazioni illogiche, si traducono in realta’ in una diversa valutazione del quadro patologico sottoposto all’esame del giudice. Ed invero questa Corte ha rilevato che le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio sulle quali si fonda la sentenza impugnata possono essere contestate in sede di legittimita’ solo se le relative censure contengono la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico – legale, la quale rientra fra i vizi deducibili con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. (Cass. sez. lav., 27.6.2005 n. 13722). In mancanza di detti elementi le censure proposte configurano un vero e proprio dissenso diagnostico, irrilevante in sede di legittimita’; e siffatta ipotesi si e’ verificata nel caso di specie avendo in buona sostanza il ricorrente rilevato che il CTU non aveva valutato adeguatamente le oscillazioni pluridirezionali accertate all’esame Romberg, l’insufficienza respiratoria in soggetto affetto da cardiopatia ipertensiva, la riscontrata obesita’.

La censura concernente l’asserito vizio di motivazione da cui sarebbe affetta l’impugnata sentenza, pertanto, e’ priva di ogni consistenza ove si osservi che, in buona sostanza, il ricorrente ha solo proposto una diversa lettura dell’incidenza delle patologie riscontrate.

Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione ed erronea applicazione della L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13;

contemporanea omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

In particolare il ricorrente, in relazione al mancato riconoscimento del diritto alla pensione di inabilita’, argomentando dal rilievo che la totale inabilita’ lavorativa deve essere intesa come impossibilita’ a svolgere una “attivita’ lavorativa” idonea ad assicurare concretamente un introito tale da garantire una esistenza libera e dignitosa ex art. 36 Cost., rileva che la Corte d’appello aveva omesso di valutare la ratio della disposizione di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, artt. 12 e 13 in base alla quale la valutazione del giudice di merito ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione o assegno di invalidita’ civile deve tener conto della natura delle patologie valutate globalmente e del rapporto con una possibile attivita’ lavorativa intesa in senso fisico economico; e cio’ comportava l’accertamento della idoneita’ a percepire un reddito per una vita dignitosa.

Il motivo e’ inammissibile.

Come e’ noto, per il principio di specificita’ e autosufficienza del ricorso, e’ necessario che nello stesso siano indicati con precisione tutti quegli elementi di fatto che consentano di controllare l’esistenza del denunciato vizio senza che il giudice di legittimita’ debba far ricorso all’esame degli atti.

Osserva pertanto il Collegio, posto che la Corte territoriale ha ritenuto di condividere ed accettare le valutazioni e le conclusioni del CTU nominato nel predetto grado del giudizio (a seguito della rinnovazione della consulenza medico legale, alla stregua delle richieste formulate dall’appellante), che le censure sollevate dall’odierno ricorrente in ordine alla mancata valutazione della impossibilita’, in capo ad esso ricorrente, a svolgere non gia’ “qualsiasi attivita’” bensi’ “qualsiasi attivita’ lavorativa” idonea ad assicurare la produzione di un reddito, si appalesano carenti sotto il profilo della autosufficienza del ricorso, principio che risulta fondato sull’esigenza, particolare nel giudizio di legittimita’, di consentire al giudice dello stesso di valutare l’esistenza del vizio denunciato senza dover procedere ad un (non dovuto) esame dei fascicoli – d’ufficio o di parte – che facciano riferimento all’atto o al documento interessato. E pertanto il ricorrente avrebbe dovuto allegare al ricorso la contestata relazione di consulenza medico legale (sulla quale il decidente aveva fondato il proprio convincimento), ovvero riportare per esteso il contenuto della suddetta relazione, al fine di consentire l’accertamento del denunciato vizio, e segnatamente al fine di stabilire se il CTU avesse valutato il quadro patologico riscontrato con riferimento alla possibilita’ di svolgere una attivita’ lavorativa idonea ad assicurare la produzione di un reddito.

Neanche sotto questo profilo il ricorso puo’ pertanto trovare accoglimento.

Ne’ puo’ condividersi la censura concernente la valutazione “strettamente” tabellare eseguita dal CTU nominato, dovendosi sul punto rilevare che le tabelle per la determinazione del grado di invalidita’ approvate con D.M. 5 febbraio 1992, se pur non vincolanti, rappresentano senz’altro un riferimento omogeneo, scientificamente elaborato e metodologicamente corretto.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nessuna statuizione va adottata, per quel che riguarda le spese relative al presente giudizio di cassazione, in relazione alla posizione del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Comune di Lecce, non avendo gli stessi svolto alcuna attivita’ difensiva; e parimenti nessuna statuizione va adottata, per quel che riguarda le dette spese, in relazione alla posizione dell’INPS, ricorrendo le condizioni previste per l’esonero del soccombente dal rimborso a norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo originario, quale risultante a seguito della sentenza costituzionale n. 134 del 1994, non essendo applicabile al presente giudizio la modificazione introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, u.c., convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, trattandosi di giudizio introdotto prima del 2 ottobre 2003, data di entrata in vigore del decreto.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 29 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2011

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