Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9928 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/04/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 15/04/2021), n.9928

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27846-2019 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della

Società di Cartolarizzazione dei Crediti Inps (SCCI) SPA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI;

– ricorrente –

contro

LANIFICIO L.C. SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato UMBERTO DELZANNO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 478/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 23/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato decaduto l’Inps dalla pretesa vantata nei confronti della società Lanificio L.C. S.p.A. (di seguito solo Lanificio) quale debitrice solidale del D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29, in relazione a crediti previdenziali, dovuti da altra società, legata alla Lanificio in virtù di contratto di appalto di servizi;

avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’Inps sulla base di un unico motivo;

la società ha resistito con controricorso, illustrato con memoria;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo, l’Inps deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, così come modificato, prima, dal D.Lgs. n. 251 del 2004, art. 6, commi 1 e 2, e, poi, dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 911;

l’Istituto osserva che il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, che regola l’obbligo solidale del committente nell’ambito di un appalto di opere e servizi e che prevede il perdurare del vincolo durante l’esecuzione dell’appalto e sino a due anni dalla sua cessazione, contempla una causa di decadenza del diritto di agire nei confronti del committente limitata ai lavoratori, in mancanza nel testo di ogni riferimento agli enti previdenziali e in ragione dell’esercizio di funzioni pubbliche da parte dei predetti enti, incompatibile con qualsiasi forma di decadenza;

il ricorso è fondato;

va richiamato il principio espresso da Cass. n. 18004 del 2019 secondo cui “In tema di appalto di opere e servizi, il termine di decadenza di due anni previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 5 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 35 del 2012, non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali nei confronti del committente, essendo la stessa soggetta al solo termine di prescrizione”;

nella richiamata sentenza, la Corte ha affermato che il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, oggetto nel tempo di varie modifiche, è stato sin dalla sua entrata in vigore incentrato sulla previsione di un vincolo di solidarietà tra committente ed appaltatore, secondo un modulo legislativo che intende rafforzare l’adempimento delle obbligazioni retributive e previdenziali, ponendo a carico dell’imprenditore che impiega lavoratori dipendenti da altro imprenditore il rischio economico di rispondere in prima persona delle eventuali omissioni di quest’ultimo;

ha rimarcato che l’obbligazione contributiva, derivante dalla legge e che fa capo all’Inps, è distinta e autonoma rispetto a quella retributiva (così Cass. n. 8662 del 2019); essa (v. Cass. n. 13650 del 2019) ha natura indisponibile e va commisurata alla retribuzione che al lavoratore spetterebbe sulla base della contrattazione collettiva vigente (cd. “minimale contributivo”);

in definitiva, la Corte, quanto all’interpretazione dell’art. 29, comma 2 appena cit., nella stesura in vigore all’epoca dei fatti controversi, ha scelto l’opzione interpretativa, ispirata a ragioni di ordine sistematico e testuale (assenza nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, di espresse regole relative alla pretesa contributiva, autonomia tra la prestazione retributiva e quella contributiva), che reputa mancanti i termini di decadenza per l’esercizio dell’azione di accertamento dell’obbligo contributivo, soggetto solo al termine prescrizionale: opzione interpretativa compatibile con la natura indisponibile della pretesa contributiva, commisurata alla retribuzione che al lavoratore spetterebbe sulla base della contrattazione collettiva vigente (cd. “minimale contributivo”;

tale interpretazione si conforma alla considerazione, di rilevo sistematico, secondo cui si vedrebbe, altrimenti, spezzato, senza alcuna plausibile ragione logica e giuridica apprezzabile, quel nesso tra retribuzione dovuta – e in ipotesi in concreto erogata – e adempimento dell’obbligo contributivo, procurandosi un vulnus nella protezione assicurativa del lavoratore che il cit. art. 29 ha voluto potenziare;

il Collegio ritiene di dare continuità ai principi esposti (già seguiti, ex plurimis, da questa sesta sezione, con ordinanze nn. 23035, 23038, 23061 del 2020). La parte controricorrente, anche nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., non apporta argomenti decisivi che impongano, invero, la rimeditazione del richiamato orientamento giurisprudenziale;

il ricorso va, dunque, accolto e, conseguentemente, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Torino che, in diversa composizione, procederà all’accertamento della pretesa contributiva fatta valere dall’Inps alla luce del principio sopra indicato;

il giudice del rinvio provvederà in merito all’eventuali altre questioni rimaste assorbite, già ritualmente proposte nei giudizi di merito, e, altresì, alla regolazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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