Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9926 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/04/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 15/04/2021), n.9926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18292-2019 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TORQUATO

TARAMELLI, 5, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO PAOLINO,

rappresentato e difeso dagli avvocati MARCO LEPORI, MASSIMO BELLOMO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA, 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati LUCIA

POLICASTRO, SAMUELA PISCHEDDA, ANGELO GUADAGNINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 31482/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 05/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

C.L. ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. avverso la sentenza n. 31482 del 2018 con la quale la Corte ha respinto il ricorso ordinario per cassazione proposto dal medesimo ricorrente nei confronti dell’INPS;

dinanzi alla Corte di legittimità era stata impugnata la decisione della Corte di appello di Roma che aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimato dall’Inps al C. il (OMISSIS);

per quanto qui interessa, la Corte Suprema ha ritenuto corretta la valutazione di tempestività della contestazione dell’addebito al dipendente, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 4, espressa dai giudici di merito che, a tale riguardo, avevano osservato come, solo a seguito delle notizie pervenute all’UPD, il 27 febbraio 2015, il datore di lavoro avesse avuto conoscenza delle plurime infrazioni commesse dal lavoratore; non altrettanto poteva dirsi, invece, per gli esiti (precedenti) dell’Audit, in difetto (in quella sede) dell’individuazione nominativa dei responsabili delle disfunzioni e delle irregolarità riscontrate;

per la Corte, inoltre, i giudici di appello, pur non avendo esaminato, nel dettaglio, tutte le condotte contestate, nondimeno avevano effettuato una valutazione (complessiva) delle stesse, evidenziando come “il lavoratore avesse commesso tutte le violazioni formali contestate ed ave(sse) con la sua condotta arrecato un danno all’Inps”; infine, pronunciando in relazione al terzo ed al quarto motivo di ricorso, la Corte ha giudicato le relative censure inammissibili, da un lato, perchè il ricorrente, nella sostanza, richiedeva una rivalutazione delle istanze istruttorie e, dall’altro, poichè le critiche (volte a censurare l'”Operazione Poseidone” cui era stato addetto il ricorrente in qualità di impiegato amministrativo) oltre ad essere generiche non si confrontavano con la ratio decidendi della sentenza impugnata;

al giudizio di revocazione, articolato in quattro motivi, ha opposto difese l’INPS con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, è dedotta “l’omessa percezione del contenuto materiale degli atti del giudizio e (la) falsa percezione della realtà processuale”. Il ricorrente individua l’errore revocatorio nella affermazione secondo cui “gli esiti dell’accesso Audit effettuato dalla struttura non potevano in alcun modo determinare l’avvio della procedura disciplinare (…)”;

con il secondo motivo è dedotto errore di fatto con riferimento al passaggio motivazionale secondo cui la Corte di appello, pur avendo esaminato, nel dettaglio, solo alcune delle condotte contestate in sede disciplinare, avrebbe comunque effettuato una valutazione complessiva del comportamento addebitato. Secondo la parte, dalla documentazione prodotta e dagli atti giudiziari, emergeva che i giudici di merito avevano esaminato solo tre delle diciotto contestazioni sollevate dall’Inps;

con un terzo ed un quarto profilo di censura è richiesta la revocazione per omessa lettura del terzo e del quarto motivo del ricorso ordinario. Si assume che, in quest’ultimo, erano state puntualmente indicate tutte le circostanze che, opportunamente esaminate, avrebbero dovuto condurre ad altro esito della lite; la Corte Suprema sarebbe incorsa in numerose sviste nel ritenere “emerso il comportamento di indebite cancellazioni”; a tale proposito, la parte ricorrente osserva che, anche nel giudizio promosso dinanzi alla Corte dei Conti, l’organo requirente aveva rinunciato all’azione per molte delle originarie contestazioni; che, ancora, la Corte avrebbe supposto esistente un fatto invece inesistente vale a dire la censura di illegittimità della “Operazione Poseidone” mentre il richiamo alla L. n. 662 del 1996, contenuto nel quarto motivo, era finalizzato esclusivamente a dimostrare che le diciotto “indebite” cancellazioni erano, invece, legittime e, pertanto, inidonee a cagionare danni patrimoniali;

i motivi possono congiuntamente esaminarsi, presentando analoghi profili di inammissibilità;

per pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato (tra le tante, Cass. n. 442 del 2018, Cass. n. 6405 del 2018; Cass. n. 4456 del 2015; in motiv., Cass., sez. un., n. 5906 del 2020);

l’errore revocatorio deve, dunque, avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve, inoltre, essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata “con certezza di segno opposto” (nei termini, Cass. n. 5197 del 2002; successivamente, ex plurimis, in motivaz. Cass. n. 19240 del 2011; Cass. n. 4050 del 2016);

l’errore di fatto, invece, non è mai ravvisabile nell’ipotesi di errore costituente il frutto di un qualsiasi apprezzamento degli atti processuali ed è, quindi, esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (tra le molte, Cass. n. 6405 del 2018 cit.; Cass. n. 22171 del 2010; in motiv., Cass., sez. un., n. 8984 del 2018);

in questa prospettiva, è stata esclusa la ricorrenza di un errore revocatorio, nel preteso errore sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti (Cass. n. 11657 del 2006), nel preteso errore in punto di individuazione delle questioni oggetto dei motivi del ricorso (Cass. n. 5086 del 2008), nel preteso errore nell’interpretazione dei motivi (Cass. n. 9533 del 2006) o nella lettura del ricorso (Cass. n. 5076 del 2008), così come, infine, nel preteso errore sull’esistenza, o meno, di una censura (Cass. n. 24369 del 2009);

alla stregua di tali riassuntive indicazioni, emerge chiaramente come la parte ricorrente non faccia valere alcun errore percettivo nel senso chiarito dalla giurisprudenza sopra richiamata e cioè con riferimento a un fatto risultante in modo incontrovertibile dagli atti o da essi positivamente escluso;

in modo evidente, le censure investono l’attività valutativa e di apprezzamento giuridico dei fatti espressa dalla Corte regolatrice e schermano una inammissibile istanza di riesame delle risultanze processuali, totalmente estranea alla logica revocatoria;

in ultimo, è il caso di aggiungere come nessun rilievo, se non di mera suggestione, possa avere, in questa sede, l’esito -favorevole al ricorrente- del giudizio di responsabilità amministrativa-contabile (sentenza Corte dei Conti – sezione giurisdizionale per la Regione Lazio- n. 334 del 2020, allegata alla memoria ex art. 380 bis c.p.c.), trattandosi di procedimento autonomo, legato a presupposti peculiari, non coincidenti del tutto con quelli oggetto della responsabilità disciplinare;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore dell’Inps, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, al rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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