Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9922 del 19/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 19/04/2017, (ud. 03/04/2017, dep.19/04/2017),  n. 9922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.S., B.T., B.L., B.N. e

B.C., rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avv. Marcello Fabbrocini, con domicilio

eletto nello studio dell’Avv. Elisabetta Anagni in Roma, via

Gerolamo Belloni, n. 78;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI OTTAVIANO, in persona del sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del

controricorso, dall’Avv. Mario Ciancio, con domicilio eletto nello

studio dell’Avv. Ferdinando Barucco in Roma, Piazza Cavour, n. 17;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 458/2012

pubblicata in data 14 febbraio 2012.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3

aprile 2017 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi gli Avvocati Marcello Fabbrocini e Ferdinando Barucco,

quest’ultimo per delega dell’Avvocato Mario Ciancio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – S.R., B.S., B.T., B.L., B.N. e B.C., con atto di citazione notificato in data 22 dicembre 1997, convenivano in giudizio il Comune di Ottaviano dinanzi al Tribunale di Nola, esponendo:

– che erano tutti coeredi del defunto B.G., deceduto in data (OMISSIS);

– che il predetto de cuius, in virtù di donazione con atto per notaio D.G.S. registrato il (OMISSIS), da parte del padre, B.L., era divenuto proprietario di una zona di terreno estesa are 11 sita in (OMISSIS), distaccata dal terreno della maggiore estensione di are 53,00;

– che il Comune di Ottaviano nel 1955 aveva occupato sine titulo il suindicato suolo, destinandolo al servizio di pubblico macello;

– che in data 19 febbraio 1990 era cessato l’esercizio del pubblico macello ed il suddetto suolo era stato totalmente abbandonato ed inutilizzato, ritornando da allora nel possesso dei coeredi B., essendo nelle more deceduto B.G.;

– che tuttavia, nel gennaio/febbraio 1994, il Comune si era nuovamente ed arbitrariamente immesso nel possesso di alcune parti di edifici situati nel predetto suolo per il servizio della nettezza urbana, destinando alcuni casolari a deposito di automezzi e materiale eterogeneo;

– che medio tempore su tutto quanto il terreno esteso are 11 i coeredi B. avevano esercitato il possesso uti domini, comportandosi ininterrottamente come esclusivi ed unici proprietari.

Tanto premesso, gli attori chiedevano che venisse dichiarato il loro diritto di proprietà sul terreno suindicato e sulle sue accessioni, dipendenze, pertinenze e servitù, per essere subentrati per successione ab intestato al de cuius B.G., quali suoi coeredi, e che il Comune venisse condannato al rilascio del possesso dell’immobile in loro favore, oltre al risarcimento del danno.

Si costituiva il Comune, resistendo. In particolare, deduceva che, coevamente all’atto di donazione menzionato dagli attori, Gennaro B. aveva donato lo stesso bene al Comune di Ottaviano per atto notaio D.G. del (OMISSIS), donazione che era stata accettata dal Comune e successivamente confermata con altro atto – sempre del notaio D.G. – (OMISSIS).

Nel corso del giudizio il Comune di Ottaviano proponeva autonoma domanda, instaurando un separato procedimento, ed in detta sede chiedeva l’intervenuto acquisto per usucapione, in suo favore, della proprietà dei beni di cui trattasi.

I due giudizi venivano riuniti.

Il Tribunale adito, con sentenza in data 7 gennaio 2004, accoglieva, per quanto di ragione, la domanda della S. e dei B. e, per l’effetto, accertava e dichiarava l’inefficacia, per mancato perfezionamento, della donazione compiuta da B.G. in data (OMISSIS), in favore del Comune di Ottaviano; accertava e dichiarava la proprietà esclusiva dei predetti con riferimento al solo edificio realizzato al fine di essere destinato ad abitazione del custode; rigettava le domande formulate nei confronti del Comune di rilascio dell’intero fondo, nonchè di risarcimento del danno per occupazione senza titolo; accoglieva la domanda di usucapione formulata da quest’ultimo, fatta accezione per il fabbricato adibito ad abitazione del custode.

A tale conclusione il primo giudice perveniva rilevando:

– che l’atto di donazione del (OMISSIS) in favore del Comune di Ottaviano era invalido in quanto all’epoca il bene non era ancora in piena proprietà del donante B.G.;

– che vi era stato in data (OMISSIS), sempre da parte del B. ed in favore del Comune, un secondo atto di donazione avente ad oggetto il medesimo bene, ma tale ultimo atto non si era perfezionato, in quanto il donatario non aveva notificato al donante apposito atto contenente la manifestazione della volontà di accettare;

– che, in conseguenza di ciò, il cespite era rimasto di proprietà del B., per cui esso avrebbe dovuto far parte dell’asse ereditario;

– che dall’istruttoria era emerso che il Comune, sin dall’atto di donazione del 1950, era stato immesso nel possesso dei beni, fatta eccezione per il solo fabbricato adibito a dimora del custode, abitato e posseduto dalla famiglia B. sin dalla sua costruzione.

2. – La Corte d’appello di Napoli, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 14 febbraio 2012, ha rigettato l’appello principale dei B., in proprio e quali eredi della S., e ha accolto l’appello incidentale del Comune di Ottaviano e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato che l’acquisto per usucapione in capo al Comune è intervenuto anche con riferimento al fabbricato edificato al fine di essere destinato ad abitazione del custode.

2.1. – La Corte di Napoli ha ritenuto che le risultanze dell’istruttoria documentale e testimoniale sono idonee a fornire piena prova dell’intervenuto acquisto per usucapione da parte del Comune dell’intera area già oggetto della donazione non perfezionatasi.

Secondo la Corte distrettuale, l’immissione in possesso da parte del Comune, a partire del 1950, ha avuto ad oggetto, indistintamente, tutta l’area oggetto della donazione, sulla quale il Comune ha successivamente realizzato l’edificio destinato all’attività di macellazione e quant’altro necessario per l’esercizio della stessa, ivi compreso l’alloggio del custode.

Dopo aver dato atto che a B.G., assunto quale custode – quando già da tempo il Comune era stato immesso nel possesso dei beni – è stata attribuita da quest’ultimo la possibilità di usufruire dell’alloggio di servizio, la Corte d’appello ha rilevato che tale circostanza suggerisce che, da un lato, era proprio il Comune, e non le controparti, ad esercitare il possesso sul bene, tanto da disporne concedendolo in godimento al B., e, dall’altro lato, che questi era sul posto e godeva quindi del bene, sulla scorta di un titolo costituito dal rapporto di servizio con l’amministrazione, per cui si trovava nella posizione del detentore.

Riconosciuto che il rapporto con l’alloggio da parte di B.G. e poi di B.L. è iniziato sulla scorta di un titolo legittimante ad effetti obbligatori, che ne attribuiva la detenzione, incombeva agli appellanti principali – ha sottolineato conclusivamente la Corte d’appello – l’onere di provare l’intervento di un mutamento del titolo idoneo a trasformare la detenzione in possesso; ma i B. non hanno fornito alcuna prova utile al fine di provare compiutamente la suddetta trasformazione.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello i B. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 29 giugno 2012, sulla base di due motivi.

L’intimato Comune ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1141 e 1158 c.c.) ci si duole che la Corte d’appello abbia riconosciuto una situazione di possesso in capo al Comune, laddove – si sostiene – lo stesso ha iniziato il godimento del bene con animus detinendi, in ragione del mancato perfezionamento del contratto di donazione, non potendosi configurare, in attesa della definizione dell’acquisto, un elemento psicologico diverso da quello proprio del detentore qualificato.

1.1. – Il motivo è infondato.

Lo stabilire se, in conseguenza di un atto negoziale ancorchè invalido, a chi è nella relazione materiale con un immobile sia stato da un terzo trasferito il possesso del bene, costituisce una indagine di fatto, riservata al giudice di merito, i cui apprezzamenti e valutazioni sono sindacabili in sede di legittimità soltanto per illogicità o inadeguatezza della motivazione (Cass., Sez. 1, 29 luglio 1997, n. 7090; Cass., Sez. 2, 8 marzo 2011, n. 5419).

L’accertamento compiuto al riguardo dalla Corte territoriale, nel senso che il Comune di Ottaviano ha esercitato il potere di fatto sul bene oggetto di controversia in modo corrispondente ai poteri che si ricollegano al diritto di proprietà, riposa su una congrua ed articolata motivazione.

La Corte d’appello ha sottolineato infatti: che già in forza del primo atto di donazione stipulato nel 1950, nullo in quanto il cespite non era di esclusiva proprietà del donante, questi aveva immesso l’ente donatario nel pacifico e pieno dominio e legittimo possesso della zona donata (cfr. l’art. 3 del rogito notarile); e che, inoltre, nel successivo atto del (OMISSIS) (non perfezionatosi perchè – pur avendo il Comune deliberato di accettare la donazione e pur essendo stata detta accettazione autorizzata dal Prefetto – non risulta che il relativo atto di accettazione sia stato notificato al donante come prescritto dall’art. 782 c.c., comma 2) si dava atto non solo della circostanza che il Comune era già nel possesso della zonetta donata, ma anche del fatto che il mattatoio era già stato costruito dallo stesso ente locale.

Su questa base, correttamente la Corte di Napoli ha rilevato che, per quanto detti atti (invalido il primo e non perfezionatosi il secondo), non abbiano prodotto l’effetto traslativo della proprietà proprio della loro natura di contratto ad effetto reale, tuttavia la situazione di fatto che ne è sorta è quella, non già di detenzione, ma di possesso, stante l’intenzione comune delle parti di produrre un tale effetto, e quindi che il Comune esercitasse sulla cosa un potere di fatto corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, il cui trasferimento era oggetto della programmazione negoziale; e ha osservato che l’immissione nel possesso del bene in favore del Comune corrispondeva ad una reale e concreta situazione di fatto.

Si tratta di conclusione esatta in punto di diritto, posto che, per stabilire se, in conseguenza di una convenzione con la quale un soggetto riceva da un altro il godimento di un immobile, si abbia un possesso idoneo all’usucapione (ovvero una mera detenzione), occorre far riferimento all’elemento psicologico del soggetto stesso e, a tal fine, è indispensabile stabilire se la convenzione si concreti in un contratto ad effetti reali o in un contratto ad effetti obbligatori, in quanto nel primo caso il contratto è idoneo a determinare, nel soggetto investito del relativo diritto, l’animus possidendi (Cass., Sez. 2, 11 giugno 2010, n. 14092).

2. – Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1158 e 1167 c.c., anche per erronea ed omessa valutazione delle prove testimoniali, quali elementi decisivi, nonchè del rilevante elemento di fatto che la casa era stata costruita dal B. ed era nella sua disponibilità già prima delle proposte di donazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Ad avviso dei ricorrenti, l’occupazione, da parte del Comune, dell’immobile non sarebbe stata caratterizzata dalla continuità e dalla non interruzione per un ventennio, essendo emersi numerosi periodi in cui si sarebbe verificata una interruzione del possesso.

2.1. – Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha accertato che il Comune, dopo avere realizzato materialmente la struttura, ha esercitato fino al 1990 sull’area in questione l’attività di pubblico macello, ciò risultando da una corposa documentazione dalla quale emerge che l’ente locale, comportandosi come proprietario del bene, ha adottato delibere in ordine: alla ricostruzione dei solai di copertura dei locali del macello, all’appalto dei relativi lavori, a lavori afferenti all’alloggio del custode e all’ufficio del direttore, alla liquidazione delle spese in ordine agli stessi lavori, all’espurgo delle vasche del pubblico macello ed alla liquidazione dei relativi lavori, al preventivo in ordine al rivestimento del piano bascula del pubblico macello e alla sistemazione dei relativi locali. Quanto al periodo successivo, la Corte territoriale ha ritenuto dimostrato, anche attraverso le dichiarazioni testimoniali rese da dipendenti del Comune, che l’ente locale ha continuato a possedere l’area, appaltando i lavori di risanamento igienico e di ripristino della recinzione ed utilizzando poi l’area, una volta cessata l’attività di macellazione, per il servizio della nettezza urbana ed in ispecie per il deposito di automezzi nonchè di materiali vari.

Si è di fronte ad una conclusione ampiamente motivata in ordine all’esistenza dei requisiti del possesso continuato e non interrotto per il ventennio prescritto dalla legge.

Nel contestare la ricostruzione data dal giudice del merito, i ricorrenti, pur lamentando formalmente una plurima violazione di legge e un decisivo difetto di motivazione, tendono, in realtà, ad una (non ammissibile in sede di legittimità) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito.

Sotto questo profilo i ricorrenti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, invocano, piuttosto, una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo così all’impugnata sentenza censure che non possono trovare ingresso in questa sede, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice del merito.

3. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dal Comune controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2017

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