Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9921 del 14/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 9921 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 25438-2013 proposto da:
MALACRINO’ NINA IDA MLCNND58H58Z103I, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso
lo studio dell’avvocato ANTONINO PELLICANO’, che la
rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENEKALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

Data pubblicazione: 14/05/2015

- resistente avverso il decreto nel procedimento R.G. 1096/2012 della CORTE
D’APPELLO di CATANZARO del 28.11.2012, depositato il
13/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

udito per la ricorrente l’Avvocato Antonino Pellicanò che si riporta agli
scritti, chiedendo l’accoglimento del ricorso e la condanna della
controparte alle spese.

Ric. 2013 n. 25438 sez. M2 – ud. 28-01-2015
-2-

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28/01/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;

IN FATTO
Con ricorso dell’11.7.2012 Nina Ida Malacrinò adiva la Corte d’appello di
Catanzaro per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento
di un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, in

dei diritti dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge n. 848/55,
per l’eccessiva durata di un processo di esecuzione mobiliare presso terzi da
lei instaurato per il recupero di 1.074,15 nel marzo del 2003 e definito con
provvedimento d’assegnazione emesso nel maggio del 2012.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 13.4.2013 la Corte territoriale, in parziale accoglimento
del ricorso, riconosceva in favore della parte ricorrente la somma di E 375,00
e compensava per 1/2 le spese, ponendo la restante frazione a carico del
Ministero della Giustizia. Stimata in sei anni la durata ragionevole del
processo esecutivo presupposto, tenuto conto che in esso aveva trovato
ingresso anche una causa di opposizione all’esecuzione articolatasi in due
gradi di giudizio, per i quali, a loro volta, doveva ritenersi ragionevole la
durata di cinque anni, la Corte calabrese quantificava in complessivi tre anni
la durata eccedente. Da questa, tuttavia, dovevano essere detratte, ai fini del
computo dell’indennizzo spettante, le frazioni temporali sottratte alla gestione
del giudice, e cioè: un anno per il tempo intercorso tra il deposito della
sentenza di primo grado emessa nel processo di opposizione all’esecuzione, e
il deposito del ricorso in appello; quattro mesi tra la sospensione del processo
esecutivo e l’instaurazione della causa di opposizione; ed altri quattro mesi tra

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relazione all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia

la definizione dell’appello nella causa di opposizione e la riassunzione del
processo esecutivo.
In ordine al quantum dell’indennizzo, richiamati i principi di cui all’art. 2bis introdotto nella legge n. 89/01 dal D.L. n. 83/12, convertito in legge n.

congrua la somma di t 250,00 ad anno, per tutto il periodo di ritardo, e così in
totale e in moneta attuale E 375,00.
Per la cassazione di tale decreto Nina Ida Malacrinò propone ricorso,
affidato a cinque motivi.
Scaduti i termini per la proposizione del controricorso, il Ministero della
Giustizia ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine dell’eventuale
partecipazione alla discussione della causa.
La parte ricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in
forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione

dell’art. 2 legge n. 89/01 e dell’art. 6 CEDU, in connessione col difetto
motivazionale, in relazione, rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
deduce al riguardo parte ricorrente che la Corte territoriale, pur avendo
correttamente pre- messo che la durata complessiva del processo d’esecuzione,
comprensiva dei giudizi di opposizione, ha superato i nove anni, ha poi
contraddittoriamente ritenuto ragionevole il termine di circa sei anni per
definire l’intera procedura. Conclusione, quest’ultima, che da un lato viola i
parametri di durata elaborati da questa Corte Suprema sulla base della
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134/12, e tenuto conto della minima entità della posta in gioco, giudicava

giurisprudenza della Corte EDU (per cui sono di norma ragionevoli tre anni
per il processo esecutivo), e dall’altro non è sorretta da alcuna motivazione.
2. – Il motivo è fondato.
Come premesso nello stesso decreto impugnato, questa Corte ha affermato

durata del processo esecutivo, ai fini della valutazione in ordine alla
violazione del termine ragionevole, non può essere determinata detraendo il
periodo di tempo resosi necessario per la definizione del giudizio di
opposizione all’esecuzione, durante il quale l’esecuzione sia rimasta sospesa
per disposizione del giudice, stante il collegamento funzionale tra i due
processi; peraltro, la fase contenziosa di contestazione del diritto a procedere
ad esecuzione forzata può essere valutata dal giudice dell’equa riparazione
nell’ambito della considerazione della complessità del caso, ai sensi dell’art.
2, comma 2, della legge citata (Cass. n. 12867/1q.
Ciò nonostante, la Corte territoriale è incorsa in un sostanziale equivoco
nell’interpretazione di tale indirizzo, lì dove ha considerato ragionevole per la
fase di opposizione all’esecuzione, articolatasi in due gradi di giudizio, la
durata di cinque anni, per poi fissare in complessivi sei anni la durata
dell’esecuzione intera. In tal modo la Corte calabrese ha finito per invertire,
sterilizzandolo, il principio premesso, poiché ha determinato la durata
ragionevole non dell’esecuzione, ma dei due gradi di opposizione che ne
rappresentano la componente cognitiva, per poi maggiorare il tutto di un anno,
evidentemente in ragione della durata necessaria alle attività propriamente
espropriative.

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che in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, la

Il risultato finale così ottenuto eccede lo standard medio di durata
ragionevole per un processo di esecuzione comprensivo di un’opposizione
esecutiva articolatasi in due gradi (standard che, in fattispecie analoghe,
questa Corte ha indicato in cinque anni: v. Cass. nn. 13922/14 e 13923/14,

3. – L’accoglimento del suddetto motivo, imponendo la cassazione con
rinvio del decreto impugnato per un rinnovato esame di merito sulla durata
ragionevole del procedimento presupposto, assorbe l’esame delle restanti
censure che logicamente ne dipendono (e cioè il primo motivo, avente ad
oggetto la violazione o falsa applicazione dell’art. 2, comma 2-quater legge n.
89/01, introdotto dal D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12 e dell’art. 11
disp. prel. c.c., per aver la Corte distrettuale sottratto dalla durata effettiva il
termine ordinario d’impugnazione; il terzo e il quarto motivo, riguardanti la
violazione o falsa applicazione dell’art. 2 legge c.d. Pinto, degli artt. 6,
comma 1, 13 e 41 CEDU e degli artt. 1226 e 2056 c.c., nonché il vizio
motivazionale, per l’esiguità della somma liquidata a titolo di equa
riparazione; e il quinto motivo, che espone la violazione o falsa applicazione
dell’art. 92, comma 2 c.p.c. e la carenza di motivazione, in ordine al
regolamento delle spese).
4. – Il decreto impugnato va dunque cassato con rinvio ad altra sezione
della Corte d’appello di Catanzaro, che deciderà sul merito attenendosi ai
principi di diritto sopra richiamati e provvederà, altresì, sulle spese del
presente giudizio di cassazione.
P. Q. M.

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non massimate).

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti i restanti, e cassa il decreto
impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro, che
provvederà anche sulle spese di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile –

2 della Corte Suprema di Cassazione, il 28.1.2015.

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