Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9920 del 14/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 9920 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 24321-2013 proposto da:
EMERI ANNA MRENNA46L43I563L, EMERI CHIARA
MRECHR40T53Z118E, EMERI DARIO MREDRA39B25L378A,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 50, presso lo studio
dell’avvocato PAOLO IORIO, rappresentati e difesi dall’avvocato
GIANFRANCO TANDURA, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrenti contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

Sott

Data pubblicazione: 14/05/2015

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controficorrente avverso il decreto nel procedimento R.G. 672/2012 della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
28/01/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;
udito per i ricorrenti l’Avvocato Paolo Tono (per delega avv.
Gianfranco Tandura) che si riporta agli scritti e chiede l’accoglimento
del ricorso.

Ric. 2013 n. 24321 sez. M2 – ud. 28-01-2015
-2-

rt

D’APPELLO di TRENTO del 5.3.2013, depositato il 18/03/2013;

IN FATTO
Con ricorso del 5.9.2012 Dario, Anna e Chiara Emeri, in proprio e quali
eredi di Angela Ghedini Emeri, adivano (insieme con altri, non più parti in
questa sede di legittimità) la Corte d’appello di Trento per ottenere la

ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, in relazione all’art. 6,
paragrafo 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge n. 848/55, per
l’eccessiva durata di una causa civile, di cui era stata parte la de cuius, iniziata
davanti al Tribunale di Belluno con citazione notificata il 15.11.2000 e
definita con sentenza pubblicata il 29.6.2012.
Resisteva il Ministero, che si rimetteva a giustizia.
Con decreto del 18.3.2013 la Corte trentina accoglieva la domanda
limitatamente al diritto azionato iure hereditario, liquidando in favore dei
ricorrenti £ 750,00, pro quota ereditaria. Osservava, infatti, la Corte
territoriale che a seguito della morte della de cuius il processo non era stato
interrotto, né Dario, Anna e Chiara Emeri si erano costituiti in prosecuzione,
sicché, non essendo mai stati essi parti di quel procedimento, non poteva
essere riconosciuto loro alcun indennizzo iure proprio.
Per la cassazione di tale decreto Dario, Anna e Chiara Emeri propongono
ricorso, affidato a due motivi.
Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.
Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in
forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
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condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo,

1. – Con i due motivi d’annullamento i ricorrenti denunciano la violazione
e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89/01 e degli artt. 6 e 34 della
Convenzione EDU, in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., nonché l’omesso
esame di documènti relativi ad un fatto decisivo per il giudizio, in relazione al

alla cui giurisprudenza il giudice nazionale deve uniformarsi, ha più volte
affermato che la nozione di vittima, ai sensi dell’art. 34 della Convenzione,
non corrisponde necessariamente a quella di parte processuale del
procedimento interno, ma coincide con quella di soggetto coinvolto dalla
decisione [richiama, al riguardo, Corte europea dei diritti dell’uomo, 1.3.2001,
L.G.S. s.p.a. contro Italia, ricorso n. 39487/98, nonché 20.7.2004, W.K.
contro Italia (ricorso n. 38805/97: n.d.r.)]; e che ad ogni modo tale nozione
deve essere ritagliata senza eccessivi formalismi, ma sulla base della
situazione reale del soggetto in rapporto alla procedura intera oggetto di
censura.
Deducono, inoltre, che anche la giurisprudenza di questa Corte è nel senso
che condizioni del diritto all’equa riparazione sono la conoscenza della
pendenza del processo e la sussistenza dell’interesse alla sua rapida
definizione, interesse che è ravvisabile in capo agli eredi anche se non
costituitisi nel giudizio, essendo “evidente e pressoché certo il pregiudizio,
per lo meno di carattere morale, che il ricorrente subisce in conseguenza
dell’eccessiva durata del giudizio presupposto”.
Il problema della legittimazione in proprio dell’erede della parte
processuale deceduta durante il giudizio non potrebbe, pertanto, essere risolto

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n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Sostengono che la Corte europea dei diritti dell’uomo,

ricorrendo ad astratti e rigidi criteri legali, ma valutando ogni singolo caso
concreto alla luce del generale principio dell’onere della prova.
Nella specie, proseguono i ricorrenti, dagli atti del procedimento svoltosi
davanti alla Corte trentina è emerso che dopo la morte della madre gli odierni

manifestando interesse alla rapida definizione del giudizio. Ciò risulterebbe
dal carteggio con il difensore, al quale essi pagarono un anticipo sul
compenso, dalla partecipazione di Dario Emeri alle operazioni peritali svoltesi
sui luoghi di causa, dopo la morte della de cuius e dalla denuncia di
successione, avente ad oggetto anche i beni immobili oggetto della lite.
Documenti, tutti, di cui la Corte territoriale non ha minimamente dato conto
nella motivazione del decreto impugnato.
2. – I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro
complementarietà, sono manifestamente infondati.
2.1. – Giova premettere che l’art. 34 della CEDU è norma di carattere
generale attributiva del diritto di ricorrere al giudice della Convenzione, e
dunque non è sovrapponibile all’elaborazione che la Corte di Strasburgo ha
operato con specifico riguardo alle violazioni dell’art. 6 della Convenzione
stessa, le sole di cui si occupa la legge n. 89/01 nella sua dichiarata funzione
di istanza interna.
2.2. – L’ormai consolidato orientamento di questa Corte afferma, in
materia, che qualora la parte del giudizio presupposto sia deceduta, l’erede ha
diritto all’indennizzo iure proprio solo per l’irragionevole durata del giudizio
successiva alla propria costituzione, la quale – come confermato dalla CEDU,
con sentenza del 18 giugno 2013, “Fazio ed altri c. Italia” – è condizione
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ricorrenti hanno sempre avuto perfetta conoscenza della pendenza della causa,

essenziale per far valere la sofferenza morale da ingiustificata durata del
processo (così e tra le più recenti, Cass. nn. 4003/14 e 24771/14, precedute da
Cass. nn. 10517/13, 995/12, 21646/11, 1309/11, 13803/11, 23416/09, 2983/08
e 26686/06; contra le sole Cass. nn. 22405/08 e 26931/06).

neppure traendo spunto dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n.
585/2014, le quali, ai fini del diritto all’equa riparazione, dirimendo un
contrasto tra sezioni semplici hanno equiparato le parti costituite a quelle
chiamate a partecipare al giudizio, ma non intervenute in esso. Ed infatti, “al
di là di una mera analogia ricavabile dall’assenza nel processo presupposto sia
del contumace sia del chiamato all’eredità della parte originaria, le situazioni
[sono] sostanzialmente differenti in quanto, il ribadito principio che
presupposto ineliminabile per la legittimazione a far valere l’equa riparazione
è l’incidenza che la non congrua durata del giudizio abbia su chi di quel
giudizio sia chiamato a far parte, non può trovare applicazione sin tanto che il
chiamato all’eredità non sia, quanto meno, evocato in riassunzione, atteso che
fino a quel momento può mancare addirittura la prova dell’assunzione – per
accettazione espressa o per facta concludentia – della stessa qualità di erede;
del resto anche• la citata decisione n. 585/2014 pone l’accento più sulla
legittimazione del contumace alla proposizione del ricorso ex lege n. 89 del
2001 che sull’applicabilità allo stesso di quella che costituisce la caratteristica
qualificante del diritto all’equo indennizzo – vale a dire l’automatismo
probatorio relativo alla presunzione della sussistenza del danno per indebita
durata del processo – allorquando riconosce che la mancata costituzione in

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Ed ancora, va osservato che non può pervenirsi a conclusioni diverse

giudizio del contumace possa influire anche sull’an debeatur” (così si legge
nella motivazione, del tutto condivisibile, di Cass. n. 4003/14 cit.).
Del resto, il suddetto indirizzo di questa Corte è perfettamente in linea con
la sentenza della Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo nella

affermato che la qualità di erede di una parte nel procedimento presupposto
non conferisce, di per sé, il diritto a considerarsi vittima della, eventualmente
maturata, durata eccessiva del medesimo; e che l’interesse dell’erede alla
conclusione rapida della causa difficilmente è conciliabile con la sua mancata
costituzione nello stesso, dato che solo attraverso l’intervento nel
procedimento l’avente diritto ha l’opportunità di partecipare e di influire
sull’esito dello stesso.
3. – In conclusione il ricorso va respinto.
4. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo, a carico dei ricorrenti.
5. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica l’art. 13,
comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n.
228/12.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in
E 500,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 28.1.2015.

causa Fazio c/ Italia cit., la quale nel dichiarare irricevibile il ricorso ha

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