Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9915 del 05/05/2011

Cassazione civile sez. III, 05/05/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 05/05/2011), n.9915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25103-2006 proposto da:

Z.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA SISTINA 121, presso lo studio dell’avvocato PANUCCIO

ALBERTO, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente-

contro

FONDIARIA SAI SPA, (OMISSIS), in persona del suo legale

rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato PERILLI MARIA

ANTONIETTA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

BORRUTO VINCENZO, BORRUTO ALESSANDRA giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 52/2006 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA,Sezione Civile, emessa il 9/02/2006, depositata il

24/02/2006; R.G.N. 224/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2011 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l’Avvocato PANUCCIO ALBERTO;

udito l’Avvocato PERILLI MARIA ANTONIETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- L’assicurata Z.A., una volta determinato dai periti in L. 710.000.000 il danno dalla medesima subito a seguito dell’incendio che il (OMISSIS) aveva distrutto il proprio deposito di articoli e arredamenti per parrucchieri, richiese decreto ingiuntivo di pagamento della predetta somma nei confronti dell’assicuratrice Sai.

Emesso il decreto, il giudizio di opposizione proposto dall’ingiunta si concluse con sentenza n. 824/01 del tribunale di Reggio Calabria, che revocò il decreto per difetto dei presupposti del procedimento monitorio e ridusse del 10% la somma dovuta dalla Sai sul rilievo che la presenza nel magazzino di un grande quantitativo di acetone (circa 700 litri) e di un cavo volante per l’illuminazione avevano comportato un aumento del rischio, tale da giustificare la riduzione in tale misura dell’indennizzo dovuto dall’assicuratore ai sensi dell’art. 1898 c.c., u.c..

2.- La corte d’appello di Reggio Calabria, accogliendo parzialmente l’appello della Sai con sentenza n. 52 del 23.2.2006, ha ridotto del 50% la misura dell’indennizzo, determinando in Euro 183.342,20 (equivalenti a L. 335.000.000), oltre agli accessori, la somma dovuta dalla società assicuratrice.

3.- Avverso la sentenza ricorre per cassazione la Z., affidandosi a due motivi cui resiste con controricorso la Fondiaria- Sai s.p.a. (nuova denominazione di Sai).

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo – deducendo violazione degli artt. 342, 346 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 1898 c.c., u.c. – la ricorrente denuncia vizio di ultra petizione, dolendosi che la corte d’appello abbia ulteriormente ridotto l’indennizzo dovuto dall’assicuratore, benchè l’atto d’appello della Sai non contenesse alcuna specifica censura in ordine alla misura della riduzione determinata dal Tribunale, ma fosse invece volto alla liberazione totale dell’assicuratore ai sensi dell’art. 1898, comma 1 per avere la Sai sostenuto che, se avesse conosciuto il rischio al momento della conclusione del contratto, non avrebbe consentito l’assicurazione.

Sostiene che gli elementi di fatto da provare ed esaminare nei due casi sono diversi, poichè in un caso essi sono “quei fatti tali da escludere totalmente l’assunzione del rischio”, mentre nel caso ravvisato dalla corte d’appello essi sono “quei fatti che avrebbero determinato un aumento del premio d’assicurazione”.

2.- Il motivo è infondato.

I fatti addotti dall’appellante e considerati dalla corte d’appello sono, invece, assolutamente i medesimi (presenza di un sistema volante di illuminazione di parte del locale con conseguente rischio di corto circuito innescante un incendio, considerata anche la presenza di grande quantità di liquido infiammabile): l’assicuratore assumeva che, se li avesse conosciuti, addirittura non avrebbe concluso il contratto; la corte d’appello ha invece ritenuto che il contratto sarebbe stato concluso, ma che il premio sarebbe stato raddoppiato, conseguentemente riducendo l’indennizzo della metà, in luogo del 10% determinato dal tribunale.

Il sistema contemplato dal combinato disposto di cui al primo ed all’art. 1898 c.c., u.c. del resto, assai chiaro: se il fatto comportante l’aggravamento del rischio e non comunicato dall’assicurato è tale che l’assicuratore non avrebbe concluso il contratto se lo stato delle cose fosse esistito al momento della conclusione del contratto, allora egli non risponde del sinistro; se è invece tale che egli avrebbe bensì concluso il contratto ma lo avrebbe fatto per un premio superiore, allora l’indennizzo è dovuto in misura proporzionalmente inferiore, in relazione al rapporto tra il premio stabilito e quello che sarebbe stato fissato.

Non è allora configurabile vizio di extrapetizione se il giudice d’appello, in applicazione dell’art. 1898 c.c., abbia solo ridotto (in misura maggiore di quanto aveva fatto il giudice di primo grado), invece che del tutto eliso, l’obbligazione indennitaria dell’assicuratore, che questo in appello abbia appunto domandato;

giacchè tanto integra semplicemente un accoglimento parziale dell’impugnazione e, per converso, della domanda indennitaria dell’assicurato.

Nè è conseguentemente configurabile violazione dell’art. 342 c.p.c. per difetto di specificità dei motivi di impugnazione, volta che il motivo d’appello col quale la parte, condannata a pagare una certa somma in primo grado sulla base di determinati fatti, domandi di essere completamente assolta da ogni pretesa avanzata in suo confronto dalla controparte in base ai medesimi fatti, necessariamente comprende l’implicita richiesta di essere dichiarata tenuta a pagare di meno.

3.- Col secondo motivo la sentenza è censurata per violazione degli artt. 1898, 1226 e 2697 c.c. in relazione agli artt. 113 e 115 c.p.c., nonchè per omessa o insufficiente motivazione sul punto decisivo costituito dall’incremento percentuale del premio che sarebbe stato fissato se l’aggravamento del rischio fosse esistito ab origine e fosse stato conosciuto dall’assicuratore.

Si sostiene che sarebbe stato onere della compagnia assicuratrice fornire la prova che la stessa avrebbe richiesto una maggiorazione del premio, previa valutazione della precisa incidenza percentuale dell’aggravamento sul rischio “normale”, sulla base di un calcolo sviluppato su formule matematiche; e che la ufficiosa determinazione nel 50% dell’aumento dell’ipotetico premio era stata del tutto apoditticamente determinata dalla corte d’appello, non essendo consentito il ricorso a valutazioni equitative, stante la diversità del caso rispetto a quello contemplato dall’art. 1226 c.c..

3.1.- Anche questo motivo è infondato.

La corte d’appello ha ritenuto che, nel caso di specie, la misura del materiale infiammabile usualmente depositato, la esistenza di una conduttura elettrica insicura perchè non a norma, inducono a ritenere che l’assicuratrice, quand’anche avesse stipulato la polizza, avrebbe certamente raddoppiato il premio, con valutazione di fatto, evidentemente basata su massime di comune esperienza, delle quali è doveroso che il giudice faccia anche officiosamente applicazione (Cass., n. 22022/2010).

Costituisce invece inspiegata affermazione della ricorrente che una conduttura elettrica volante, costituita da conduttore elettrico a piattina che, collegato all’interruttore esistente presso la porta di accesso, consentiva di illuminare gli anditi in ombra fra le scaffalature (così la sentenza impugnata, sub 3b); integri un dato suscettibile di essere matematicamente valutato quanto all’incidenza sul rischio “normale” di incendio.

Non è d’altronde sostenuto in ricorso che a criteri matematici fosse informata la valutazione del giudice di prime cure (che aveva stimato nel solo 10% l’aumento ipotetico del premio e dunque la riduzione dell’indennizzo) con decisione che la ricorrente non aveva peraltro ritenuto di impugnare. Ed è stato di recente chiarito – benchè a proposito del nesso causale, ma la considerazione si attaglia anche al caso che ne occupa – che la determinazione percentuale dell’incidenza causale di un fatto al verificarsi di un altro non consiste che nella necessaria, inevitabilmente approssimativa, espressione aritmetica di un’opinione, insuscettibile di esplicazione analitica in termini (quelli appunto aritmetici) diversi da quelli sulla base dei quali si forma (quelli logici). Il sindacato può essere dunque condotto solo sul piano della contraddittorietà della motivazione, se l’espressione percentuale manifestamente si discosti dalle osservazioni che la sostengono (Cass., 24.3.2011, n. 6752).

Così nella specie non è, avendo la corte d’appello dato ampio conto delle ragioni per le quali il rischio doveva ritenersi considerevolmente aumentato.

4.- Il ricorso è respinto. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 7.200, di cui 7.000 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2011

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