Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9913 del 19/04/2017

Cassazione civile, sez. II, 19/04/2017, (ud. 08/03/2017, dep.19/04/2017),  n. 9913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19509/2012 proposto da:

P.B., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VAL GARDENA 35, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO GUIDI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ENRICO CARLO ADOLFO PEREGO;

– ricorrente –

contro

LA PORTAFINESTRA DI Z.L., PSZ DI S.S. E C SNC,

PASTICCERIA PIERGALLINI DI P.P. E M.G. E C SNC,

VETRERIA M. DI M.P. E C SNC, elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato DANIELE

MANCA BITTI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FILIPPO VITTORIO RONDANI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 476/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 16/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito l’Avvocato PEREGO Enrico Carlo Adolfo, difensore della

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento delle difese depositate;

udito l’Avvocato Irene ROMANO, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato MANCA BITTI Daniele, difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Con atto di citazione ritualmente notificato P.B. convenne innanzi al Tribunale di Brescia, sez. stacc. di Salò – la Vetreria Musesti snc, la PSZ snc, Z.L., in qualità di titolare della ditta Portafinestra, nonchè la Pasticceria Piergallini snc (introducendo nei confronti di quest’ultima separata causa che veniva successivamente riunita)” esponendo:

di essere proprietaria del terreno sito in Comune di Puegnago di cui al mapp. (OMISSIS), fg. (OMISSIS) NCT, che era sempre stato separato, al lato nord, da altro fondo, di proprietà di T.B., da un piccolo fosso di raccolta delle acque di scolo, di cui ciascuna delle parti latistanti aveva la proprietà fino alla mezzeria;

il T. aveva alienato il proprio terreno al Consorzio Artigianale Gardesano, il quale, nell’ambito del piano di insediamento industriale approvato dal Comune di Salò, aveva sopralzato il terreno ed edificato un muro di contenimento in cemento armato pressocchè sulla mezzeria del fosso, costruendo sui lotti confinanti alcuni capannoni senza il rispetto delle distanze di legge e regolamentari. Tanto premesso, chiedeva la condanna dei convenuti all’arretramento del muro di contenimento e di ogni altra opera edificata senza il rispetto della distanza legale dall’immobile di sua proprietà.

I convenuti, costituitisi, negavano di aver edificato i capannoni in violazione delle distanze legali.

Il tribunale di Brescia, espletata ctu, condannò i convenuti al ripristino dello stato dei luoghi ed all’arretramento del muro di contenimento, in quanto edificato senza il rispetto delle distanze legali dal confine di proprietà dell’attrice, oltre al risarcimento dei danni.

La Corte d’Appello di Brescia, in riforma della sentenza di primo grado, respinse la domanda, in quanto, sulla base delle indagini svolte dal ctu, era risultato che i fondi erano separati da un fosso di proprietà demaniale, che faceva parte del “reticolo idrico minore” di competenza comunale.

Di conseguenza, ad avviso della Corte, non era applicabile l’invocata normativa in materia di distanze dal confine.

Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di sette motivi, la P..

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

La ricorrente ha altresì depositato, in prossimità dell’udienza, memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 167 c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza ex art. 360, nn. 3) e 4), deducendo che la sentenza impugnata aveva omesso di rilevare che il fatto costitutivo – e cioè il fatto che i fondi fossero confinanti – non era stato contestato.

Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 180 e 183 c.p.c., nel testo anteriore al D.L. n. 35 del 2005, conv. nella L. n. 80 del 2005, lamentando che la sentenza impugnata aveva accolto un’eccezione tardiva delle controparti, dalla quale esse erano decadute per non averla formulata nei termini.

I motivi che, in ragione dell’intima connessione, vanno unitariamente esaminati, sono infondati.

La questione relativa alla demanialità del fosso che separava i due terreni, in quanto inerisce alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, vale a dire una domanda di negatoria servitutis avente ad oggetto la violazioni delle disposizioni in materia delle distanze tra fondi finitimi, integra una mera difesa e non costituisce dunque eccezione in senso stretto, ed è rilevabile d’ufficio dal giudice.

Ed invero, il semplice difetto di contestazione in relazione ad un fatto costitutivo del diritto fatto valere in giudizio (nel caso di specie l’esistenza di una striscia di terreno, di proprietà demaniale e non anche nella proprietà esclusiva delle parti, che separava i fondi per cui è causa) non impone un vincolo di meccanica conformazione, in quanto il giudice può sempre rilevare l’inesistenza della circostanza allegata da una parte anche se non contestata dall’altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto (Cass. Ss.Uu. 2951/2016).

Nessuna preclusione era dunque maturata in capo agli odierni resistenti in relazione alla natura demaniale del canale, onde non sussiste la dedotta tardività della relativa eccezione in sede di appello, posto che l’art. 345 c.p.c., comma 2, prevede il divieto delle sole eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio.

Con il terzo motivo si denunzia la violazione dell’art. 102 c.p.c., per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della P.A. ai fini dell’accertamento della natura demaniale del fosso.

Con il quarto motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 140 e dell’art. 295 c.p.c., deducendo che l’accertamento della natura demaniale del fosso avrebbe dovuto essere rimessa al Tribunale Regionale delle Acque pubbliche, previa sospensione del giudizio.

I motivi che precedono, vanno anch’essi unitariamente esaminati, in ragione dell’intima connessione, e sono infondati.

Orbene, nel caso di specie, l’accertamento della natura demaniale del fosso che separava i fondi delle parti, quale canale inserito nel reticolo idrico minore comunale, è stato effettuato, in via incidentale, al solo fine di determinare la sussistenza del presupposto di applicabilità della normativa in materia di distanza dal confine.

Da ciò discende che non sussiste l’invocata competenza funzionale del tribunale regionale delle acque pubbliche, nè alcun necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti della P.A..

Con il quinto motivo si denunzia l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5), in relazione alla ritenuta natura demaniale del fosso, sulla base di elementi insufficienti e contraddittori.

Con il sesto motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 822 e 824 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3), in relazione ai criteri applicati dalla Corte territoriale ai fini dell’accertamento della natura demaniale del bene.

Pure tali motivi sono infondati.

Orbene, premesso che in forza della L. n. 36 del 1994, art. 1, nonchè del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 144, tutte le acque superficiali e sotterranee appartengono al demanio idrico dello Stato (Cass. Ss.Uu. 13532/2016), la Corte territoriale, preso atto che il Ctu aveva accertato, sulla base di ispezione diretta dei luoghi che non risulta specificamente contestata, che il canale in oggetto presentava un costante filo d’acqua e che lo stesso era inserito nel reticolo idrico minore del Comune di Salò, e per un tratto anche in quello del Comune di Puegnago, con valutazione di merito che, in quanto fondata su argomentazione logica e coerente, non è sindacabile nel presente giudizio, ha ritenuto, in conformità alle conclusioni del ctu, che l’appartenenza del canale al reticolo idrico del tratto “a monte” del Comune di Puegnago dovesse necessariamente estendersi anche al tratto posto tra le proprietà per cui è causa, con la conseguente natura demaniale del canale in oggetto, in quanto interessato dallo scorrimento di acque pubbliche.

Con il settimo motivo si denunzia la violazione degli artt. 873, 874 e 905 c.c., lamentando che la sentenza impugnata abbia rigettato la domanda sulla base della sola circostanza che i fondi non erano confinanti, laddove la nozione di “fondi finitimi” di cui all’artt. 873 c.c., secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, non coincide con quella di fondi contigui.

Pure tale motivo è infondato.

Si osserva infatti che, come questa Corte ha già affermato, le norme sulle distanze legali disciplinano i rapporti tra fondi privati contigui e non trovano applicazione quando si tratti di un’opera costruita su un’area demaniale, posto che in tal caso l’eventuale pregiudizio dei diritti dei proprietari dei fondi contigui dev’essere valutato in relazione all’uso normale spettante ai medesimi sul bene pubblico (Cass. 1558/1974).

E’stato altresì affermato che il rapporto di contiguità tra i fondi viene meno allorchè il canale che li separa sia pubblico, per la funzione irrigua esercitata a servizio di una pluralità di fondi, idonea ad attribuirgli una vocazione pubblica incompatibile con quella di mera delimitazione del confine (Cass. 19251/2015; 2471/2001).

Il ricorso va dunque respinto e la ricorrente va condannata alla refusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte respinge il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 2.700,00 Euro, di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2017

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