Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9911 del 27/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 27/05/2020), n.9911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10966/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio

eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Toscobuilding s.r.l., rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Roberto

Cordeiro Guerra, elettivamente domiciliata in Roma, via F. Denza n.

20, presso lo studio dell’Avv. Laura Rosa;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Toscana depositata il 19 ottobre 2012, n. 92/9/12.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 gennaio

2020 dal Consigliere Dott. Leuzzi Salvatore.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– L’Agenzia propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe, di accoglimento dell’appello promosso dalla contribuente nei confronti della sentenza della CTP di Prato, che ne aveva respinto il ricorso avente ad oggetto un avviso di accertamento mediante il quale l’Ufficio aveva effettuato un recupero fiscale di IVA e IRES nei confronti della società, reputandola “non operativa”, quindi rideterminandone il reddito ai sensi e per gli effetti della L. n. 724 del 1994, art. 30, con riferimento all’anno di imposta 2006;

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– Con il primo motivo di ricorso, la parte contribuente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza d’appello, censurando la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., essendo stati trascurati dalla CTR elementi fattuali incontestati dai quali risultava desumibile la natura di “società di comodo” dell’odierna controricorrente. Segnatamente, il giudice d’appello avrebbe sorvolato sulle circostanze fattuali poste a base di un’azione revocatoria, promossa dalla curatela del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. nei confronti della Toscobuilding s.p.a. e che sarebbe valsa ad “attestare la inconsistenza imprenditoriale della Progetti Immobiliari s.r.l. (ora Toscobuilding s.r.l.)”, ossia a dimostrarne la natura di società “di comodo” e “inoperativa”.

– Con il secondo motivo di ricorso, la parte contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza, per avere la CTR trascurato di valutare talune circostanze indiziarie derivanti da affermazioni di soggetti terzi – ancora una volta quelle rese dalla curatela del fallimento della (OMISSIS) s.p.a. nel quadro dell’azione revocatoria esperita nei confronti della Toscobuilding s.p.a. – valorizzando altri profili del tutto ininfluenti.

– Con il terzo motivo di ricorso, la parte contribuente contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 2901 e 2902 c.c. nonchè della L. n. 724 del 1994, art. 30, per avere la CTR erroneamente affermato che dall’accoglimento eventuale di una domanda di revocazione di vendita immobiliare discenderebbe l’illegittimità dell’accertamento fiscale e l’inapplicabilità della L. n. 724 del 1994 anzidetta.

– I primi due motivi di ricorso, logicamente connessi, si prestano a trattazione unitaria, che ne rivela l’inammissibilità.

– Entrambe le censure mirano a valorizzare – attribuendovi una portata probatoria idonea a condizionare l’epilogo del presente giudizio – allegazioni rese in un separato giudizio per revocatoria fallimentare, intrapreso da un soggetto terzo (la (OMISSIS) s.p.a.) nei confronti della Toscobuilding.

– La CTR ha escluso la non operatività della contribuente odierna evidenziando che: “a nulla rilevano le considerazioni e argomentazioni svolte dalla curatela del fallimento (OMISSIS) in sede di azione revocatoria… in quanto trattasi di argomentazioni di parte”; “la commistione parentale fra le due società non necessariamente significa e comporta la fittizietà nella costituzione di più società…”; “la Progetti Immobiliari… è subentrata nel contratto di locazione con la srl I.C.R. sino al 31.7.2003”, sicchè non potevano escludersi le intenzioni di svolgere attività imprenditoriale; la società Toscobuilding “non ha mai avuto la disponibilità dell’immobile, sempre occupato” “il mancato consegimento di ricavi… è derivato da “situazioni oggettivè”.

– Com’è noto, la Corte di Cassazione è investita della facoltà di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. n. 22386 del 2014; Cass. n. 22146 del 2014).

– Il vaglio che la Corte esercita in funzione della legalità della decisione non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa, così come a sua volta il controllo di logicità non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito. E questo perchè il controllo affidato alla Corte non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; Cass. n. 18074 del 2014; Cass. n. 91 del 2014).

– Sulla base della delimitazione del campo in cui può esercitarsi legittimamente l’ufficio della Corte, vien fatto di dire, con riguardo ad ambedue le doglianze che la parte solleva relativamente alla sentenza impugnata, che esse si sostanziano – in convergenza – nel richiedere al giudice di legittimità la rinnovazione di un giudizio di fatto, intendendo per vero sottoporre risultanze processuali emerse nel corso del giudizio di merito ad una nuova valutazione, in modo da sostituire alla valutazione sfavorevole già effettuata dai primi giudici una più consona alle proprie concrete aspirazioni.

– Chiedere la valorizzazione di elementi probatori venuti in evidenza in costanza di giudizio – sia pure sotto il profilo dell’asserita “non contestazione” ex art. 115 c.p.c. – equivale a postulare una rinnovazione del giudizio afferente ad un accertamento di fatto che pure risulta sufficientemente motivato, tanto da non rivelarsi suscettibile di rimeditazione nei limiti del controllo istituzionale che può aver luogo in questa sede. Spetta al giudice del merito, invero, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Nel caso che occupa, la CTR ha assolto al compito prescrittole, limitandosi a dare libera prevalenza ad alcuni elementi di prova in luogo di altri e a offrirne idonea contezza argomentativa. Nè la parte processuale può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è, come detto, preclusa in sede di legittimità (da ultimo ed ex multis v. Cass. n. 29404 del 2017).

– Del resto, con la proposizione del mezzo di impugnazione, il ricorrente non può spingersi a contrapporre un difforme apprezzamento in fatto rispetto a quello reso dai giudici d’appello neppure sotto il profilo dell’asserita “non contestazione”, posto che lo scrutinio effettuato dalla Corte di cassazione non può riguardare il convincimento in sè stesso del giudice di merito, come tale incensurabile, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati (Cass. n. 14929 del 2012; Cass. n. 5205 del 2010).

– Nè le critiche “vincolate” di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e n. 5, valgono a condurre ad una revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.

– Nel caso in esame, allora, la ricorrente ha per l’appunto richiesto una diversa lettura del materiale probatorio plausibilmente amministrato dal giudice di merito e, dunque, un intervento precluso a questa Corte.

– Nel caso di specie l’aspirazione di parte ricorrente culmina, peraltro, nella pretesa ascrivibilità alle allegazioni svolte da una curatela fallimentare in un giudizio altro da quello odierno di una portata probatoria addirittura dirimente. Ora, se è vero in astratto (v. Cass. n. 840 del 2015) che “il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all’ammissione e all’assunzione della prova”, è pur vero che la mancata acquisizione di tali prove non è neppure censurabile in cassazione, restando il giudice di merito arbitro della valutazione della rilevanza ed utilizzabilità di tali elementi (Cass. n. 10825 del 2016).

– A ciò vanno a sommarsi due ulteriori considerazioni.

– La prima sta in ciò, che la non contestazione dei fatti non costituisce prova legale, bensì mero elemento di prova, sicchè il giudice di appello, ove investito dell’accertamento dei medesimi è chiamato a compiere una valutazione discrezionale del materiale probatorio ritualmente acquisito, senza essere vincolato all’uno o all’altro degli elementi che lo compongono.

– La seconda risiede in ciò, che le allegazioni svolte dalla curatela nel distinto giudizio condensano il “thema probandum” di quest’ultimo, non assurgendo le deduzioni veicolate in un atto di citazione a prove idonee a condizionare addirittura gli esiti di un differente contenzioso.

– Il terzo motivo è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

– Infatti va osservato che, in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. n. 12372; 2006; Cass. n. 19161 del 2005).

– Il ricorso va in ultima analisi dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna l’Agenzia delle entrate ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 4.100,00, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 15 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 27 maggio 2020

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