Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9910 del 26/04/2010

Cassazione civile sez. III, 26/04/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 26/04/2010), n.9910

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MONZINI

MARIO, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELLI EDMONDO giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

S.G.A. titolare della ditta individuale SILVA

ARREDAMENTI, (OMISSIS);

– controricorrenti –

sul ricorso 34344-2006 proposto da:

S.G.A., titolare della ditta individuale SILVA

ARREDAMENTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 88,

presso lo studio dell’avvocato DE BONIS MASSIMO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FIORI SERGIO giusta delega a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

e contro

L.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 464/2006 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

SEZIONE PRIMA CIVILE, emessa il 08/03/2006, depositata il 05/06/2006

R.G.N. 442/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato MARIO MONZINI per delega dell’Avvocato EDMONDO

RAFFAELLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento p.q.r. dei primi

tre motivi, assorbiti gli altri, rigetto del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 3 marzo 2000 S.G.A., titolare della ditta individuale Silva Arredamenti, conduttore di un immobile adibito a magazzino di proprietà di L.G. in (OMISSIS) ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Crema è L. G., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni tutti patiti da esso concludente – e da liquidare complessivamente in L. 60.200.000 – a seguito dell’allagamento di tale magazzino verificatosi il 7 settembre 1999 in occasione di un temperale.

Ha esposto l’attore, infatti, che l’allagamento era stato causato dalla rottura del raccordo esistente tra la tubatura esterna, che scarica l’acqua piovana, con il sistema di scarico interno.

Costituitasi in giudizio la convenuta ha resistito alla avversa domanda deducendone la infondatezza, atteso che i danni lamentati erano conseguenza dalla condotta del conduttore.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale ha rigettato la domanda attrice.

Gravata tale pronunzia dal soccombente S., nel contraddittorio della L. che, costituitasi in giudizio, ha chiesto il rigetto della avversa impugnazione, la Corte di appello di Brescia, con sentenza 8 marzo – 5 giugno 2006, in parziale accoglimento dell’appello, ha condannato la appellata al pagamento in favore dell’appellante della somma di Euro 10.789,22, oltre interessi legali come in motivazione.

Per la cassazione di tale pronunzia, notificata il 10 luglio 2006, ha proposto ricorso, con atto 24 ottobre 2006 e date successive L. G., affidato a 7 motivi e illustrato da memoria.

Resiste, con controricorso e ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi, S.G.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. Come accennato in parte espositiva, S.G.A., conduttore di un magazzino in (OMISSIS) di proprietà di L. G. ha convenuto questa ultima in giudizio chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti il 7 settembre 1999 allorchè, a seguito di un temporale, tale magazzino era stato allagato con la rovina di gran parte dei materiali ivi ricoverali, atteso che l’allagamento era stato causato dalla rottura del raccordo esistente tra la tubatura esterna, che scarica l’acqua piovana, con il sistema di scarico interno.

Rigettata la domanda dal primo giudice sul rilievo che l’allagamento era stato causato dal disassamento tra pluviale interno e terminale della condotti di raccordo dell’acqua piovana, disassamento attribuibile a probabili urti contro il pluviale di materiali ricoverati nel magazzino, diversamente la Corte di appello ha ritenuto che l’evento era stato causato dalla condotta colposa di entrambe le parti, la cui efficienza causale poteva ritenersi equivalente (con conseguente diritto del S. a ottenere il risarcimento della metà dei danni subiti in conseguenza dell’allagamento).

Hanno, in particolare, ritenuto quei giudici:

– da un lato, che non esiste alcuna prova del fatto ritenuto quantomeno probabile dal primo giudice che il pluviale interno abbia subito urti tali da causare disconnessione tra lo stesso pluviale e l’elemento fisso che in esso convogliava le acque raccolte sul tetto, tenuto presente che la circostanza, anche invocata dalla convenuta non aveva trovato alcun riscontro nella istruttoria svolta;

– dall’altro che il c.t.u. ha concluso le proprie indagini accertando che causa del sinistro è stata “la mancanza di manutenzione del pluviale” e “la mancata esecuzione a regola d’arte dell’ancoraggio dello stesso alla muratura perimetrale”;

– da ultimo che sussiste concorrente pari responsabilità delle parti, atteso(da una parte, il comportamento negligente del S. che nella sua qualità di conduttore, da oltre tre anni, dell’immobile,ha omesso qualsiasi manutenzione delle fascette (essendo del tutti) percepibile che la mancata tenuta delle stesse comportava una mobilità del pluviale che poteva comprometterne la funzionalità, causando il distacco di esso dall’elemento fisso), dall’altra il comportamento colposo della L., proprietaria e locatrice dell’immobile, che deve rispondere della cattiva esecuzione dell’ancoraggio del pluviale (che risultava agganciato alla muratura perimetrale con del filo di ferro e delle vecchie fascette, sistema che consentiva nel caso non improbabile di allentamento delle fascette, lo slittamento verso il basso del pluviale con il conseguente distacco all’elemento fisso collegato alla conversa).

3. La ricorrente principale censura la sentenza impugnata con 7 motivi.

Considerazioni di ordine logico impongono di esaminare, con precedenza, rispetto agli altri, il secondo motivo.

Con tale motivo la ricorrente denunzia: “falsa e erronea interpretazione, applicazione dell’art. 1578 c.c.”.

Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto “dica la Suprema Corte di Cassazione se i vizi di cui all’art. 1578 c.c., siano quelli intrinseci alla cosa locata già esistenti alla stipula del contratto alterandone la integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale. Mentre non lo sono quei guasti o deterioramenti della stessa dovuti alla naturale usura, effetto del tempo, ovvero di accadimenti accidentali. Dica altresì la Ecc.ma Corte adita se la garanzia prevista nell’art. 1578 c.c., opera allorchè il conduttore abbia conosciuto i vizi o siano facilmente riconoscibili, ovvero la mancata denuncia di tali vizi sia un implicita rinuncia alla garanzia”.

4. Il motivo non coglie nel segno.

Prevede l’art. 1578 c.c., che qualora, al momento della consegna, la cosa oggetto di locazione è affetta da vizi (che ne diminuiscono in modo apprezzabile la idoneità all’uso pattuito) il conduttore ha diritto:

– alla risoluzione del contratto (comma 1, prima parte);

– alla riduzione del corrispettivo (comma 1, seconda parte):

– al risarcimento dei danni (comma 2).

A prescindere da ogni altra questione – sulla possibilità per il conduttore di esercitare cumulativamente una delle azioni previste dal primo comma con quella di cui al secondo, che non rileva in questa sede – è agevole osservare che la norma positiva:

– da lato, contrappone, nettamente l’azione di risoluzione e quella di riduzione del corrispettivo, a quella di risarcimento dei danni;

– dall’altro, detta non equivoche distinte discipline a seconda che sia esercitata una azione o piuttosto l’altra.

In particolare:

– mentre ai fini dell’esercizio delle azioni di cui al comma 1 (di risoluzione e di riduzione del corrispettivo) il locatore è esonerato da responsabilità nella eventualità si tratti di vizi conduttore conosciuti o facilmente riconoscibili lo stesso – cioè – al fine del rigetto della domanda attrice deve dare la prova che i vizi della cosa erano conosciuti o facilmente conoscibili da parte del conduttore al momento della consegna della cosa locata;

– diversamente, in caso il conduttore abbia esercitato l’azione di danni (di ci al comma 2), il locatore è esente da responsabilità esclusivamente nella eventualità dia la prova di avere, senza colpa, ignorato i vizi stessi.

Pacifico quanto precede, non controverso che nella specie il conduttore S. non ha esercitato nè la a-zione di risoluzione del contratto nè quella di riduzione del corrispettivo dovuto, è di palmare evidenza la assoluta irrilevanza – al fine del decidere – di tutte le considerazioni svolte dalla ricorrente al fine di dimostrare che nella specie il conduttore conosceva i vizi della cosa locata o che questi erano facilmente conoscibili.

In realtà al fine di escludere la propria responsabilità la ricorrente principale doveva dedurre e dimostrare che al momento della conclusione del contratto essa L. ignorava “senza colpa” i vizi della cosa e non – come ha fatto – invocare la immediata conoscibilità del vizio, certo essendo che se questo – come si afferma nel motivo – era immediatamente percepibile da parte del conduttore non poteva non essere percepibile, e percepito, da parte del locatore che, di conseguenza, non può invocare di ignorarlo “senza colpa”.

5. Con i restanti motivi, tutti intimamente connessi e da considerare congiuntamente, la ricorrente principale lamenta:

– “insufficiente e/o erronea motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè vizio di logica nella motivazione. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1575 – 1579 e 1581 c.c.”. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., la ricorrente, al termine di tale motivo precisa: ex art. 366 bis c.p.c., si rileva che la Corte del gravame non motiva espressamente il perchè pone pari responsabilità a carico delle 2 parti, equiparando vizi originar e sopravvenuti, che sono tra loro qui inconciliabili, o il danno è avvenuto per un vizio esistente ab origine, oppure per guasto e/o cattiva manutenzione. La Corte non motiva comunque il perchè giunge a tali conclusioni se non con un sintetico richiamo – erroneo – alla C.T.U. di primo grado; ex art. 366 bis c.p.c., dica questa Corte se v’è distinzione tra “vizio originario” e “guasto” sopravvenuto, l’imputabilità dei conseguenti danni primo motivo;

-“omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, con mancata decisione su un punto rilevante e violazione dell’art. 1579 c.c.”. Al termine di tale motivo la ricorrente precisa: ex art. 366 bis c.p.c., si rileva che la Corte d’Appello di Brescia ha omesso qualsivoglia valutazione del contratto di locazione inter partes, in special modo degli artt. 7, 9-10 che pongono, in deroga alla disciplina del codice sostanziale sulle locazioni – artt. 1576 e 1609 c.c. -, ma secondo l’art. 1579 c.c., la responsabilità della manutenzione straordinaria e ordinaria a carico del conduttore, sebbene tale clausola fosse eccepita più volte dall’attrice nè ha motivato alcunchè su tale punto decisivo e controverso. Dica la Corte se è applicabile qui l’art. 1579 c.c., richiamato dalle tre clausole contrattuali citate (terzo motivo);

– “esiziali insufficienze e contraddittorietà della motivazione su punti decisivi della causa, attinenti all’an debeatur siccome connessi alla responsabilità delle parti”. Lo stesso, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si conclude: ex art. 366 bis c.p.c., si rileva che, la Corte di Brescia si contraddice quando esclude tassativamente la prova dell’urto mentre la foto n. 6 attorea la smentisce. La Corte si contraddice allorchè nega che il disassamento sia avvenuto per urto e nello stesso momento riconosce che il teste S. vide tavole appoggiate al pluviale. Anzi addirittura la motivazione è altresì insufficiente allorchè non voluta la foto n. 6 attore a ovvero il disegno del CTP, Geom. G. entrambi richiamati dalla CTU posta dal Giudice del gravame a base della Sento qui impugnata: nella foto 6 v’è scrosta tura da urto; nel disegno 2 di CTP G. v’è disassamento (dx – sin.) non scivolamento verso il basso. La Corte non motiva altresì il perchè ritiene che il vizio sia causato da scivolamento (lì impossibile per CTP attorea) e non da disassamento quarto motivo;

“esiziali omissioni di motivazione su punto decisivo della causa sul quantum debeatur, ma correlate altresì all’an debeatur ex art. 1587 c.c., n. 1″. Il motivo, si sensi dell’art. 366 bis c.p.c. si conclude: la sentenza bresciana doveva o no individuare il quantum d’incidenza della colpa di S. (ex art. 1225, 1221 e 1587 c.c.) per omessa custodia – vigilanza dei mobili, o doveva motivare sulla responsabilità d’aggravamento del danno da parte del creditore S.?” quinto motivo;

– “violazione e falsa applicazione degli art. 194 c.p.c. e art. 90 c.p.c., e dell’essenziale principio del contraddittorio in tutta la C.T.U., in specie per quella attinente al quantum. Ed altresì omessa motivazione sulla pedissequa accettazione della C.T.U. sul quantum, nonostante i palesi vizi rilevabili d’ufficio e denunziati ritualmente dalla convenuta”. Il motivo si conclude, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “dica la Suprema Corte di cassazione se il CTU può farsi coadiuvare da esperti senza l’autorizzazione dell’organo giudicante e se l’eventuale relazione del coadiutore deve essere comunicata alle parti pena il difetto di contraddittorio. Dica altresì che se il difetto di contraddittorio nella CTU o nella parte sul quantum la vizi insanabilmente” sesto motivo;

– “totale omissione e/o contraddittorietà di motivazione sul punto decisivo elenco dei mobili e beni danneggiati”. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il motivo si conclude: ex art. 366 bus c.p.c., si rileva che la Corte bresciana non motiva, non spiega l’elemento probatorio per il quale accetta l’elenco dei beni stimati dal CTU nonostante l’assoluta incertezza dallo stesso 2 volte denunciato.

Sull’elenco di mobili danneggiati la Corte non istruisce alcunchè ed omette di chiarire quali e quanti mobili erano effettivamente presenti al momento del sinistro settimo motivo.

6. I sopra trascritti motivi sono inammissibili, sotto diversi, concorrente, profili.

6.1. In primis si osserva che gli stessi sono formulati in termini non conformi al modello delineato, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 bis c.p.c., introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, e applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 14 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5).

Alla luce delle considerazioni che seguono.

6.1.1. Come noto, il quesito di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

In altri termini, la Corte di cassazione deve poter comprendere dalla lettura dal solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice del merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare.

La ammissibilità del motivo, in conclusione, è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054; Cass. 7 aprile 2009, n. 8463).

Conclusivamente, poichè a norma dell’art. 366 bis c.p.c., la formulazione dei quesiti in relazione a ciascun motivo del ricorso deve consentire in primo luogo la individuazione della regula iuris adottata dal provvedimento impugnato e, poi, la indicazione del diverso principio di diritto che il ricorrente assume come corretto e che si sarebbe dovuto applicare, in sostituzione del primo, è palese che la mancanza anche di una sola delle due predette indicazioni rende inammissibile il motivo di ricorso.

Infatti, in difetto di tale articolazione logico giuridica il quesito si risolve in una astratta petizione di principio o in una mera riproposizione di questioni di fatto con esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale o ancora in una mera richiesta di accoglimento del ricorso come tale inidonea a evidenziare il nesso logico giuridico tra singola fattispecie e principio di diritto astratto oppure infine nel mero interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nella e-sposizione del motivo (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1528, specie in motivazione, nonchè Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27368).

6.1.2. Contemporaneamente, si osserva che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c., è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, la illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).

6.1.3. Non controversi i principi che precedono è palese – facendo applicazione dei riferiti principi al caso di specie – la inammissibilità, come anticipato, dei motivi.

Quanto alle censure sviluppate ex art. 360 c.p.c., n. 3, infatti, si osserva che i quesiti di diritto, formulati a illustrazione dei vari motivi di ricorso sono redatti in termini assolutamente astratti e senza alcun riferimento alla fattispecie concreta in esame.

In altri termini non è dato comprendere quale sia la relazione tra la fattispecie concreta esaminata dal giudice a quo e il principio di diritto da questo applicato e il diverso principio – totalmente astratto -invocato nei vari quesiti, nè – ancora – è dato comprendere quale sia la regula iuris fatta propria dai giudici del merito e la diversa regula invocata.

Quanto, poi, alle censure svolte sotto il profilo di cui all’art. 360, n. 5 c.p.c. è agevole osservare – a prescindere da ogni altra considerazione – che nella specie tutti i motivi sopra indicati sono totalmente privi della indicazione prescritta dal più volte ricordato art. 366 bis c.p.c., del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, è palese che deve dichiararsene la inammissibilità (in argomento, tra le tantissime, Cass. 13 maggio 2009, n. 11094, in motivazione).

6.2. In secondo luogo, anche a prescindere dai pur assorbenti rilievi che precedono si osserva:

6.2.1. Il vizio di violazione di legge – rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di Cassazione).

Viceversa, la allegazione – come prospettate nella specie da parte della ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal rilievo che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (tra le tantissime, ad esempio, Cass. 4 marzo 2010, n. 5207, specie in motivazione).

Certo che nella specie la ricorrente pur denunziando la violazione – da parte dei giudici del merito – di molteplici norme di diritto lungi dall’indicare quale sia la “erronea” interpretazione di tali disposizioni data dai giudici a quibus e quale quella “corretta” alla luce delle giurisprudenza di questa Corte e della più autorevole dottrina in argomento, si limita a cen-surare la lettura delle risultanze di causa data dalla sentenza impugnata, atteso che quelle stesse risultanze, diversamente interpretate, avrebbero potuto condurre a una diversa soluzione della lite, è palese, anche sotto tale profilo, la inammissibilità della censura.

6.2.2. Il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nella attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre non può,invece, essere inteso – come pare pretenda la ricorrente – a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggetto della parte e, in particolare, non si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (cfr. Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 6 settembre 2007, n. 18709; Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

6.2.3. Giusta quanto assolutamente incontroverso, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice (da cui senza alcuna motivazione totalmente prescinde parte ricorrente) il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

Certo che nella specie la ricorrente, pur denunziando che la sentenza impugnata è affetta da motivazione contraddittoria, anzichè far riferimento ai vari passaggi di questa e alle affermazioni in essa contenute tra loro contraddittorie, si limita a invocare una “supposta” contraddizione della sentenza con le risultanze di causa (almeno come interpretate da essa concludente) è di palmare evidenza sotto tale, ulteriore profilo, la inammissibilità delle censure in esame.

7. Al rigetto del ricorso principale segue l’assorbimento di quello incidentale, espressamente condizionato all’eventuale accoglimento di quello principale.

Le peculiarità del giudizio e la originaria opinabilità della corretta conclusione della vertenza giustifica tra le parti la totale compensazione delle spese di questo giudizio di Cassazione.

PQM

LA CORTE Riunisce i ricorsi;

rigetta il ricorso principale;

dichiara assorbito quello incidentale incidentale;

compensa, tra le parti, le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2010

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