Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9908 del 26/04/2010

Cassazione civile sez. III, 26/04/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 26/04/2010), n.9908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA XXIV MAGGIO 51, presso lo studio dell’avvocato RANIERI

ROSMARIA, rappresentato e difeso dall’avvocato UMMARINO RODOLFO

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SOGED SRL (OMISSIS), G.R. (OMISSIS);

– intimati controricorrenti –

nonchè

sul ricorso 2232-2006 proposto da:

SO.G.ED. S.R.L., in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione e legale rappresentante pro-tempore Sig. B.

P., e G.R., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DELLA MERCEDE 52, presso lo studio dell’avvocato MENGHINI MARIO,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CANIGGIA

GIOVANNI giusta delega in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrenti –

contro

G.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 608/2005 del TRIBUNALE di ALESSANDRIA, emessa

il 16/08/2005, depositata il 12/09/2005 R.G. N. 2911/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito l’Avvocato MARIO MENGHINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per la riunione e il rigetto di

entrambi i ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 9 aprile 2003 G.C. ha convenuto in giudizio, avanti al Giudice di Pace di Alessandria, la SOGED s.r.l. nonchè G.R., direttore responsabile del periodico trisettimanale “(OMISSIS)”, chiedendo fosse disposta la cancellazione dei suoi dati personali inesatti, incompleti, non pertinenti) pubblicati in un articolo relativo a un incidente stradale occorsogli e dichiarare tenuti e condannare la SOGED. s.r.l, nonchè il direttore responsabile del periodico “(OMISSIS)” al risarcimento dei danni quantificati in Euro 2.582,28 o in quell’altra minore determinanda dal giudice adito, oltre interessi legali.

Tali richieste erano in relazione – come accennato – alle notizie ed informazioni di dettaglio pubblicate in prima pagina e a caratteri cubitali da “(OMISSIS)”, giornale trisettimanale di Alessandria e provincia, nell’edizione del 20 novembre 2000, integrata da una locandina, relativamente ad un incidente stradale verificatasi la notte del (OMISSIS) sulla strada statale n. (OMISSIS), in località (OMISSIS) ((OMISSIS)).

In particolare, il giornale aveva riportato che: ” G.A. di anni 27, abitante in (OMISSIS), via (OMISSIS), figlio del vice questore V., che negli anni 80 aveva diretto la polstrada alessandrina, si trovava in prognosi riservata al reparto di rianimazione dell’ospedale dei Santi Antonio e Biagio” dove era stato trasportato dopo una paurosa sbandata con il fuoristrada che gli aveva imprestato un amico”.

Riportava, altresì, il giornale che il C.: “era in stato di coma vigile”; “subito dopo l’incidente era stato operato alla testa allo scopo di rimuovere un vasto ematoma”; “le sue condizioni erano estremamente critiche”; “laureato in filosofia alla Normale di Pisa, dopo un dottorato di ricerca all’Università di Modena avrebbe dovuto trasferirsi a Cuneo dove aveva vinto una prestigiosa cattedra in un istituto superiore di quella città”; “l’autovettura dopo la paurosa sbandata era uscita di strada e si era capottata”.

L’articolo veniva ripreso e pubblicato nell’edizione di mercoledì 31 ottobre 2001, a pag. 18, sempre de “(OMISSIS)”, a seguito di contestazione quanto a dinamica e di richiesta di rettifica e di cancellazione della notizia e dei dati personali avanzata L. n. 675 del 1996, ex art. 13, dal ricorrente e dal padre di questi.

Svoltasi la istruttoria del caso il giudice adito ha accolto le domande dell’attore e per l’effetto ha condannato la SOGED EDITRICE s.r.l. e G.R., direttore responsabile de ” (OMISSIS)” in solido tra loro: “al pagamento in favore di G. C. di Euro 1.000,00 per la causale di parte motiva”; nonchè a pubblicare in una immediata prossima edizione de “(OMISSIS)” le correzioni, la cancellazione e comunque la rettifica della notizia riferita al G.C. pubblicata il 20 novembre 2000, tenendo conto di quanto richiesto da parte attorea con raccomandata del 16 novembre 2001, assumendo tale rettifica in proprio e dando alla stessa lo spazio di prima pagina.

Gravata tale sentenza in via principale dalla SOGED s.r.l. e da G.R., direttore del (OMISSIS), e in via incidentale da G.C., il tribunale di Alessandria con sentenza 16 agosto – 12 settembre 2005, in parziale riforma della sentenza del primo giudice ha assolto la SOGED. s.r.l., e G. R., in qualità di direttore responsabile de “(OMISSIS)” di Alessandria. da ogni obbligo a pubblicare in una immediata prossima edizione de “(OMISSIS)” di Alessandria medesimo le correzioni, le cancellazioni, comunque la rettifica della notizia relativa al Prof. G.C. pubblicata in data 20 novembre 2000 tenendo conto di quanto da parte dello stesso richiesto con lettera medesima così che nulla per gli effetti i medesimi in tal senso debbono porre in essere, condannando, peraltro la SOGED s.r.l. e il G., in qualità di Direttore Responsabile de “(OMISSIS)” di Alessandria, in solido, al pagamento in favore di G.C., quale risarcimento del danno non patrimoniale subito all’esito della pubblicazione dell’articolo 20 novembre 2000, dell’importo di Euro 500,00 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali decorsi e decorrendi dalla data di spettanza al saldo effettivo.

Quanto alle spese di lite il giudice di appello ha ritenuto di doverle parzialmente compensare – sia per il primo grado che per quello di appello – nella misura del 25% ponendo la residua parte a carico del G..

Per la cassazione di tale sentenza, non notificata, ha proposto ricorso G.C., affidato a 5 motivi, con atto notificato il 28 novembre 2005.

Resistono, con controricorso e ricorso incidentale, affidato a un unico motivo la SOGED s.r.l. e G.R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. Con il primo motivo il ricorrente principale censura la sentenza gravata lamentando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c. e art. 2967 c.c. omessa valutazione di documenti e/o travisamento della prova in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, atteso che esso concludente nella memoria 9 febbraio 2005 del giudizio di appello nonchè nella successiva comparsa conclusionale 10 maggio 2005 dello stesso giudizio di appello e ancora nelle note di replica del 19 giugno 2005, aveva fatto presente la irregolarità della procura speciale rilasciata – quanto al giudizio di primo grado – da B.P. all’avv. Caniggia per conto della SOGED s.r.l. atteso che costui non aveva dimostrato con idonea documentazione – esibizione dello statuto, certificazione ecc. – la effettività dei poteri.

Essendo stata la relativa eccezione disattesa dal giudice di secondo grado, il ricorrente afferma, da un lato, che si è a fronte a un vizio deducibile in ogni stato e grado del processo, dall’altro, che in presenza del dubbio formulato da esso concludente, quanto ai poteri rappresentativi del B., l’onere di provare la esistenza di tali poteri si spostava su controparte: da ultimo, che la regula iuris invocata, e erroneamente disattesa dal tribunale di Alessandria è conforme all’insegnamento di questa Corte e in particolare, da Cass., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4810. emessa proprio in materia di procura alle liti.

3. La censura è manifestamente infondata.

A prescindere dal considerare che Cass., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4810, è stata resa in una fattispecie totalmente diversa dalla presente (in quel caso, infatti – diversamente da quanto verificatosi nel caso concreto – si era in presenza della illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce od a margine dell’atto con il quale stava in giudizio una società esattamente indicata con la sua denominazione), si osserva;

– da un lato, che già nel primo grado la SOGED s.r.l. è stata in giudizio in persona di B.P., si che l’eccezione, se del caso, doveva essere sollevata in quella sede ed è stata – quindi – inammissibilmente sollevata per la prima volta tardivamente in grado di appello (cfr. Cass. 24 ottobre 2007, n. 22330, nonchè Cass. 13 febbraio 2009, n. 3541: la parte che contesti che la persona fisica, la quale assume di rivestire la qualità di rappresentante di una persona giuridica, manca del potere rappresentativo, deve sollevare siffatta contestazione nella prima difesa, restando così onere dell’altra parte documentare la pretesa qualità);

– dall’altro, che ai fini della validità della procura alle liti rilasciata da chi si qualifichi legale rappresentante della persona giuridica è sufficiente che nell’intestazione dell’atto al quale la procura si riferisce siano indicati i poteri rappresentativi di colui che la sottoscrive, essendo onere della parte che contesta tale qualità allegare tempestivamente e fornire la prova dell’inesistenza del rapporto organico o della carenza dei poteri dichiarati (Cass. 15 novembre 2007, n. 23724), anche nella ipotesi in cui la società sia costituita in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante, sempre che l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto della società medesima (Cass. 13 dicembre 2007, n. 26253).

I terzi – infatti – hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa.

Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa (Cass., sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20596).

In particolare,qualora sia parte del processo una società, la persona fisica che, nella qualità di organo della stessa, ha conferito il mandato al difensore, non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, gravando invece, sulla parte che la contesti l’onere di fornire la relativa prova negativa, anche nell’ipotesi in cui la società sia costituita in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante, sempre che l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto della società medesima (Cass. 13 settembre 2007, n. 19162).

3. Come accennato in parte espositiva, il giudice di secondo grado ha, parzialmente, riformato la pronunzia del giudice di pace, atteso che:

da un lato, ha rigettato la domanda attrice, quanto all’obbligo previsto invece dalla prima sentenza dei convenuti di pubblicare in una immediata prossima edizione de “(OMISSIS)” di Alessandria le correzioni, le cancellazioni, comunque la rettifica della notizia relativa al Prof. G.C. pubblicata in data 20 novembre 2000 tenendo conto di quanto dallo stesso richiesto con la raccomandata del 16 ottobre 2001, in proprio e in prima pagina;

– dall’altro ha condannato i convenuti in primo grado al risarcimento del danno non patrimoniale patito dal G. liquidando lo stesso nell’importo di Euro 500,00 “oltre rivalutazione monetaria e interessi legali decorrenti e decorrendi dalla data di spettanza al saldo effettivo” (mentre in primo grado tale danno era stato liquidato in Euro 1.000,00).

Il giudice di appello è pervenuto a una tale conclusione sulla base – in sintesi – dei seguenti rilievi:

– la sentenza del giudice di primo grado è viziata per avere pronunciato su domande nuove inammissibilmente introdotte dall’attore in corso di causa e, in particolare, sulle domande avanzate con la memoria dell’8 giugno 2004 laddove, a fronte della richiesta di cancellazione di dati ritenuti inesatti, incompleti e non pertinenti di cui all’atto di citazione (come richiamato nella memoria del 25 febbraio 2004) si viene a chiedere viceversa la cancellazione e/o l’integrazione e/o la rettifica dei dati personali ritenuti illeciti, non esatti, non pertinenti e non essenziali, ritenendo, altresì del tutto nuove e sulle quali non era possibile una pronuncia giudiziaria le domande dedotte nella memoria dell’8 giugno 2004, depositata solo alla quarta udienza di celebrazione del processo;

– la sentenza impugnata è viziata da ultrapetizione nella parte in cui ha previsto l’obbligo di rettifica in capo ai condannati da effettuarsi in proprio e in prima pagina;

– la cancellazione dei dati inesatti in tanto può eseguirsi in quanto i dati siano effettivamente raccolti in apposita banca datati “cosa che però assolutamente, nel corso del processo per cui quivi è decisione non risulta essere stata realizzata”;

– dopo avere escluso che la maggior parte dei dati pubblicati fossero inesatti, incompleti e non pertinenti, il giudice di secondo grado ha ritenuto, peraltro, fondata la domanda attrice quanto alla avvenuta pubblicazione dell’indirizzo del G. e, per l’effetto, ha condannato le controparti al risarcimento del danno liquidato in Euro 500,00.

4. Sia il ricorrente principale che i ricorrenti incidentali censurano nella parte de qua la sentenza impugnata.

4.1. Il ricorrente principale, in particolare denunziando:

– “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 675 del 1996, art. 13. Mancanza di riferibilità agli atti di causa. Contraddittorietà e/o incoerenza e/o difetto di congruità della motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5)”, atteso che la L. n. 675 del 1996, art. 13, prevede, tra l’altro, il diritto alla cancellazione dei dati trattati in violazione di legge, nonchè la rettificazione degli stessi, senza alcuna ulteriore specificazione o delimitazione e tanto meno richiede, ai fini del loro esercizio, che i dati personali siano inseriti in un sistema di banca dati. Comunque, prosegue il ricorrente di avere già nella memoria autorizzata dell’8 giugno 2004, innanzi al giudice di pace, fatto presente che le notizie di stampa erano state divulgate anche nel sito internet del giornale (secondo motivo);

– “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 675 del 1996, art. 1, comma 1 e 2, lett. e), art. 9, nonchè omessa e/o contraddittorietà e illogicità di motivazione su un punto decisivo della controversia e omesso esame di documenti e/o travisamento della prova in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5”, per non avere sanzionato il tribunale l’erroneo nome di battesimo di esso concludente nonchè del proprio genitore, nonchè la circostanza che erano riportati, nell’articolo, dati inesatti, quanto alla qualifica del proprio genitore terzo motivo;

– “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 675 del 1996, artt. 9, 18, 22, 25 e 29, nonchè degli articoli 1, 3, 5, 6, 8 del codice deontologico del 29 luglio 1998 e art. 2967 c.c.. Difetto di logica e contraddittorietà di motivazione e omesso esame di documenti e/o travisamento della prova in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, dolendosi delle inesattezze contenute quanto al curriculum scolastico di esso concludente nonchè della pubblicazione dello stato di salute di esso concludente quarto motivo.

4.2. Per loro conto, i ricorrenti incidentali, con l’unico motivo, lamentano “indicazione dell’indirizzo di G.C. sull’articolo pubblicato da “(OMISSIS)” in data 20 novembre 2000 – Ritenuta lesione del diritto alla riservatezza – Violazione della L. 31 dicembre 1996, n. 675, artt. 20 e 25, nonchè degli art. 6 del “Codice di Deontologia, relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” – Erronea motivazione circa un punto decisivo della controversia – Denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5″.

Il giudice d’appello – si osserva – ha, erroneamente, ritenuto la pubblicazione dell’indirizzo di abitazione di G.C., all’interno dell’articolo pubblicato sul giornale “(OMISSIS)”, non necessaria e non “corrispondente all’esercizio del diritto di cronaca” e, come tale, lesiva dei diritto di riservatezza dello stesso ricorrente.

5. Nessuno dei soprariassunti motivi può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

5.1. Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile.

Come evidenziato sopra i giudici di appello hanno, in parte, riformato, la sentenza del primo giudice avendo ritenuto la stessa pronunziata quanto ai capi modificati “su domande nuove inammissibilmente introdotte dall’attore in corso di causa” sia su domande non proposte dalla parte attrice e, per l’effetto, in violazione del precetto di cui all’art. 112 c.p.c..

Certo quanto sopra, è palese – non avendo in alcun modo censurato, in questa sede, il ricorrente principale la sentenza di secondo grado nelle parti de quibus – che le riferite statuizioni sono, al momento, coperte da giudicato e, per l’effetto, sono inammissibili tutte le considerazioni svolte in ricorso (specie con il secondo motivo) al fine di ottenere la riforma della sentenza impugnata nella parte in questione.

Nè, ancora, colgono in qualche modo nel segno le argomentazioni svolte nel motivo allorchè si afferma che già in primo grado era stato prospettato la avvenuta pubblicazione del giornale su internet (con conseguente applicabilità della L. n. 675 del 1996 art. 13).

Come accertato dal giudice di appello (cfr. p. 13 -14 della sentenza) con statuizione in alcun modo censu-rata dal ricorrente, si è a fronte a inammissibili deduzioni nuove, formulate unicamente tardivamente e delle quali, pertanto, del tutto correttamente il giudice di appello ha ritenuto che non si potesse tenere alcun conto, al fine del decidere (dovendosi decidere la controversia a prescindere da queste).

5.2. Inammissibili, devono essere dichiarati, altresì, sia il terzo e quarto motivo del ricorso principale sia l’unico motivo del ricorso incidentale.

Sotto tutti i profili in cui gli stessi si articolano.

5.2.1. In merito alla denunziata “violazione e/o falsa applicazione” sia della L. n. 675 del 1996, art. 1, comma 1 e 2, lett. e) “terzo motivo del ricorso principale, “sia della L. n. n. 675 del 1996, artt. 9, 18, 22, 25 e 29, nonchè degli artt. 1, 3, 5, 6, 8 del codice deontologico del 29 luglio 1998 e art. 2967 c.c.” quarto motivo del ricorso principale, sia, infine, “della L. 31 dicembre 1996, n. 675, artt. 20 e 25, nonchè degli art. 6 del “Codice di Deontologia, relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” unico motivo del ricorso incidentale, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, preme evidenziare, in limine, la manifesta inammissibilità della deduzione.

In conformità, in particolare, a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescindono i ricorrenti e che nella specie deve ulteriormente ribadirsi il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata.

Il ricordato principio comporta – in particolare – tra l’altro che è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata (Cass. 15 febbraio 2003, n. 2312).

Quindi, quando nel ricorso per Cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – il motivo è inammissibile, poichè non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29 novembre 2005, n. 26048;

Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145;

Cass. 2 agosto 2005, n. 16132).

In altri termini, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di cassazione).

Viceversa, la allegazione – come prospettate nella specie sia da parte del ricorrente principale che di quello incidentale – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica salutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dalla circostanza che solo questa ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (in termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Pacifico quanto precede, si osserva che nella specie i ricorrenti pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato le molteplici disposizioni normative indicate nella intestazione dei vari motivi, in realtà, si limitano a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere dei ricorrenti inadeguata, sollecitando, così, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.

5.2.2. I motivi in esame devono essere dichiarati inammissibili anche sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

A norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo applicabile nella specie ratione temporis essendo oggetto di ricorso una pronunzia resa anteriormente al 2 marzo 2006 le sentenze pronunziate in grado di appello o in un unico grado possono essere impugnata con ricorso per cassazione, tra l’altro “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

E’ palese, pertanto, che i detti vizi – salvo che non investano distinte proposizioni contenute nella stessa sentenza, cioè diversi punti decisivi – non possono concorrere tra di loro, ma sono alternativi.

Non essendo logicamente concepibile che una stessa motivazione sia, quanto allo stesso punto decisivo, contemporaneamente “omessa”, nonchè “insufficiente” e, ancora “contraddittoria” è evidente che è onere del ricorrente precisare quale sia – in concreto – il vizio della sentenza, non potendo tale scelta (a norma dell’art. 111 Cost.

e del principio inderogabile della terzietà del giudice) essere rimessa al giudice, come invece pretende parte ricorrente.

Certo quanto sopra è manifesta la inammissibilità dei motivi articolati dal ricorrente principale, che in un unico contesto denunzia la sentenza per essere “su un punto decisivo”, contemporaneamente “omessa”, nonchè affetta a “contraddittorietà e da illogicità”.

Contemporaneamente, sempre alla luce di quanto non controverso in giurisprudenza, si osserva che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza (cfr. art. 366 c.p.c.) – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 13 giugno 2007, n. 13845).

Non controversi i principi che precedono, è palese che qualora si deduca – come nella specie – che la sentenza oggetto di ricorso per cassazione è censurabile sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per essere sorretta da una contraddittoria motivazione è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità, trascrivere, nel ricorso, le espressioni tra loro contraddittorie ossia inconciliabili contenute nella parte motiva della sentenza impugnata che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di comprendere quale sia la ratio decidendi che sorregge la pronunzia stessa.

Poichè nella specie parte ricorrente pur denunziando nella intestazione del motivo in esame anche la “contraddittoria motivazione” si è astenuto, totalmente – nella successiva parte espositiva – dal trascrivere le proposizioni presenti nella sentenza impugnata tra loro contraddittorie, è evidente che nella parte de qua il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

Sempre in termini opposti – rispetto a quanto suppone la difesa del ricorrente principale (come, del resto, quella dei ricorrenti incidentali) – ancora, preme evidenziare che il motivo di ricorso per cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere inteso a far valere – a pena di inammissibilità in difetto di loro specifica indicazione – carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi.

Non può,invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti.

Tali aspetti del giudizio, infatti, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi della norma in esame.

Diversamente il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di legittimità (Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087).

6. Con il quinto motivo il ricorrente principale censura la sentenza impugnata denunziando, “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 92 e 116 c.p.c. e art. 75 disp. att. c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè D.M. n. 127 del 2004, artt. 5 e 6 e D.P.R. n. 115 del 2002, art. 131 e delle tabelle A e B allegate al D.M. n. 127 del 2004, contraddittorietà e/o insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5”.

Tra l’altro – oltre che la quantificazione degli onorari e dei diritti liquidati in favore di controparte – il ricorrente denunzia che la “sentenza ai pone in contrasto con la nozione di soccombenza reciproca, es-sendo stata accolta, ancorchè parzialmente, la domanda principale dell’attore con la conseguenza che le spese processuali avrebbero dovuto essere almeno compensate integralmente”.

7. Il motivo è fondato e meritevole di accoglimento.

Come noto il giudice che con la sentenza chiude il giudizio davanti a sè, deve pronunciare sul diritto al rimborso delle spese sopportate lungo tutto l’arco del procedimento e tenendo in considerazione l’esito finale della lite (Cfr. Cass. 22 dicembre 2009, n. 26985;

Cass. 12 febbraio 2009, n. 4052).

Contemporaneamente, viola l’art. 91 c.p.c., il giudice che condanni al pagamento, anche parziale, delle spese di lite, la parte che abbia visto accogliere, ancorchè parzialmente, le proprie domande (cfr.

Cass. 5 maggio 2004, n. 8528; Cass. 2 agosto 2002, n. 11604; Cass. 7 agosto 2001, n. 10911).

La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92 c.p.c., comma 2) infine – sottende – anche in relazione al principio di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti ovvero anche l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta (Cass. 21 ottobre 2009, n. 22381).

Pacifico quanto sopra, non controverso che il G. – al termine del giudizio di secondo grado – ancorchè in minima parte, ha visto accogliere le proprie domande, è palese che il giudice di appello non poteva – ancorchè invocando la “reciproca soccombenza” – porre a carico dello stesso, sia pur parzialmente, le spese del doppio grado del giudizio, ma – eventualmente – come puntualmente evidenziato dal ricorrente principale, poteva compensare integralmente dette spese.

8. Rigettati gli altri motivi, in conclusione, e accolto il quinto motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata nel capo in cui ha provveduto in ordine alle spese del giudizio di primo e di secondo grado.

La causa, peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti, può essere decisa nel merito con la compensazione, tra le parti delle spese sia del giudizio di primo grado che di quello di appello.

Atteso l’esito finale della lite sussistono giusti motivi onde disporre la totale compensazione, tra le parti, anche delle spese di lite di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, accoglie il quinto motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi dello stesso ricorso e il ricorso incidentale;

cassa la sentenza impugnata nella parte in cui ha provveduto sulle spese del giudizio di primo e di secondo grado e, decidendo nel merito, compensa, tra le parti, le spese del giudizio di primo grado e di appello;

compensa le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 4 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2010

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