Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9906 del 27/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 27/05/2020), n.9906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorso 8117-2313 proposto:

FIAMM SEALED POWER SRL in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato ROMA, VIA DI VILLA SACCHETTI 9,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LORIS TOSI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE L’AQUILA UFFICIO LEGALE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 74/2012 della COMM.TRIB.REG. di L’AQUILA,

depositata il 17/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’accoglimento per Quanto di

ragione dei ricorso;

udito per il ricorrente Avvocato MARINI RENATO per delega

dell’avvocato MARINI GIUSEPPE che si riporta e chiede

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si riporta

agli atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La FIAMM Sealed Powet s.r.l. (già s.p.a.) ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 74/02/2012, depositata il 17.09.2012 dalla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, con la quale, rigettando l’appello proposto dalla società, era stato confermato l’avviso di accertamento relativo all’Ires dell’anno d’imposta 2004.

Ha rappresentato che la controversia traeva origine dall’esito di una verifica e dalla redazione del relativo processo verbale di constatazione, condiviso dall’Agenzia delle entrate, che aveva disconosciuto le minusvalenze emerse da un’operazione di cessione di un ramo d’azienda, nella misura di Euro 7.617.000,00, conclusa nel 2002, con conseguente recupero dell’importo ad imponibile.

L’operazione, con la quale la società ricorrente (FSP) -all’epoca partecipata al 51% dalla Fiamm s.p.a. e al 49% dalla Japan Storage Batteries Co. Ltd- aveva conferito il ramo d’azienda relativo alla produzione di batterie piccole ermetiche alla società Fiamm Automotive Batteries s.p.a. (FAB), interamente partecipata dalla Fiamm s.p.a., era stata ritenuta elusiva per aver generato la menzionata minusvalenza, portata in deduzione dalla cedente nell’anno 2002, sino all’azzeramento del reddito d’esercizio, e per il residuo nei successivi anni d’imposta 2003, 2004, 2005.

L’esito dell’accertamento fiscale, oggetto di più giudizi per ciascun anno d’imposta, e per quanto qui d’interesse, per l’anno 2004, era stato contestato dalla contribuente, sostenendo la rispondenza dell’operazione ad una specifica logica economica. In particolare si trattava di produzione ormai fuori mercato per la competitiva concorrenza dei produttori dell’estremo oriente, sicchè la cessione del ramo d’azienda ad una società conferitaria del gruppo, specializzata in produzioni affini, al valore di stima del perito nominato ex art. 2343 c.c., era stata finalizzata alla liquidazione dell’attività con ricollocazione, in tutto o in parte, del personale specializzato della FSP nella FAB, come poi avvenuto.

L’adita Commissione tributaria provinciale dell’Aquila, con la sentenza n. 60/03/2011, aveva rigettato il ricorso della società, riconoscendo l’intento elusivo dell’operazione.

La contribuente aveva adito la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, che con la decisione ora impugnata aveva rigettato l’appello. Aveva in particolare ritenuto che l’operazione di cessione del ramo d’azienda non trovasse alcuna ragione economica, ma fosse solo finalizzata al conseguimento di vantaggi fiscali.

La società ha censurato la sentenza con cinque motivi:

con il primo per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non essersi pronunciata sull’eccezione sollevata con l’atto d’appello, in merito all’omessa pronuncia del giudice di primo grado sulle questioni proposte con il ricorso introduttivo;

con il secondo per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in merito alla mancata valutazione dell’eccepita nullità o illegittimità dell’avviso di accertamento, viziato da motivazione carente per la mancata risposta alle argomentazioni rese dal contribuente, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 37- bis, comma 5;

con il terzo per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver omesso di valutare l’eccepita infondatezza dell’atto impositivo, per estraneità dell’operazione alle fattispecie elusive D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37-bis;

con il quarto per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver riconosciuto l’esistenza di valide ragioni economiche nell’operazione di cessione del ramo d’azienda, con carenza dei requisiti di elusività del conferimento.

Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con decisione nel merito o con rinvio.

Si è costituita l’Agenzia delle entrate, che ha contestato i motivi del ricorso principale, di cui ne ha chiesto il rigetto.

Alla pubblica udienza del 14 gennaio 2020, dopo la discussione, il P.G. e le parti hanno concluso. La causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente principale si duole di un error in procedendo, per non avere esaminato il giudice d’appello le eccezioni sollevate in merito all’omessa pronuncia del giudice di primo grado sulle questioni rilevate con il ricorso introduttivo.

La ricorrente afferma che con il ricorso aveva lamentato dinanzi alla Commissione provinciale il vizio da cui era affetto l’avviso di accertamento, in particolare la carenza di motivazione, che non aveva tenuto conto, secondo le prescrizioni contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 5, ratione temporis vigente, delle giustificazioni e difese fornite dal contribuente in occasione dei chiarimenti richiesti dall’ufficio ai sensi del comma 4 della citata norma. Non aveva considerato la totale estraneità dell’operazione di cessione del ramo d’azienda alle fattispecie elusive previste dall’art. 37-bis cit. Non aveva considerato la carenza di legittimazione passiva della società, poichè le contestazioni dell’ufficio si riferivano alle valutazioni di stima del perito nominato ai sensi dell’art. 2343 c.c. Non aveva tenuto conto della illegittimità delle sanzioni applicate. Ciò perchè il collegio di prime cure si era limitato al rinvio alla motivazione indicata nell’avviso di accertamento relativo all’anno 2002. Sulla denuncia di omessa decisione della Commissione provinciale il giudice d’appello aveva a sua volta omesso di pronunciarsi, così violando l’art. 112 c.p.c..

Il motivo è infondato.

Dalla lettura della sentenza ora impugnata emerge che, a fronte della suddetta eccezione, la Commissione regionale aveva per un verso condiviso la statuizione del giudice di primo grado, che aveva valorizzato la precedente decisione, assunta nel distinto giudizio avente ad oggetto il primo avviso di accertamento e relativa all’anno d’imposta 2002, per altro verso, aveva “per mero scrupolo difensivo” (pag. 2, terzo capoverso della sentenza ora al vaglio della Corte) esaminato comunque il fondamento di quelle eccezioni e difese, non condividendo “la dedotta nullità dell’avviso per carenti o insufficienti motivazioni (specialmente con riguardo ai “chiarimenti” che sarebbero stati offerti dalla contribuente) sottese alla riconosciuta elusività della cessione del ramo d’azienda.” (pag. 2, ultimo capoverso)

A prescindere dalla condivisibilità o meno delle ragioni esplicitate, è allora indubbio che il giudice d’appello ha affrontato la questione, sicchè alcun error in procedendo può ravvisarsi nella decisione.

Il primo motivo va dunque rigettato.

Sono invece fondati i motivi secondo, terzo e quarto, che possono essere trattati unitariamente perchè tra loro connessi, e mediante i quali, sotto il profilo del vizio di motivazione censurano la sentenza per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

Deve innanzitutto premettersi che la sentenza impugnata è stata depositata il 17.09.2012 e ad esse trova pertanto applicazione il disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 22 giugno 2012, conv. con modifiche in L. n. 134 del 7 agosto 2012.

Ciò chiarito, con i tre motivi del ricorso per cassazione la società si duole che la Commissione regionale ha rigettato i motivi d’appello, senza tener conto delle questioni sollevate in ordine tanto alle carenze procedimentali, e in particolare ai vizi afferenti la motivazione dell’avviso di accertamento, quanto alla assenza dei

presupposti delle fattispecie elusive, sanzionate con l’inopponibilità all’Amministrazione finanziaria, non aderenti alla cessione del ramo d’azienda posta in essere dalla contribuente.

In estrema sintesi, nelle numerose pagine dell’atto difensivo la contribuente sostiene che la decisione, oltre a non tener conto dei vizi procedimentali, non abbia colto le ragioni economiche della operazione di cessione del ramo d’azienda, finalizzato, tra le varie ipotesi a disposizione, a condurre verso la dismissione dell’attività di produzione delle batterie piccole ermetiche, ormai non più competitive a fronte della produzione a basso costo, soprattutto da parte di aziende dell’estremo oriente. Pertanto la scelta economica è risultata quella del conferimento del ramo d’azienda, in considerazione degli interessi in gioco, della persistente antieconomicità dell’attività di produzione a causa delle perdite strutturali, e dell’esigenza dunque di dismettere tale produzione, della necessità di optare, tra le modalità di dismissione, per quella soluzione che consentisse di assicurare il passaggio meno traumatico per il personale dipendente, altrimenti da licenziare in blocco. Questo passaggio, compiuto in altra società del gruppo FIAMM perchè più simile per attività economica esercitata, consentiva di condurre alla dismissione meno traumatica dell’attività, recuperando il personale più giovane dal complesso della nuova azienda, conducendo verso la fuoriuscita quello più anziano, già appartenente al ramo d’azienda conferito e alla società conferitaria.

Ebbene, pur non ignorando questo Collegio la tensione in dottrina a non sovrapporre e comunque a non appiattire il concetto di abuso del diritto con l’elusione, circoscritta e disciplinata dall’art. 37-bis cit., è utile comunque rammentare che in materia tributaria si è configurato l’abuso del diritto in quelle operazioni che abbiano quale elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, ossia in quelle operazioni che non abbiano una giustificazione economica apprezzabile differente dall’intento di conseguire un risparmio di imposta (cfr. Cass., n. 869/2019). D’altronde questa Corte ha anche affermato che il carattere elusivo, sotto il profilo fiscale, di una determinata operazione si fonda normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, con l’effetto che il divieto di comportamenti abusivi non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta, poichè va sempre garantita la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un differente carico fiscale (Cass., n. 439/2015; cfr. anche n. 3938/2014).

Nella vigenza dell’art. 37-bis cit., applicabile al caso di specie, era peraltro esplicitamente valorizzato l’intento di aggirare obblighi e divieti previsti dall’ordinamento.

Perimetrati i punti di riferimento per la verifica, sotto l’aspetto del vizio motivazionale, delle carenze delle argomentazioni addotte dalla decisione impugnata a fronte dei fatti allegati al processo dalla contribuente, il giudice d’appello ha evidenziato tutti gli aspetti, riportati evidentemente nell’atto impositivo, che proverebbero la finalità squisitamente elusiva dell’operazione di cessione del ramo d’azienda. Ha marcato le contraddizioni tra l’enorme vantaggio fiscale conseguito dalla cessione a valore praticamente azzerato, a fronte di voci di risparmio ritenute del tutto irrilevanti e comunque non sufficienti a giustificare l’operazione sotto aspetti non fiscali.

Sennonchè l’intero assetto della motivazione, indiscutibilmente preciso nei conteggi e nella comparazione dei dati numerici, resta insufficiente quando si consideri che si riconduce in ultima analisi ad una valutazione esclusivamente quantitativa, laddove la contribuente aveva enunciato, sin dalla fase precontenziosa, ragioni che esulavano da mere valutazioni aritmetiche, individuando, nella altrettanto articolata difesa, esigenze riconducibili ad ulteriori aspetti dell’attività economica di cui si era decisa la dismissione. In particolare aspetti afferenti: alla decisione di dismettere comunque una produzione ormai in perdita strutturale perchè del tutto fuori mercato; alla intenzione di portare l’attività verso la sua liquidazione nelle modalità più appropriate; alla necessità di evitare le ricadute più traumatiche sul personale.

Questi profili, decisivi altrettanto quanto i dati numerici, a valutare l’intento prevalentemente elusivo dell’operazione, e di contro la marginalità o addirittura l’inesistenza di finalità extrafiscali della scelta economica adottata, non sono stati analizzati nella pronuncia, che resta dunque carente.

Si aggiunga d’altronde che ulteriori passaggi indicativi dell’omessa considerazione di fatti che assumevano decisività ai fini di una esaustiva e corretta motivazione si rinvengono nell’espressa “non condivisione” della stima operata dal perito nominato ai sensi dell’art. 2343 c.c. nella prospettiva del criterio della “liquidazione” della attività.

Con ciò infatti si dimentica che la finalità dell’operazione era proprio quella di dismettere la produzione, cioè di liquidare l’attività. Peraltro di quella “non condivisione” neppure si dà una spiegazione, atteso che con essa o si denunciava, e spiegava, l’incongruenza e/o l’artificiosa utilizzazione, oppure si pretendeva di formulare valutazioni di opportunità, così però inammissibilmente invadendo un campo riservato, nelle scelte aziendali, alla valutazione discrezionale dell’imprenditore.

E questo errore spiega, e ricade, sull’ancora più incomprensibile passaggio della motivazione, nel quale, elencando pretese contraddizioni dell’operazione e della sua utilità, denuncia “…c) il “conferimento ad una società comunque svolgente il lavoro in Italia – con costi di produzione, soprattutto per la manodopera, nient’affatto inferiori e paragonabili a quelli eventualmente esistenti in estremo oriente – che finiva per non risolvere, ad es. con il contenimento dei costi, il problema del vantaggio economico ipotizzabile.”.

Trattasi di una considerazione del tutto ultronea perchè la cessione del ramo d’azienda non era certamente finalizzata a razionalizzare i costi ma, invece, a condurre quella attività di produzione verso la liquidazione, ossia verso la chiusura della produzione medesima, circostanza quest’ultima incontestata e puntualmente verificatasi di lì a poco.

D’altronde la complessità della vicenda è dimostrata dalle diverse decisioni assunte dal giudice d’appello relativamente agli avvisi d’accertamento afferenti i due precedenti anni d’imposta, nelle quali è stata riconosciuta la ragione economica della medesima operazione -decisioni a conoscenza di questo Collegio perchè oggetto di distinti giudizi, trattati nella medesima udienza, unitamente al presente-.

In conclusione la sentenza impugnata è viziata dall’omesso esame di fatti decisivi ai fini del giudizio, la cui valutazione si imponeva invece al fine della formulazione di un giudizio complessivo sulla emergenza di una utilità economica o sulla sussistenza di un mero intento elusivo, esclusivo o prevalente, dell’operazione di cessione del ramo d’azienda, ed in particolare è viziata dall’omesso esame dei dati e dei fatti evidenziati dalla contribuente, incidenti su una valutazione che deve essere non solo quantitativa ma qualitativa dell’operazione di conferimento del ramo d’azienda, al fine della verifica della sussistenza o meno di un intento esclusivamente o prevalentemente elusivo.

La sentenza va dunque cassata e rinviata alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, che in diversa composizione, oltre che sulle spese, provvederà ad una nuova valutazione della vicenda, in osservanza dei principi enunciati in motivazione.

PQM

La Corte accoglie i motivi secondo, terzo e quarto, rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia il processo alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 27 maggio 2020

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