Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9900 del 26/04/2010

Cassazione civile sez. II, 26/04/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 26/04/2010), n.9900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.O. (OMISSIS), A.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DOMENICO

BARONE 31, presso lo studio dell’avvocato BOTTAI ENRICO, che le

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

A.L. (OMISSIS), C.I.;

– intimate –

sul ricorso 7478-2005 proposto da:

A.L.G. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BENACO 5, presso lo studio dell’avvocato

MORABITO MARIA CHIARA, rappresentato e difeso dagli avvocati CELI

GIULIO, CAPOTOSTI MASSIMO;

– controricorrente ric. incidentale –

contro

M.O. (OMISSIS), A.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DOMENICO

BARONE 31, presso lo studio dell’avvocato BOTTAI ENRICO, che le

rappresenta e difende;

– controricorrenti ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 486/2004 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 05/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato BOTTAI Enrico, difensore delle ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso principale, rigetto ricorso

incidentale;

udito l’Avvocato Salvatore AMATORE, con delega depositate. in udienza

dell’Avvocato CELI Giulio, difensore della resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

inammissibilità dell’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 22-9-1992 A.L. conveniva in giudizio dinanzi ai Tribunale di Fermo la sorella A.M. e la di lei figlia M.O. assumendo che costoro avevano fatto pubblicare in data 10-10-1987 il testamento olografo redatto il 4-4-1980 dal proprio genitore A. G., deceduto il (OMISSIS), in base al quale esse germane erano state istituite eredi, mentre alla nipote M.O. era stato assegnato un appezzamento di terreno esteso mq. 5000 con casa colonica; poichè il valore di questa disposizione superava il limite della porzione disponibile in rapporto al valore dell’asse ereditario, l’esponente chiedeva la riduzione della predetta disposizione testamentaria “al valore di legge”.

Le convenute costituendosi in giudizio chiedevano il rigetto della domanda attrice deducendo che il valore del cespite era limitato dall’esistenza su di esso del diritto di usufrutto della vedova del “de cuius” C.I., e chiedevano l’autorizzazione alla chiamata in causa di quest’ultima.

Ordinata quindi l’integrazione del contraddittorio nei confronti della C. che restava contumace, il Tribunale adito con sentenza del 28-5-2002, disposta l’estromissione dal giudizio di costei e della convenuta A.M., accertava per il resto che nei confronti della M. l’azione di riduzione non era stata preceduta dalla accettazione dell’eredità con beneficio di inventario ai sensi dell’art. 564 c.c., e dichiarava quindi inammissibile la domanda stessa.

Proposta impugnazione da parte di A.L. cui resistevano la M. e A.M. mentre la C. aderiva alla domanda di riduzione, la Corte di Appello di Ancona con sentenza non definitiva del 5-7-2004, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato ammissibile la suddetta azione di riduzione, con separata ordinanza ha rimesso le parti in istruttoria per il prosieguo ed ha condannato l’appellante alla refusione delle spese del grado in favore di A.M..

Avverso tale sentenza la M. e A.M. hanno proposto un ricorso basato su tre motivi cui A.L. ha resistito con controricorso proponendo anche un ricorso incidentale articolato in un solo motivo cui le ricorrenti principali hanno a loro volta resistito con controricorso; la M. e A. M. hanno successivamente depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve anzitutto procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo la M. e A.M., deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 112-342-346 e 352 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, assumono che nel giudizio di primo grado la controparte non aveva mai contestato la qualità di legataria della M., chiedendo anzi con la domanda introduttiva del giudizio la riduzione al valore di legge del legato disposto dal testatore in suo favore; pertanto la sentenza impugnata – che oltretutto aveva dato atto della confusione dell’assunto dell’appellante senza trame la logica conseguenza in punto inammissibilità dell’impugnazione per mancata specificità dei motivi – aveva posto a fondamento della propria decisione un fatto giuridico costitutivo (ovvero la qualità di erede di M. O.) diverso da quello dedotto nel giudizio di primo grado (cioè la qualità di legataria della stessa M.) neppure specificatamente ed espressamente inserito nei motivi di appello.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha rilevato che l’appellante A.L. aveva sostenuto che erroneamente il giudice di primo grado aveva applicato la preclusione all’esercizio dell’azione di riduzione discendente ex art. 564 c.c., dalla mancata preventiva accettazione beneficiata dell’eredità, in quanto la disposizione testamentaria impugnata aveva beneficato la nipote M.O. la quale rivestiva anche la qualità di coerede con conseguente inoperatività della suddetta condizione dell’azione, così come prevede la deroga dettata dalla norma citata; pertanto ha ritenuto sufficientemente specifico il motivo di appello proposto e quindi ammissibile.

Deve anzitutto osservarsi che la statuizione della sentenza di primo grado – che, come si è esposto, avendo dichiarato inammissibile la domanda di riduzione di A.L. in quanto non preceduta dall’accettazione con beneficio di inventario, aveva come suo presupposto logico-giuridico la ritenuta qualificazione di legataria di M.O. – aveva determinato necessariamente il “thema decidendum” per A.L. onde superare la preclusione costituita dalla condizione per l’esercizio dell’azione di riduzione prevista dall’art 564 c.c. nei confronti dei soggetti legatari (non avendo ella accettato con beneficio di inventario l’eredità di A.G.), ovvero dedurre la qualità di coerede della M..

Ciò premesso, è decisivo rilevare che dall’esame diretto dell’atto di appello di A.L. (consentito a questa Corte dalla natura procedurale del vizio denunciato) emerge che l’appellante aveva chiaramente introdotto tale questione specificando espressamente tra l’altro che “l’attribuzione sarebbe da intendersi a titolo ereditario”; correttamente quindi il giudice di appello ha esaminato la questione stessa.

Con il secondo motivo le ricorrenti principali, denunciando violazione degli artt. 587-588-1362 e segg. c.c., artt. 112-115-116- 342-346 e 352 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver qualificato erede la M..

Esse sostengono che, contrariamente all’assunto del giudice di appello, il testatore aveva prima assegnato alle figlie L. e M. a titolo di legato cinque tavole di terreno ciascuna, e poi le aveva nominate eredi universali “per quanto non avessi disposto con il presente testamento L. e M. in parti uguali”; soltanto queste ultime quindi erano state nominate eredi “generali”, ovvero universali per i beni residui (non quindi per gli immobili già attribuiti come legati), mentre per la M. non vi era mai stata una chiamata di erede, ma la semplice conferma del legato già attribuitole con l’espressione “ernia nipote terra e casa dove abito”.

Le ricorrenti principali assumono quindi che l’interpretazione della scheda testamentaria resa dalla Corte territoriale si manifesta in contrasto con l’interpretazione letterale e globale del testamento stesso, nel quale in favore della M. era stato attribuito solo un bene determinato senza espressa istituzione di erede.

La M. e A.M. poi evidenziano l’erroneità dell’assunto della sentenza impugnata secondo cui con le tre attribuzioni a titolo particolare che precedono la nomina di “eredi per il residuo” in favore di L. e A.M. il testatore, con la preliminare assegnazione dell’usufrutto ad C.I., avrebbe esaurito la disposizione del suo patrimonio, cosicchè le suddette attribuzioni avrebbero dovuto essere considerate come quote di patrimonio e quindi effettuate a favore di eredi; infatti l’esaurimento o meno dei beni assegnati è questione che interessa la successiva fase di merito il cui espletamento potrà avvenire solo dopo la decisione sull’ammissibilità della domanda di riduzione non preceduta da accettazione dell’eredità con beneficio di inventario.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha anzitutto attribuito rilievo al fatto che il testatore, dopo aver assegnato alla moglie l’usufrutto generale su ogni bene in sostituzione di legittima, aveva ripartito tutto il suo patrimonio immobiliare (consistente in un terreno agricolo con casa colonica sito in (OMISSIS)) tra le figlie L. e M. e la nipote M.O., ponendo in essere un trattamento sostanzialmente uguale (salva l’eccedenza della casa colonica alla nipote), cosicchè, non essendo contestata l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui le figlie erano state istituite eredi, ad analoga conclusione doveva giungersi anche per la nipote.

Tale convincimento, ad avviso del giudice di appello, era rafforzato dall’esame della parte successiva della scheda laddove era stato previsto che “per quanto non avessi disposto con il presente testamento nomino eredi generali L. e M. in parti uguali e mia nipote O. terra e casa dove abito”; infatti era chiara l’intenzione del testatore di considerare su di un piano di parità le tre onorate qualificate espressamente eredi, mentre le parole “in parti uguali” erano state utilizzate allo scopo di individuare l’oggetto della quota lasciata a ciascuna delle figlie (ovvero due porzioni uguali di circa cinque tavole del terreno di (OMISSIS)), così come con l’istituzione della nipote O. egli aveva voluto precisare il relativo oggetto, ovvero la residua porzione del terreno medesimo oltre la casa colonica di abitazione.

Infine la sentenza impugnata ha attribuito rilievo decisivo alla espressione “eccedento a titolo prelecato” che il testatore aveva apposto a conclusione della disposizione con cui aveva assegnato alle figlie le due porzioni di cinque tavole di terreno ed alla nipote la residua porzione con in più la casa colonica; invero, a prescindere dal soggetto sufficientemente esperto di diritto che aveva ispirato il semianalfabeta A.G., l’aver voluto attribuire alla nipote a titolo di prelegato l’eccedenza della porzione assegnatale in quanto comprensiva, oltre che del terreno, anche dell’edificio rurale su di esso insistente, indicava la chiara volontà di considerare la stessa come erede, posto che l’art. 661 c.c., presuppone necessariamente la volontà del testatore di avvantaggiare uno dei coeredi attribuendogli uno o più beni determinati in aggiunta alla quota ereditaria.

Alla luce di tali premesse è agevole rilevare che la Corte territoriale, all’esito di una scrupolosa interpretazione testuale delle diverse disposizioni del testamento “de quo”, ha proceduto ad un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede, dove in effetti le censure sollevate si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di una diversa ricostruzione della volontà del testatore, trascurando di considerare i ristretti limiti in cui è sindacabile in sede di legittimità l’interpretazione di tale volontà come espressa nella scheda testamentaria; in particolare è appena il caso di osservare che le ricorrenti avrebbero avuto l’onere, in realtà non assolto, da un lato di specificare i canoni ermeneutici in concreto inosservati ed il modo in cui il giudice di merito si fosse da essi discostato, e dall’altro di indicare specificatamente il dedotto vizio motivazionale.

Deve poi osservarsi che non è stata censurata la statuizione relativa al fatto che l’attribuzione alla M. dell’eccedenza costituita dalla casa colonica era stata effettuata a titolo di prelegato, che ai sensi dell’art. 661 c.c., è il legato a favore dei coeredi ed a carico dell’eredità; si tratta invero nell’ambito delle argomentazioni rese dalla Corte territoriale di una autonoma “ratio decidendi”, come tale sufficiente a sorreggere il convincimento da essa maturato.

Con il terzo motivo le ricorrenti principali, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 91-92-93-99-100-112-115 e 116 c.p.c. e vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver omesso la condanna della C. alle spese di giudizio del grado di appello in favore delle esponenti, considerato che essa non aveva impugnato la sua estromissione dal giudizio e non poteva quindi formulare domande nei confronti della M..

La censura è infondata.

Sotto un primo profilo si osserva che M.O. è rimasta soccombente nei confronti di A.L. all’esito del giudizio di secondo grado, cosicchè essa non poteva certo essere considerata vincitrice nei confronti della C. che, costituendosi nel giudizio di secondo grado, si era limitata ad aderire all’impugnazione proposta da A.L..

Quanto poi alla regolamentazione delle spese del grado tra A. M. e la C., è sufficiente rilevare che la prima era stata evocata nel giudizio di secondo grado da A.L. (che infatti è stata condannata a rimborsarle le spese del grado) e non dalla C..

Il ricorso principale deve pertanto essere rigettato.

Venendo quindi all’esame del ricorso incidentale, si osserva che con l’unico motivo formulato A.L. chiede l’annullamento della sentenza impugnata e la remissione della causa al giudice di appello “perchè proceda nel giudizio anche nei confronti di A.M. sulla considerazione che la citazione in appello equivaleva a ritenere la stessa A.M. quale litisconsorte necessaria ed a censurare sul punto la sentenza di prime cure”.

Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3, per mancata esposizione sommaria dei fatti di causa necessari ad intendere il significato e la portata delle censure sollevate.

Le ricorrenti principali soccombenti sulle questioni fondamentali dibattute in tale sede devono essere condannate in solido al pagamento delle spese di giudizio in favore di A.L. liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e condanna le ricorrenti principali in solido al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 2500,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2010

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