Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 990 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. I, 20/01/2021, (ud. 13/11/2020, dep. 20/01/2021), n.990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25252/2015 proposto da:

R.L., R.F., elettivamente domiciliate in Roma,

Viale Giulio Cesare n. 71 presso lo studio dell’avvocato Bellucci

Maurizio, che le rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

Contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per

legge;

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 2302/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/11/2020 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2302 del 2015, pubblicata il 10 aprile 2015, la Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nei confronti di R.L. e R.F., nella qualità di eredi di R.P., condannava l’indicato dicastero al pagamento degli interessi legali, a far data dalla messa in mora, individuata nella domanda giudiziale e fino al soddisfo, sulle somme liquidate a titolo di indennità per beni perduti all’estero nell’impugnata sentenza.

Tanto in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Roma al n. 16276 del 29 luglio 2011 con cui era stata invece indicata quale data di decorso degli interessi quella, anteriore, di adozione dei decreti del Ministero del Tesoro che, integrativi del titolo di spesa e perfezionativi della fattispecie costitutiva del credito, erano intervenuti, rispettivamente, in data 18 ottobre 1993, per la perdita delle aziende, ed in data 19 marzo 1999, per la perdita dell’avviamento.

Restava nel resto confermata, con il rigetto anche dell’appello incidentale, la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto al dante causa delle appellate l’integrazione all’indennizzo percepito per la perdita, in seguito all’espropriazione subita per i provvedimenti di nazionalizzazione dell’anno 1975, delle aziende agricole correnti in (OMISSIS) e del relativo avviamento commerciale, ai sensi delle L. n. 16 del 1980, L. n. 135 del 1985 e L. n. 98 del 1994, in Euro 1.982.491,56, quanto alla perdita dei beni ed in Euro 396.498,31 per la perdita dell’avviamento commerciale, con condanna

dell’Amministrazione convenuta alla complessiva somma di Euro 1.646.300,56, pari alla differenza tra quanto dovuto e quanto in precedenza corrisposto.

2. Ricorrono per la cassazione dell’indicata sentenza R.L. e R.F. con due motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo le ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 112 e 132 c.p.c., relativi all’obbligo del giudice di prendere posizione su quanto richiesto dalle parti ed al correlato obbligo di motivare e, ancora, degli artt. 1219 e 1224 c.c., con riferimento alle L. n. 16 del 1980, L. n. 135 del 1985, L. n. 98 del 1994, in punto di decorso degli interessi di mora in materia di indennizzo riconosciuto ai privati per i beni perduti all’estero all’esito di procedure di nazionalizzazione.

La Corte di appello limitandosi a sostenere che gli interessi dovessero decorrere dalla domanda giudiziale, in linea con l’orientamento della Corte di cassazione, non avrebbe preso in carico le due argomentazioni addotte nel grado dalla difesa.

Tanto sarebbe valso, sinteticamente esposto, quanto alla necessità di rivedere l’imprescindibilità dell’atto di costituzione in mora dell’Amministrazione per il periodo successivo al riconoscimento in sede amministrativa degli indennizzi per i beni perduti all’estero da cittadini ed imprese italiane in territori già soggetti alla sovranità dello Stato, nella migliore riconduzione della posta accessoria all’interno della categoria degli interessi compensativi invece di quelli moratori.

Nella scrutinata fattispecie il creditore avrebbe posto l’Amministrazione debitrice nelle condizioni di adempiere – tanto è vero che un pagamento era intervenuto anche se di importo inferiore al dovuto – e nessun’altra attività di cooperazione il creditore avrebbe dovuto compiere in una obbligazione, quale era quella di specie, da adempiere presso il domicilio del debitore.

La messa in mora del debitore non avrebbe consentito di considerare il semplice ritardo “inadempiuto” ove fosse ancora mancata l’attività di cooperazione del creditore; d’altra parte ove la condotta di cooperazione fosse stata attuata, il richiedere comunque l’atto di costituzione in mora avrebbe addossato al creditore il costo della mancata attuazione del rapporto, in contrasto con i principi sulla responsabilità da inadempimento. Avrebbe dovuto ritenersi il computo degli interessi pur in assenza di messa in mora a far data dalla prima liquidazione. Risponde a giurisprudenza della Corte di legittimità il principio per il quale sul debito di valuta dell’espropriante relativo alle indennità di esproprio sono dovuti gli interessi di natura compensativa che decorrono dall’esproprio. In applicazione analogica della disciplina agli indennizzi per i beni perduti all’estero il dies a quo del decorso deve individuarsi in quello di prima liquidazione all’esito di procedimenti.

Rispetto a siffatti argomenti la Corte territoriale avrebbe omesso di confrontarsi con l’atto difensivo così integrando la dedotta violazione.

2. E motivo si presta da una valutazione di inammissibilità per una pluralità di ragioni che vengono di seguito indicate.

2.1. La sentenza di appello, pronunciando sull’impugnazione principale, ha ritenuto l’applicabilità degli interessi moratori previa individuazione dell’atto di costituzione in mora nella domanda giudiziale.

In tal modo la Corte di merito non incorre nel vizio di omessa pronuncia per violazione dell’art. 112 c.p.c. – da declinarsi, correttamente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 -, ma fornisce una propria interpretazione della questione dinanzi a lei dedotta.

La critica dei ricorrenti non è quindi tanto diretta a segnalare una omessa pronuncia quanto, e piuttosto, a censurare l’interpretazione che della materia devoluta alla cognizione della Corte di merito quest’ultima ha dato.

2.2. Per le medesime ragioni, attraverso l’adottata decisione non è configurabile neppure a nullità per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente ex art. 132 c.p.c., n. 4, avendo la Corte territoriale, con il segnalare specifiche pronunce di questa Corte di cassazione a sostegno della soluzione in diritto prescelta (si veda in tal senso sul decorso degli interessi di mora dalla notifica dell’atto di citazione o da uno specifico atto di costituzione in mora nel corso del procedimento amministrativo, da ultimo: Cass. 19/05/2020 n. 9146, in motivazione sub par. 3.1, p. 8), indicato le ragioni della decisione senza essere tenuta, poi, a pena di nullità della sentenza, a prendere posizione su tutte le argomentazioni dedotte dalla parte.

2.3. Nè è ancora ipotizzabile per il denunciato scostamento della sentenza impugnata dalla prospettazione in diritto che si vorrebbe in appello operata dalle ricorrenti una mancata valorizzazione di fatti dedotti in modo specifico, richiedendo una siffatta censura una articolazione rigorosamente rispettosa dei criteri di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nella fattispecie del tutto mancante.

Le ricorrenti si sono limitate a richiamare genericamente di aver formulato una siffatta deduzione nell’atto di appello di cui non provvedono a segnalare però i contenuti neppure indicando gli atti destinati ad atteggiarsi ad ulteriori mezzi di messa in mora.

In un atto di impugnazione a motivi tipizzati qual è il ricorso per cassazione, destinato a correlarsi come tale con la particolare struttura del giudizio di cassazione, il motivo deve essere necessariamente specifico, enunciando tutti i fatti e le circostanze idonee ad evidenziarlo.

Il rispetto dell’esigenza di specificità non è destinato a venir meno quando sia dedotto un “error in procedendo” relativo allo svolgimento dei processo nelle fasi di merito, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per il fatto che la Corte di Cassazione là dove venga sollecitata a verificare se vi è stato errore nell’attività di conduzione del processo da parte del giudice del merito deve poter avere la possibilità di esaminare direttamente gli atti processuali.

Tale attività per poter essere utilmente esercitata presuppone che la denuncia del vizio processuale venga enunciata con specifica indicazione dei passaggi dello sviluppo processuale nel corso del quale sarebbe stato commesso l’errore di applicazione della norma sul processo e tanto perchè la Corte di cassazione sia posta nella condizione di procedere ad un controllo mirato sugli atti processuali in funzione di quella verifica (Cass. n. 4741 del 04/03/2005; Cass. n. 6134 del 13/03/2009; Cass. n. 9888 del 13/05/2016; Cass. n. 20924 del 05/08/2019).

3. Con il secondo motivo e ricorrenti si dolgono dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, relativo all’atto di messa in mora idoneo a far decorrere gli interessi ed ancora della violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’obbligo del giudice ex artt. 112 e 132 c.p.c. di prendere posizione e motivare su quanto richiesto dalle parti (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

La Corte territoriale avrebbe omesso di considerare, anche ove confermata la necessità per il decorso degli interessi di un preventivo atto ci messa in mora, l’esistenza di atti di messa in mora da cui riconoscere gli interessi.

Doveva essere a tal fine apprezzata la domanda di integrazione dell’indennizzo con riferimento all’avviamento commerciale all’esito della L. n. 98 del 1994 che pure conteneva la revisione di quanto riconosciuto per i beni materiali. L’atto non poteva essere considerato quale atto di impulso potendo in tal senso valere solo per l’avviamento e non per i beni materiali rispetto ai quali l’atto di impulso era costituito dalla domanda del 1980.

La Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere gli interessi da siffatta richiesta, come già avvenuto in fattispecie analoghe già scrutinate dalla medesima Corte di appello, e quindi dal 6 giugno 1994, e mancando di rispondere, i giudici della Corte di appello avrebbero integrato i denunciati vizi della motivazione e di violazione di legge.

4. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza per le ragioni indicate in scrutinio del primo motivo e, ancora, nel rilievo che l’omessa valutazione degli argomenti difensivi di parte non determina l’omissione di un fatto integrativo del vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 novellato, dovendo quest’ultimo intendersi nella sua accezione di fatto storico-naturalistico e non quale argomento difensivo in diritto (Cass. 06/09/2019 n. 22397; Cass. 18/10/2018 n. 26305).

5. Il ricorso va conclusivamente dichiarato inammissibile.

Le spese restano liquidate secondo la regola della soccombenza come in dispositivo indicato.

Trattandosi processo esente, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti a rifondere ai Ministero dell’economia e delle finanze le spese di lite che liquida in Euro 4.200,00 oltre spese prenotate a debito.

Trattandosi di processo esente, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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