Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 99 del 08/01/2021

Cassazione civile sez. II, 08/01/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 08/01/2021), n.99

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23136/2019 proposto da:

S.K., elettivamente domiciliato in Como, via Barsanti, n. 3,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO SIMONE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 06/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Milano, con decreto pubblicato il 6 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da S.K., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente aveva raccontato di essere espatriato perchè aveva avuto una relazione con la sorella adottiva che era rimasta incinta e che non aveva potuto sposare per l’opposizione della famiglia. A seguito di questi eventi la ragazza si era suicidata e il padre, impazzito dal dolore, era morto in un incidente di auto, lasciandogli per testamento una parte dei terreni e una stanza della casa. I parenti, ritenendolo responsabile della morte del padre, non volevano lasciargli alcun bene per questo era stato aggredito e accusato di essere uno stregone, era rimasto ferito da una coltellata i era stato soccorso dai vicini che lo avevano accompagnato in ospedale, una volta dimesso era scappato senza denunciare l’accaduto alla polizia e in autobus si era diretto, prima in Nigeria, poi in Algeria e poi in Libia. Il richiedente precisava di aver paura di tornare perchè la famiglia lo riteneva responsabile della morte della sorella e del padre.

Il collegio giudicante rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che dal racconto sulle circostanze che avevano indotto il ricorrente a lasciare il paese non emergevano elementi tali da determinare uno stato di persecuzione idoneo al riconoscimento dello status di rifugiato.

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), c). Il richiedente non aveva allegato che in caso di rimpatrio poteva rischiare la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generale e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato e, sulla base delle fonti internazionali il Burkina Faso non poteva ritenersi un paese soggetto ad una violenza generalizzata.

Infine, quanto alla richiesta di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non vi erano i presupposti per il suo accoglimento non essendo stata nè allegata nè dimostrata alcuna di quelle situazioni di vulnerabilità anche temporanea tale da legittimare la richiesta della protezione umanitaria, anche confrontando la condizione del ricorrente sul territorio nazionale rispetto a quella paese di provenienza in caso di rientro.

3. S.K. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare alla eventuale discussione.

5. In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato memoria illustrativa con la quale ha insistito nelle proprie richieste.

6. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte con le quali chiede che il ricorso venga trasmesso al primo Presidente perchè valuti se assegnarlo dalle sezioni unite in ragione della rilevanza nomofilattica dell’obbligo di procedere all’audizione personale del richiedente mancanza della videoregistrazione del colloquio dinanzi la commissione territoriale. In subordine, chiede che la questione venga trattato in pubblica udienza o, in ulteriore subordine, che il ricorso venga accolto.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: erronea valutazione delle risultanze processuali. Insufficiente motivazione in merito al diniego della protezione umanitaria.

La censura attiene al rigetto del permesso di soggiorno per motivi umanitari nonostante il ricorrente abbia intrapreso un percorso di integrazione socio lavorativa.

Inoltre, non sarebbero stati attivati i poteri ufficiosi per accertare la situazione del Pakistan.

1.1 Il motivo è inammissibile.

La censura è del tutto generica e non offre alcun elemento per rivalutare la decisione del Tribunale sia in relazione alla integrazione del ricorrente sia relazione alla situazione sociopolitica del Burkina Faso.

Il Tribunale, inoltre, ha fatto esplicito riferimento a fonti qualificate dalle quali ha tratto la convinzione che il Pakistan non sia una zona rientrante tra quelle di cui del D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c. Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, l’esistenza di una situazione di integrazione e dunque di particolare vulnerabilità. A tale accertamento viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione di legge. Principio del contraddittorio D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19.

La censura ha ad oggetto la presenza di atti della parte non costituita. Secondo il ricorrente senza una regolare costituzione ai sensi degli artt. 702 bis c.p.c. e segg. e senza la costituzione in giudizio della parte resistente la presenza di documenti da questa proveniente è del tutto irrituale ed inammissibile.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione di legge, mancata valutazione della contumacia e della mancata contestazione della domanda e delle prove fornite dal ricorrente.

Il ministero dell’interno non si è costituito nel giudizio e non ha contestato le richieste del ricorrente nè le prove fornite, sicchè il racconto non poteva essere messo in discussione dal giudice.

3.1 Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono inammissibili.

Il ricorrente richiama del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, che è stato abrogato dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 7, comma 1, lett. c), convertito, con modificazioni, dalla L. 13 aprile 2017, n. 46.

La disciplina ratione temporis applicabile al caso di specie è il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 8, secondo cui: “la Commissione che ha adottato l’atto impugnato è tenuta a rendere disponibili con le modalità previste dalle specifiche tecniche di cui al comma 16, entro venti giorni dalla notificazione del ricorso, copia della domanda di protezione internazionale presentata, della videoregistrazione di cui all’art. 14, comma 1, del verbale di trascrizione della videoregistrazione redatto a norma del medesimo art. 14, comma 1, nonchè dell’intera documentazione comunque acquisita nel corso della procedura di esame di cui al Capo III, ivi compresa l’indicazione della documentazione sulla situazione sociopolitico-economica dei Paesi di provenienza dei richiedenti di cui all’art. 8, comma 3, utilizzata”.

L’erroneità del riferimento normativo rende inammissibile la censura di violazione di leggeì in ogni caso dalla semplice lettura della norma sopra riportata risulta evidente l’obbligo della Commissione territoriale di rendere disponibile tutta la documentazione inerente la domanda di protezione internazionale presentata.

Quanto alla censura di cui al terzo motivo è del tutto inammissibile ipotizzare che la mera contumacia dell’amministrazione determini l’accoglimento del ricorso in virtù del principio di non contestazione. La contumacia, infatti, integra un comportamento neutrale cui non può essere attribuita valenza confessoria, e comunque non contestativa dei fatti allegati dalla controparte, che resta onerata della relativa prova.

In particolare, l’eventuale contumacia della P.A. in questo tipo di giudizio, non può ritenersi di ostacolo all’accertamento, da parte del giudice, della fondatezza della domanda di protezione, sulla scorta di atti e documenti acquisiti e delle prove integrative eventualmente acquisite anche in virtù dell’onere della prova attenuato e dell’esercizio dei poteri officiosi necessari ai fini della verifica delle dichiarazioni del richiedente e della situazione del paese di provenienza.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: erronea valutazione delle risultanze processuali. Insufficiente e contraddittoria motivazione. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, protezione sussidiaria. La censura ha ad oggetto la motivazione del provvedimento impugnato con riferimento all’applicabilità del suddetto D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Non vi sarebbe una sufficiente specificazione delle fonti di conoscenza e l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati segnala la perdurante situazione di insicurezza nella regione settentrionale del Burkina Faso. Il ricorrente riporta gli attacchi terroristici risultanti da altre fonti e ritiene sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale ai sensi del citato art. 14, lett. c).

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis.

Il motivo non è sufficientemente argomentato, sembra attenere alla mancata attivazione dei poteri officiosi.

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: mancanza di video: registrazione del colloquio dinanzi alla commissione territoriale.

La videoregistrazione dell’audizione ha un forte valore caratteristico in mancanza di tale videoregistrazione il giudice dovrebbe ineluttabilmente disporre lo svolgimento dell’udienza di comparizione. Nella specie tale udienza si è tenuta e il ricorrente ha confermato quanto detto in commissione. Il giudice, invece, avrebbe dovuto svolgere una indagine più accurata e approfondita circa le motivazioni della domanda di protezione internazionale.

7 I motivi quarto, quinto e sesto sono inammissibili.

La critica formulata nei motivi costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale di Milano ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Il Tribunale di Milano ha fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali dalle quali ha tratto la convinzione che il Burkina Faso non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del paese di provenienza del richiedente asilo (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente si limita a dedurre genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo al non aver tenuto conto della situazione generale del paese di origine.

L’audizione del richiedente si è regolarmente svolta ed il richiedente ha confermato le sue dichiarazioni, sicchè la censura che attiene alle modalità di svolgimento della stessa è del tutto inammissibile.

8. In conclusione il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021

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