Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 99 del 04/01/2017

Cassazione civile, sez. II, 04/01/2017, (ud. 17/06/2016, dep.04/01/2017),  n. 99

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30592-2011 proposto da:

G.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, Via

Antonio Giuseppe Guattani 14, presso lo studio dell’avvocato MICHELE

PESIRI, che lo rappresenta e difende, come da procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO G. E F. BERARDI CASA DI RIPOSO IPAB ENTE MORALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in

Roma, Via Salluzzo, 8, presso lo studio dell’avvocato FERNANDO

NATALE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO

NATALE, come da procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3778/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2016 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

udito l’Avvocato Pesiri e l’avvocato Fabio Natale, che si riportano

agli atti e alle conclusioni assunte;

udito il sostituto procuratore generale, Dott. DEL CORE Sergio, che

conclude per l’inammissibilità del ricorso, in subordine per il suo

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con citazione del 10 giugno 1997 l’Istituto “G. e F. Berardi” domandava la divisione dell’eredità della sig.ra P.M., deceduta il (OMISSIS). Quest’ultima, con testamento olografo pubblicato il (OMISSIS), aveva nominato quale sua erede universale l’Opera Pia “G. e F. Berardi”, autorizzata ad accettare l’eredità con delibera della Giunta regionale del Lazio. Tale eredità consisteva, tra l’altro, nella comproprietà al 50% di un appartamento in (OMISSIS), essendo G.M., comproprietario dell’altro 50%. Questi non si opponeva alla divisione, ma deduceva di avere effettuato lavori di ristrutturazione dell’immobile, al fine di renderlo idoneo all’uso abitativo, chiedendo il rimborso delle spese anticipate.

2. Espletata CTU per valutare la divisibilità degli immobili, stimarne il valore e quantificare le quote al fine dell’eventuale attribuzione del ricavato, nonchè per stabilire il valore dei lavori di ristrutturazione operati, il Tribunale di Velletri attribuiva al sig. G. la piena proprietà dell’immobile sito in (OMISSIS), con l’obbligo di pagare a favore dell’ente un conguaglio di Euro 137.609,34, oltre interessi legali dalla data della sentenza.

3. Proponeva appello principale il sig. G. contestando l’ammontare del conguaglio come quantificato dal Tribunale e chiedendone la rideterminazione in una minor somma. L’istituto Berardi proponeva appello incidentale, per essere stato il valore dell’immobile sottostimato e per essere stato erroneamente calcolato l’importo dei frutti civili.

4. La Corte d’Appello di Roma con sentenza dell’11 luglio 2011 accoglieva l’appello incidentale dell’Istituto Berardi e rigettava quello principale.

4.1 – Con riferimento al primo motivo d’appello con cui il sig. G. aveva lamentato l’erronea decurtazione di una parte delle spese di ristrutturazione da lui sostenute, la Corte territoriale rilevava che la CTU aveva evidenziato come si trattasse di spese voluttuarie e non necessarie per l’abitazione dell’immobile. Riconosceva, però, sempre sulla base della nuova CTU, spese di falegnameria in primo grado non calcolate.

4.2 – Il secondo motivo di gravame con cui si lamentava la mancata indicazione nella CTU dei criteri di stima dell’immobile e del valore locativo, nonchè l’omessa considerazione del minor valore del bene prima dell’esecuzione dei lavori di ristrutturazione, era giudicato infondato in quanto il valore locativo dell’immobile, costituente peraltro solo uno dei criteri utilizzabili per valutare l’entità dei frutti civili tratti dal condividente nel possesso dell’immobile, era stato stimato nella CTU, esperita in primo grado, in un importo inadeguato e in difetto rispetto ai valori di mercato, indicati nella nuova CTU eseguita in appello e riferiti ai canoni di locazione praticati nella stessa zona, in analogo periodo, per immobili della stessa specie.

4.3 – Il terzo motivo d’appello inerente la statuizione sulle spese di lite, a parere del G. ingiustificatamente compensate, veniva rigettato in quanto il Tribunale aveva correttamente applicato i principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di spese processuali nel giudizio divisorio, finalizzato alla realizzazione di un interesse comune alla determinazione delle quote, per cui le spese vanno poste a carico di tutti i condividenti in proporzione delle rispettive quote.

4.4 – Quanto all’appello incidentale, ritenuto fondato, la Corte locale osserva che la CTU, espletata nel giudizio d’appello, aveva accertato con una motivazione immune da vizi logici e conforme alle risultanze dell’istruzione probatoria, che l’immobile di via (OMISSIS) aveva, al momento dello scioglimento della comunione, un valore di Euro 600.000,00, per cui il conguaglio da corrispondere andava correttamente individuato in Euro 300.000,00, importo dal quale occorreva: a) dedurre la metà delle spese sostenute dal G. per le migliorie apportate al bene comune (stimate in Euro 44.527,00) e la metà delle spese condominiali sopportate dal solo occupante (Euro 4.168,00); b) aggiungere la metà dei frutti civili da questi goduti con riferimento al valore locativo del bene (Euro 58.148,57/2 = Euro 29.074,28). Di qui, la determinazione del dovuto in Euro 280.379,28, da maggiorarsi degli interessi legali.

5. Avverso la suddetta sentenza ricorre il sig. G.M., articolando tre motivi di gravame. Resiste con controricorso l’Istituto “G. e F. Berardi”. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi del ricorso.

1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di “omessa motivnione in merito all’attualizzazione del valore dell’immobile di via (OMISSIS) secondo la rivalutazione monetaria (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.)”.

La Corte d’Appello di Roma, nell’accogliere l’appello incidentale, ha del tutto trascurato l’esame dell’eccezione proposta dall’odierno ricorrente, subordinata all’accoglimento dell’avversa domanda, in merito alla necessità di procedere all’attualizzazione del valore del bene in ragione della rivalutazione monetaria.

La Corte territoriale, invece, ignorando la consolidata giurisprudenza secondo la quale per operare l’attualizzazione del valore dell’immobile ai fini della determinazione delle quote è sufficiente la rivalutazione monetaria, ha disposto una nuova CTU e conformandosi alla medesima ha determinato un valore del bene oggetto di divisione superiore rispetto a quello stimato in primo grado ed eccessivo sia rispetto alla rivalutazione monetaria che ai valori di mercato.

La Corte ha commesso il medesimo errore nella determinazione del canone di locazione dell’immobile rilevante ai fini della quantificazione dei frutti civili dovuti dal sig. G. per il godimento del 50% dell’immobile dal momento della domanda giudiziale a quello della sentenza di primo grado.

Il giudice d’appello, infatti, avrebbe dovuto applicare i coefficienti ISTAT al canone di locazione stimato nella CTU, esperita in primo grado pari a 1.600.000 per l’anno 1997.

L’utilizzo di tale metodo di calcolo avrebbe portato ad una determinazione del canone di locazione in misura ben inferiore rispetto alla stima effettuata dal CTU dott. T..

La Corte d’Appello nulla ha argomentato in ordine al mancato utilizzo degli indici ISTAT per attualizzare i valori già determinati nella CTU in primo grado, che risultavano maggiormente confacenti all’andamento del mercato immobiliare rispetto a quelli riportati dal dott. T..

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta il vizio di “insufficiente e contraddittoria motivazione sulla determina ione del valore di mercato dell’immobile di via (OMISSIS) n.4 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

La Corte d’Appello, motivando in maniera insufficiente sulla determinazione del valore di mercato dell’immobile di via (OMISSIS), si è limitata ad accogliere acriticamente le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio del dott. T., senza nulla argomentare in ordine alle eccezioni dedotte dall’odierno ricorrente, liquidandole come una “generica contestazione del criterio di calcolo seguito dal CTU”.

La stima effettuata dal dott. T. è molto superiore al valore di mercato dell’immobile, anche con riferimento al canone di locazione esigibile individuato in 2.700,00 mensili (a fronte dei 2.300,00/2.400,00 determinati dal CTP).

D’altronde, il CTU ha immotivatamente qualificato il bene da dividere come immobile di lusso, a dispetto della sua collocazione in una zona semi-centrale della città, in uno stabile circondato da palazzine di tipo economico. La Corte avrebbe dovuto rilevare l’infondatezza della sovrastima effettuata dal dott. T. o almeno motivare sul punto, in considerazione dell’eccezione formulata dal sig. G..

D’altra parte il CTP, arch. S., ha evidenziato come la sproporzione del valore dell’immobile determinato in CTU sarebbe stata facilmente rilevabile verificando delle fonti ufficiali e attendibili (prodotte in giudizio dall’odierno ricorrente) a cui il dott. T. non ha fatto riferimento.

La Corte territoriale, piuttosto che rilevare la sproporzione delle valutazioni effettuate dal CTU, ha affermato che le stime rese dall’arch. S. non erano attuali, pur risalendo al 2008, quindi ad epoca posteriore rispetto all’anno di riferimento per il quale doveva essere determinato il valore dell’immobile, ossia il 2004, anno in cui è stata pronunciata la sentenza di primo grado. Nè risultano chiare le fonti sulla base delle quali il dott. T. avrebbe fondato le proprie determinazioni. Nella CTU si fa riferimento alle dichiarazioni rese da una non meglio precisata agenzia immobiliare della zona.

Inoltre, la Corte locale non ha motivato in ordine alla contestata qualifica di immobile di lusso che il CTU ha conferito all’appartamento in questione. Il sig. G. ha, infatti, rilevato come l’immobile di via (OMISSIS), pur avendo subito una recente ristrutturazione, non ha rifiniture che possano renderlo di lusso, si trova in una zona semi-centrale e non gode di una particolare vista o di una posizione privilegiata all’interno dello stabile in cui è ubicato. Dunque, per essersi l’organo giudicante acriticamente conformato alle ingiustificate conclusioni della CTU, la sentenza impugnata risulta viziata da una motivazione insufficiente.

3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce il vizio di “omessa motivazione sulla determinazione del canone di locazione dal 1997 al marzo 2004 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Il CTU, e di conseguenza la Corte d’Appello, ha errato anche nella determinazione del canone di locazione dell’immobile dal 1997 al marzo 2004. In primo luogo, il dott. T. ha arbitrariamente assunto come data d’inizio del calcolo il 1 gennaio 1997, mentre la stessa avrebbe dovuto coincidere con la data di notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di divisione (giugno 1997).

Il CTU ha poi individuato un primo valore del canone mensile, in base alla ricapitalizzazione, in L. 2.083.334 ed un secondo valore in L. 2.800.000, senza specificare le fonti di riferimento, operando poi una media tra i due valori e determinando il canone di locazione mensile in L. 2.441.667 (pari ad Euro 1.261,02). Sulla base di tale valore ha determinato l’ammontare dei frutti civili goduti dal sig. G..

Tale valore è stato contestato dall’odierno ricorrente, sulla base delle indicazioni del CTP che, indicando le proprie fonti, ha quantificato il canone di locazione mensile in L. 1.600.000 (da attualizzare secondo gli indici ISTAT) in accordo con il valore determinato in primo grado dal CTU Geom. B.. La non attendibilità delle risultanze della CTU espletata in appello emergeva chiaramente dalla differenza rispetto al canone di locazione determinato dal CTU di primo grado. Espone, quindi, il ricorrente le differenze derivanti dai diversi criteri di calcolo. 2. Il ricorso, ai limiti dell’ammissibilità, è comunque infondato. Con i motivi avanzati, tutti prospettati nell’ambito del vizio di motivazione, vengono alla sostanza prospettate censure di merito inammissibili in questa sede. Inoltre, il ricorso presenta profili di inammissibilità per carenza di autosufficienza specie quanto alle censure mosse alla pretesa acritica adesione della corte d’appello alle conclusioni del c.t.u..

2.1 – Il primo motivo è infondato. Si incentra sulla mancata attualizzazione del valore dell’immobile secondo il diverso criterio della rivalutazione monetaria. La corte d’appello ha correttamente chiarito che il criterio proposto dall’odierno ricorrente è uno solo dei criteri applicabili e ha chiaramente individuato, ritenendolo maggiormente aderente alle specifiche esigenze, il diverso criterio applicato. Si trattava di individuare il valore di un immobile notoriamente non necessariamente riferibile alle sole variazioni Istat, ma piuttosto legato a fattori contingenti del mercato in via generale e persino a situazioni specifiche e locali.

2.2 – Parimenti infondato è il secondo motivo. La corte d’appello non ha acriticamente aderito alle conclusioni della c.t.u., peraltro proprio disposta in appello proprio allo scopo di ulteriormente affinare gli aspetti di valutazione inerenti la causa. Ha invece valutato le conclusioni del c.t.u., condividendole seppure con motivazione sintetica. Al riguardo infatti la sentenza così motiva.

“La consulenza tecnica di ufficio, espletata in secondo grado allo scopo di ricondurre i valori dell’immobile e delle migliorie al momento della sentenza di primo grado (2004) ha accertato, con motivazione che appare immune da vidi logici e pienamente conforme alle risultane dell’istruzione probatoria, che l’immobile di via (OMISSIS) (che si compone di ingresso, cucina, soggiorno, camera da pranzo, tre camere da letto, doppi servizi ed ha una superficie catastale di 145 mq.) aveva, al momento dello scioglimento della comunione, un valore di Euro 600.000,00 e che, pertanto, il valore da corrispondere a conguaglio da parte del condividente assegnatario del bene in natura ammonta ad Euro 300.000,00. Di contro, le note critiche prodotte dalla difesa del G. si risolvono in una generica contestazione del criterio di calcolo seguito dal CTU (che ha mediato tra due valori calcolati con criteri differenti) e, per quanto attiene al calcolo del valore locativo dell’immobile, richiamano integralmente le allegate considerazioni del CTP arch. S., non attuali, perchè risalenti al 10 dicembre 2008. Il valore calcolato dal consulente di ufficio, accolto come base del calcolo delle quote, dev’essere pertanto diminuito della metà delle spese sostenute dal condividente per migliorie apportate al bene comune (che è debito di valuta) per Euro 44.527,00 e della metà delle spese condominiali sopportate dal solo occupante (Euro 4.168,00). Dev’essere poi aumentato della metà dei frutti civili goduti dal G., calcolati con riferimento al valore locativo del bene (Euro 58148,57 / 2 = Euro 29.074,28); conseguentemente, il conguaglio che il G. deve versare alla Casa di riposo Berardi ammonta Euro 280.379,28 (duecentottantamila trecentosettantanove virgola ventotto)”.

Come si vede, la corte d’appello mostra di aver precisamente individuato la consistenza dell’immobile (specificamente descritto), la sua collocazione e il suo stato di consistenza. La Corte inoltre ha preso posizione sulle più significative censure avanzate dall’odierno ricorrente, non essendo necessario che il giudice motivi su tutti i singoli elementi critici prospettati.

2.3 – Infine è infondato anche l’ultimo motivo col quale si lamenta l’errata determinazione del canone di locazione dal 1997 al 2004. Anche in questo caso si tratta di una stima operata dal c.t.u. sul periodo in questione e motivata in ordine alle possibili oscillazioni, nel periodo, tra un canone minimo e uno massimo ed adeguata alla situazione specifica. In definitiva, anche con la presente censura il ricorrente, più che prospettare un vizio riferibile all’art. 360 c.p.c., n. 5, prospetta una censura di merito sulle conclusioni raggiunte dalla corte d’appello.

3. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 5.000,00 (cinquemila) Euro per compensi e 200,00 (duecento) Euro per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2017

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