Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9898 del 27/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2020, (ud. 13/01/2020, dep. 27/05/2020), n.9898

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22051/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con

domicilio presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

COSTRUZIONI GENERALI s.r.l. in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura

speciale in atti, dall’Avv. Andrea Melucco, con domicilio eletto

presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Antonio Bertoloni, n.

27;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte, n. 74/22/11, depositata il 29 settembre 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 gennaio 2020

dal Consigliere Dott. Michele Cataldi;

udito il Pubblico Ministero, in persona dei Sostituto Procuratore

generale Dott.ssa Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del primo e del quarto motivo del ricorso, con

assorbimento dei restanti;

uditi l’Avv. dello Stato Francesco Meloncelli per la ricorrente e

l’Avv. Andrea Melucco per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate ha emesso, nei confronti della Costruzioni Generali s.r.l., un avviso d’accertamento, relativo agli anni d’imposta 2003, 2004,2005 e 2006, volto a recuperare a tassazione, ai fini Ires, l’importo pagato dalla stessa contribuente per l’acquisto, in data (OMISSIS), dalla Immob.VI.MA. di V.A. & C. s.a.s., della quale erano soci V.A. e M.G., di numerosi immobili, il cui prezzo era stato indebitamente ascritto ad investimento per “beni strumentali” e, pertanto, escluso dall’imponibile ai sensi della L. 18 ottobre 2001, n. 383, art. 4.

L’Ufficio, infatti, riteneva che la contribuente non avesse diritto alla predetta agevolazione, contestando, in particolare, la natura strumentale degli immobili acquistati dalla contribuente, atteso che: – l’acquisizione degli immobili era stata riportata nella contabilità Iva e nella relativa dichiarazione annuale nella sezione attinente le “locazioni imponibili Iva”;

– gli immobili comprati erano stati qualificati dalla contribuente come strumentali all’attività di locazione, che essa non aveva mai realmente svolto, in quanto gran parte degli stessi beni erano stati oggetto di successiva vendita; mentre le uniche locazioni immobiliari stipulate dalla contribuente erano state successivamente concluse a favore degli stessi V.A. e M.G., soci della medesima Immob.VI.MA. di V.A. & C. s.a.s., che aveva alienato alla Costruzioni Generali s.r.l. gli immobili di cui alla compravendita del (OMISSIS);

– risultavano una serie di legami di interessenza fattuale tra la contribuente, la terza alienante Immob.VI.MA. di V.A. & C. s.a.s. e le persone fisiche V.A. e M.G., socie di quest’ultima, nella cui disponibilità erano rimasti di fatto i beni immobili ceduti dalla s.a.s. alla s.r.l.;

– l’atto di compravendita in questione prevedeva condizioni contrattuali non usuali, specie con riferimento al pagamento di parte del corrispettivo, subordinato, senza garanzie, all’ottenimento, da parte dell’acquirente, del rimborso Iva, evento non certo a priori.

Secondo l’Amministrazione, dunque, di fatto gli immobili ceduti erano rimasti nella disponibilità dei predetti soci della s.a.s. alienante, sostanzialmente cointeressati alla gestione della stessa s.r.l. acquirente, e l’intera operazione conclusa il (OMISSIS) tra le due società integrava solo formalmente una compravendita tra distinti ed autonomi soggetti giuridici, che aveva in realtà il fine di generare vantaggi fiscali a favore dell’acquirente s.r.l., la quale aveva beneficiato sia di un consistente, ed indebito, credito Iva; sia della parziale, ma consistente, detassazione del reddito d’impresa derivante, ai sensi della L. 18 ottobre 2001, n. 383, art. 4, dall’investimento negli immobili in questione, quali beni strumentali, benchè, nella sostanza, essi rappresentassero beni-merce. Rilevava infatti l’Ufficio che le società aventi per oggetto esclusivo, o principale, la costruzione di immobili destinati alla rivendita, non potevano fruire dell’agevolazione in questione; e che anche gli immobili strumentali per natura, detenuti dalle società che avevano per oggetto principale l’attività di costruzione immobiliare, potevano beneficiare dell’agevolazione solo per gli immobili oggetto di locazione durevole, che non ricorreva nel caso di specie.

Aggiungeva poi l’Amministrazione che, contemporaneamente, la s.a.s. alienante, sfruttando il c.d. condono tombale di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, aveva sanato, con modico esborso, le violazioni commesse omettendo totalmente di dichiarare gli imponibili conseguenti dalla vendita degli immobili in questione e quindi non versando le corrispondenti Irpeg ed Irap, oltre alla relativa Iva.

2. Avverso il predetto atto impositivo la contribuente ha proposto ricorso dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Alessandria, che lo ha respinto, ritenendo (come risulta dalla sentenza della CTR) che i beni in esame, per il loro utilizzo, non potessero considerarsi strumentali ai fini della relativa agevolazione.

3. La contribuente ha allora impugnato la sentenza di primo grado e l’adita Commissione tributaria regionale del Piemonte, con la sentenza n. 74/22/11, depositata il 29 settembre 2011, ha rigettato l’appello.

4. L’Ufficio ha quindi proposto ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.

5. La contribuente si è costituita con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 Cost.; del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis; e della L. 18 ottobre 2001, n. 383, art. 4, per avere il giudice a quo ritenuto erroneamente che la prospettazione dell’operazione negoziale conclusa dalla contribuente con la s.a.s. come abuso di diritto costituisse un motivo nuovo, non già proposto dall’Ufficio in primo grado e quindi inammissibile, benchè l’Amministrazione l’avesse rilevata già nella motivazione dell’avviso d’accertamento e nonostante essa fosse comunque rilevabile anche d’Ufficio.

2. Con il secondo motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 Cost.; del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis; della L. 18 ottobre 2001, n. 383, art. 4; e degli artt. 2697 e 2727-2729 c.c., per avere il giudice a quo ritenuto erroneamente che l’Amministrazione avesse l’onere di provare che l’impiego dello strumento contrattuale in questione avesse il fine essenziale di conseguire il risparmio d’imposta e che le presunzioni semplici non fossero idonee ad assolvere a tale finalità.

3. Con il terzo motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 Cost.; del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis; e della L. 18 ottobre 2001, n. 383, art. 4, per avere il giudice a quo ritenuto erroneamente che l’esclusione della natura illecita o fittizia dell’operazione controversa fosse sufficiente a confutare l’accertamento impugnato, senza considerare che l’abuso della relativa disciplina legale consente di configurare come strumenti di elusione fiscale anche negozi di per sè soli leciti e voluti dalle parti, ma finalizzati essenzialmente al risparmio fiscale.

4. Con il quarto motivo, l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente ratione temporis (ovvero antecedente alla novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), l’insufficiente ed apparente motivazione della sentenza impugnata su fatti decisivi e controversi del giudizio, costituiti dalla serie di circostanze addotte dall’Amministrazione al fine di evidenziare la sostanziale natura dell’operazione negoziale in questione, con particolare riferimento all’effettiva attività della contribuente; alla conseguente reale natura, non strumentale, dei beni immobili da quest’ultima acquistati; alla persistente disponibilità degli stessi beni, pur se alienati dalla s.a.s., in capo alle persone fisiche socie di quest’ultima; alla concreta interessenza tra gli stessi soci della s.a.s. e la contribuente s.r.l.; oltre che alle inusuali condizioni contrattuali convenute nella compravendita stipulata tra le due società.

4.1. Tutti i motivi di ricorso, per la loro connessione, ed in parte coincidenza, vanno trattati congiuntamente e sono fondati, nei termini che seguono.

Invero, nella sostanza, l’Ufficio ricorrente censura innanzitutto la sentenza impugnata per non aver esaminato, come richiedeva la difesa erariale appellante, la fattispecie negoziale controversa sotto il profilo dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale, in quanto “motivo nuovo”, quindi ritenuto, implicitamente, inammissibile.

Tale conclusione del giudice a quo è errata, innanzitutto perchè la motivazione dell’avviso d’accertamento controverso (come riprodotta sia nel ricorso per il quale si procede che nel controricorso) conteneva il riferimento specifico alla natura effettiva ed elusiva dell’operazione negoziale de qua, nel caso di specie comunque rilevabile anche d’ufficio.

Deve infatti rilevarsi che sia le operazioni oggetto dell’accertamento che la notifica dell’avviso controverso sono antecedenti all’inserimento, con il D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 1, nella L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10-bis, in materia di disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale, che è quindi inapplicabile, ai sensi della specifica norma intertemporale dettata dal comma 5 del ridetto D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1.

Pertanto (in assenza della sopravvenuta disciplina, anche in termini di contraddittorio endoprocedimentale, dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale), la natura abusiva delle condotte del contribuente oggetto del giudizio era ritenuta, per consolidato orientamento giurisprudenziale, comunque rilevabile anche d’ufficio, atteso che “Nel processo tributario, pur essendo l’oggetto del giudizio delimitato dalle ragioni poste a fondamento dell’atto di accertamento, il tema relativo all’esistenza, alla validità ed all’opponibilità all’Amministrazione finanziaria del negozio da cui si assume che originino determinate minusvalenze deve ritenersi acquisito ai giudizio per effetto dell’allegazione da parte del contribuente, il quale è gravato dell’onere di provare i presupposti di fatto per l’applicazione della norma da cui discende l’invocata diminuzione del reddito d’impresa imponibile: ne consegue, anche in ragione dell’indisponibilità della pretesa tributaria, la rilevabilità d’ufficio delle eventuali cause di invalidità o di inopponibilità del negozio stesso, sempre che ciò non sia precluso, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno eventualmente già formatosi sul punto o (nel giudizio di legittimità) dalla necessità di indagini di fatto (Cass., Sez. U., 23/12/2008, n. 30055; conformi, ex multis, Cass. 19/10/2012, n. 17949 e Cass. 20/03/2015, n. 5655. Cfr. altresì Cass. 11/05/2012, n. 7393, in ordine al potere del giudice tributario di qualificare autonomamente la fattispecie, a prescindere dalle allegazioni delle parti in causa, nonostante il carattere impugnatorio del processo tributario).

Quindi, nella prospettiva del citato contesto normativo e giurisprudenziale antecedente all’introduzione della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, anche l’ipotetico rilievo, da parte dell’Amministrazione, per la prima volta in appello, della natura abusiva ed elusiva dell’operazione oggetto dell’accertamento impugnato, non potrebbe comunque ritenersi inammissibile, atteso che anche d’ufficio il giudice del merito avrebbe potuto accedere, sulla base dei fatti allegati, alla qualificazione della condotta della contribuente in termini abusivi od elusivi (nello stesso senso, da ultimo, Cass. 05/12/2019, n. 31816).

4.2. Egualmente erronea è la sentenza impugnata, come denunciato dall’ufficio ricorrente, nella parte in cui (pag. 3), nonostante avesse già esaurito il potere decisorio sulla contestata elusione (ritenendola, in rito, un motivo “nuovo”), ha comunque escluso la fondatezza del medesimo rilievo erariale, in quanto le relative “argomentazioni” “non risultano basate su elementi oggettivi di riscontro”.

Infatti, come assume la ricorrente Agenzia, la prova della difformità dell’effettiva natura dell’operazione negoziale controversa da quella formalmente rappresentata dagli atti posti in essere dalle parti può essere costituita anche da presunzioni semplici.

Al riguardo, questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che “In materia tributaria, costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicchè il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale.” (Cass. 13/04/2017, n. 9610; conformi, ex plurimis, Cass. 26/02/2014, n. 4603 e Cass. 20/06/2018, n. 16217); mentre deve essere provata dal contribuente la ricorrenza di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione economica volta al conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, ancorchè non contrastante con alcuna disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta (cfr. Cass. 06/06/2019, n. 15321; Cass. 23/11/2018, n. 30404).

Tanto premesso in ordine alla ripartizione dell’onere probatorio nella fattispecie controversa, non sussistono ragioni che giustifichino la pretesa inammissibilità dell’utilizzo, da parte dell’Amministrazione ed al fine di adempiere la porzione dell’onus probandi che le compete, delle presunzioni semplici – se gravi, precise e concordanti- di cui all’art. 2729 c.c., (circa la rilevanza, in materia di abuso del diritto ed elusione, di elementi indiziari sintomatici, cfr., ex multis, le cit. Cass. 13/04/2017, n. 9610 e Cass. 20/06/2018, n. 16217).

Ha quindi errato ulteriormente il giudice a quo, laddove ha omesso di prendere in esame gli elementi indiziari offerti dall’Ufficio, contestualmente affermando (anche mediante il richiamo e la parziale trascrizione della motivazione di altra sentenza, della quale non è attestato il giudicato, emessa dalla stessa CTR e tra le medesime parti, relativa al recupero dell’Iva dell’anno d’imposta 2002, per l’acquisto degli immobili in questione), in maniera apodittica, l’astratta insufficienza delle presunzioni ad essi correlabili e, quindi, la necessità di una prova diretta, in contrasto con il predetto orientamento giurisprudenziale ed in un difetto di un limite istruttorio legale.

La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al giudice d’appello, per i necessari accertamenti in fatto.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2020

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