Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9895 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/04/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 15/04/2021), n.9895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12693-2019 proposto da:

L.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CARLO STASI;

– ricorrente –

contro

G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO

57, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANA MAGNANI, rappresentato

e difeso dall’avvocato SALVATORE DE PAOLIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 879/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 12/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

MARIA CIRILLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.C. convenne in giudizio L.D., davanti al Tribunale di Lecce, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti al furto della sua automobile, avvenuto all’interno del parcheggio custodito della discoteca gestita dal convenuto, dove suo figlio G.A. l’aveva parcheggiata.

Si costituì il convenuto, eccependo il difetto di legittimazione attiva dell’attore e chiedendo nel merito il rigetto della domanda.

Il Tribunale accolse la domanda e condannò il convenuto al pagamento della somma di Lire 20.000.000, ritenendo che la domanda fosse stata proposta ai sensi dell’art. 2043 c.c., e che il convenuto dovesse rispondere anche del fatto dei suoi dipendenti.

La sentenza, impugnata dalla parte soccombente, fu integralmente riformata dalla Corte d’appello di Lecce la quale, sul rilievo che l’attore avesse proposto esclusivamente un’azione contrattuale, facendo valere cioè la responsabilità a titolo di custodia, ritenne che l’attore fosse privo di legittimazione attiva, essendo stato il contratto di deposito concluso dal figlio A.. La Corte rigettò quindi la domanda e condannò il G. alle spese dei due gradi di giudizio.

2. La decisione della Corte d’appello è stata cassata da questa Corte con la sentenza 28 luglio 2014, n. 17051.

Riassunto il giudizio da G.C. davanti alla medesima Corte d’appello quale giudice di rinvio, quest’ultima, con sentenza 12 settembre 2018, ha rigettato l’appello originario, confermando la pronuncia di primo grado e condannando il Litri al pagamento delle spese del giudizio di appello, di quello di cassazione e di quello di rinvio.

Ha osservato la Corte salentina che il Litri non aveva dimostrato in modo adeguato il proprio difetto di legittimazione passiva; pur avendo egli, infatti, dichiarato di aver concesso il locale ad una terza persona per una festa privata, in tal modo cedendo integralmente la gestione della discoteca e del parcheggio, detta totale cessione non era stata provata in modo certo.

Quanto, poi, al tipo di contratto concluso, la Corte d’appello ha ritenuto dimostrata l’esistenza di un contratto di parcheggio con prevalenti elementi di deposito, con conseguente sussistenza dell’obbligo di conservare e di restituire, comprovato anche dal fatto che si trattava di parcheggio a pagamento e che il gestore della discoteca non aveva tenuto alcuna attenzione al riguardo, mantenendo sempre alzata la sbarra di accesso al parcheggio stesso.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Lecce propone ricorso L.D. con atto affidato a due motivi.

Resiste G.C. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sul rilievo per cui sarebbe da ritenere dimostrata l’avvenuta cessione della discoteca ad una terza persona, con conseguente esonero da ogni responsabilità; trattandosi del difetto di una delle condizioni dell’azione, spettava all’attore l’onere della prova sul punto, per cui il dubbio avrebbe dovuto comportare il rigetto della domanda.

1.1. Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata, infatti, con un accertamento motivato e non più modificabile in questa sede, ha affrontato la questione e, valutando le prove documentali e testimoniali, è pervenuta alla conclusione che il L. non aveva provato in modo adeguato l’integrale cessione dell’attività, per quella serata, compresa la gestione del parcheggio. Nessun dubbio, quindi, ha ritenuto sussistente la Corte d’appello in ordine al profilo della legittimazione e non può essere invocata la scorretta applicazione delle regole sull’onere della prova.

La censura, quindi, dietro l’apparente prospettazione della violazione di legge, si risolve nel tentativo di ottenere in questa sede un diverso e non consentito esame del merito.

2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 1766 c.c., in riferimento all’art. 1362 c.c..

La censura ha ad oggetto la qualificazione giuridica del contratto di parcheggio intercorso tra G.A. ed il gestore della discoteca, che la Corte d’appello ha ritenuto contratto con prevalenti elementi di deposito (e conseguente obbligo di restituzione) e che il ricorrente ritiene locazione di area, con conseguente esonero dalla responsabilità per il furto.

2.1. Il motivo, che presenta profili di inammissibilità, è comunque privo di fondamento.

Osserva il Collegio, innanzitutto, che la censura relativa alla violazione delle norme in materia di interpretazione dei contratti, peraltro solo genericamente invocata in questa sede, non è supportata da alcuna argomentazione ed è probabilmente, posta in questi termini, anche nuova, poichè non risulta che sia stata proposta in sede di merito.

Il problema, posto già in sede di merito, è quello della qualificazione del contratto. La Corte d’appello ha ritenuto che esso dovesse essere qualificato come contratto di deposito o, almeno, contratto atipico con elemento dominante costituito dall’obbligo di custodia e restituzione. A supporto di ciò, la sentenza ha precisato che il parcheggio era segnalato da una sbarra metallica e che i dipendenti della discoteca rilasciavano una contromarca, dietro pagamento di un prezzo, consentendo in tal modo l’accesso all’area; ed ha aggiunto che era stata dimostrata l’assenza di ogni cautela da parte del depositario, posto che la sbarra era sempre alzata, per cui l’accesso era libero. Non è chiaro dal testo della motivazione se vi fosse o meno il cartello che esonerava il gestore del parcheggio dalla responsabilità per furto; elemento, questo, sul quale il ricorrente insiste per ribadire la propria tesi, e cioè che si trattava non di parcheggio, ma di locazione di area. E’ certo, però, che il parcheggio era oneroso, come risulta dal fatto che si pagava un prezzo e che c’era il rilascio di una contromarca.

Trova applicazione, quindi, il precedente di cui alla sentenza 28 ottobre 2014, n. 22807, di questa Corte, secondo cui al contratto atipico di parcheggio si applicano le norme relative al contratto di deposito, sicchè il depositario assume verso il depositante l’obbligo di restituzione della cosa nello stato in cui è stata consegnata, nonchè, in caso di sottrazione, quello di risarcimento del danno, salvo che provi l’imprevedibilità e l’inevitabilità della perdita, nonostante l’uso della diligenza del buon padre di famiglia, e dunque la non imputabilità dell’inadempimento.

Rileva il Collegio, al riguardo, che la prova di tale imprevedibilità e inevitabilità non è stata nemmeno dedotta, per cui nessuna violazione di legge è configurabile.

3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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