Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9894 del 14/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 9894 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 6910-2012 proposto da:
HIRSCHLER MICHELE C.F. HRSMHL46E04L407R, elettivamente
domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326,
presso lo studio dell’avvocato RENATO SCOGNAMIGLIO,
che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PAOLO FERRARESI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

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contro

DARFO TRADE S.P.A. ora S.R.L. c.f. 02686770989, in
persona del legale rappresentante pro
elettivamente domiciliata

tempore,

in ROMA, VIA FEDERICO

Data pubblicazione: 14/05/2015

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI
MANZI, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato MARIA LUISA TERRIN, giusta delega in
atti;

controricorrente

di BRESCIA, depositata il 08/03/2011 R.G.N. 426/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

08/01/2015

dal

Consigliere

Dott.

GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato SCOGNAMIGLIO CLAUDIO per delega
verbale SCOGNAMIGLIO RENATO;
udito l’Avvocato TERRIN MARIA LUISA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA I che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 74/2011 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Hirschler Michele convenne in giudizio la Darfo Trade spa chiedendo
il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimo demansionannento

l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli; spiegava in
ricorso che, accanto alla funzione di Direttore Generale, aveva
ricoperto anche il ruolo di Amministratore Delegato, incarico in
prosieguo affidato ad altra persona, che già in precedenza lo aveva
rivestito, essendogli stata contestualmente riservata la carica di
Presidente del consiglio di amministrazione.
Radicatosi il contraddittorio, il Giudice adito respinse le domande.
La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 10.2-8.3.2011, per
quanto qui rileva, rigettò il gravame dell’Hirschler.
A sostegno del decisum la Corte territoriale, all’esito di analitica
disamina delle emergenze istruttorie, osservò quanto segue:
– una volta decisa la nomina del nuovo Amministratore Delegato, il
preteso demansionamento quale dirigente appariva null’altro che
l’effetto della ridistribuzione degli incarichi societari;
– ciò costituiva un’insindacabile scelta aziendale, che aveva
tuttavia al suo interno un correttivo, costituito dall’essere stata
riservata all’Hirschler un’importante posizione di garanzia, posto che
dalle missive concernenti i reciproci poteri risultava evidente che la
parte finanziaria della Società era rimasta appannaggio esclusivo
dello stesso Hirschler e che il nuovo Amministratore Delegato aveva
solo poteri di ordinaria amministrazione, riguardanti anche i contratti,

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asseritamente patito nella sua funzione di Direttore Generale e

la produzione e il settore commerciale, nel quale avrebbe dovuto
essere lasciato operare senza intralci; per contro, quale Presidente
del consiglio di amministrazione, all’Hirschler era attribuita una chiara

intervenire in caso di decisioni eccedenti l’ordinaria amministrazione;
– proprio dai documenti prodotti dallo stesso ricorrente
emergevano evidenti sia l’impossibilità di collaborazione tra i due, sia
il tentativo del dirigente di appigliarsi ad ogni minima questione,
anche irrilevante, per lamentarsi con la Società dell’Amministratore
Delegato, nell’evidente tentativo di ottenerne l’esautoramento;
– la contrapposizione frontale con l’Amministratore Delegato, al
quale la Società non poteva rinunciare, per ragioni connesse alla
situazione albanese, ove operava, aveva creato una sostanziale
paralisi e una situazione di forte disagio, oltre che un ostruzionismo
che non poteva che aggravare la situazione economica, impedendo
di arrivare allo scopo del risanamento e della vendita, che erano il
fulcro dell’incarico affidato all’Hirschler;
– già quanto emergente dalle mails prodotte in giudizio doveva
ritenersi sufficiente ad integrare la giustificatezza del licenziamento
dirigenziale, posto che ogni condotta idonea a mettere in crisi il
rapporto fiduciario con il dirigente e a creare sfiducia sul corretto
adempimento della volontà aziendale è sufficiente a motivare il
licenziamento per giusta causa;
– le contestazioni mosse dalla Società avevano inoltre trovato
conferma nelle prove testimoniali assunte, essendone risultato che la

funzione di raccordo con la Società e di garanzia, dovendo

situazione di contrapposizione, che aveva anche coinvolto altre
persone, aveva reso assolutamente impossibile gestire una realtà
aziendale nella quale chi aveva i pieni poteri della parte finanziaria

non voleva neppure tenere al corrente l’Amministratore Delegato di
quanto a sua conoscenza in ordine all’andamento della Società,
della quale era stato, a sua volta, Amministratore Delegato per oltre
un anno;
– quanto al dedotto demansionamento, doveva rilevarsi che lo
stesso ricorrente, nell’elencare i poteri che gli erano stati conferiti
inizialmente dall’Assemblea, aveva dato conto del fatto che si
trattava delle deleghe insite nel rapporto organico come
Amministratore delegato prima e Presidente del consiglio di
amministrazione poi, ma che non si trattava dell’elenco delle sue
mansioni dirigenziali, che, tra l’altro, dovevano estrinsecarsi anche
direttamente in favore della Dado Trade in Italia;
– contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, si trattava di due
distinti rapporti, sia dal punto di vista genetico, che cronologico: il
primo avente ad oggetto il rapporto di lavoro subordinato stipulato
con la Società controllante e il secondo il rapporto di
immedesimazione organica costituito successivamente, a seguito
della delibera assembleare della Società controllata del 28.6.2004;
quindi, la ridistribuzione degli incarichi attinenti al rapporto organico
tra Dado Albania ed il ricorrente, dovuto all’inserirsi di un nuovo
soggetto al quale veniva conferito l’incarico di Amministratore
Delegato, non aveva nulla a che vedere con il concetto di

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demansionamento, che doveva riguardare l’eventuale variazione
delle mansioni oggetto del contratto di lavoro;
– tutti i testi che potevano essere stati direttamente al corrente dei

questioni più delicate, e, in particolare, nelle trattative di vendita della
Società albanese, nelle problematiche riguardanti l’energia elettrica,
nelle vicende del comparto immobiliare, nella rappresentanza della
Società con banche, istituzioni ed enti pubblici, partecipando, tra
l’altro, agli incontri con l’Istituto per il Commercio Estero;
– era quindi risultato che, se un esautoramento vi era stato, si era
trattato di “una sorta di isolamento autoinflitto, un tentativo di mettere
la proprietà nelle condizioni di scegliere tra lui ed un soggetto più
discussd’, nel mentre, fino a che la scelta rimaneva nell’ambito delle

prerogative della proprietà aziendale e non travalicava i limiti della
correttezza e buona fede, il compito del dirigente non poteva che
essere quello della collaborazione;
non essendo risultato che in materia finanziaria o sulle trattative
di vendita l’Hirschler fosse mai stato esautorato dal nuovo
Amministratore Delegato, era evidente che non si poteva neppure
parlare di demansionamento.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Hirschler
Michele ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi
e illustrato con memoria.
L’intimata Darlo Trade spa ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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fatti avevano riferito che l’Hirschler era sempre stato coinvolto nelle

1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando vizio di
motivazione, si duole che la Corte territoriale non abbia valutato se
gli addebiti contestati fossero astrattamente idonei a costituire giusta

Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 2119 cc e
7 legge n. 300/70, il ricorrente deduce che la contestazione difettava
dei requisiti di specificità ed immediatezza e che con la lettera di
licenziamento era stato violato il principio di immodificabilità della
contestazione.
Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione, si
duole che la Corte territoriale non abbia spiegato come il suo
comportamento avesse aggravato la situazione economica ed
impedito di arrivare allo scopo del risanamento e della vendita,
senza peraltro esaminare, in merito al contrasto tra esso ricorrente e
il nuovo Amministratore Delegato, quale fosse stato il
comportamento di quest’ultimo.
Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione, si
duole che la Corte territoriale non abbia spiegato come la nomina di
un nuovo Amministratore Delegato, a cui era stata affidata la
gestione ordinaria dell’azienda, non fosse andata ad incidere
profondamente su quelle che erano le mansioni di esso ricorrente.
2.

La disamina del secondo motivo è logicamente prioritaria.

Lo stesso investe questioni che la sentenza impugnata non tratta, né
il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso
per cassazione, indica i tempi e i modi in cui le stesse sarebbero

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causa di licenziamento, ciò che, in effetti, andava escluso.

state sollevate nel primo grado di giudizio e, quindi, specificamente
devolute al Giudice del gravame; dal che discende l’inammissibilità
del mezzo, configurandosi la novità delle suddette questioni.

siccome fra loro connessi, deve rilevarsi che, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso per
cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di
legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale
sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il
profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale,
delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto
estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di
legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito
attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie.
Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della
omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi
sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito,
siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di
punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili
d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della
decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di
motivazione devono indicare quali siano gli elementi di
contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le

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3. Quanto ai restanti tre motivi, da esaminarsi congiuntamente

argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella
richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella
operata nella sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn.

15693/2004; 2357/2004; 16063/2003; 12467/2003; 3163/2002).
Al contempo va considerato che, affinché la motivazione adottata dal
giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente,
non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o
condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è
sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento,
dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le
argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr, ex plurimis,
Cass., n. 12121/2004; 24542/2009; 22801/2009; 19748/2011).
Nel caso all’esame la sentenza impugnata, all’esito di
un’accuratissima disamina delle risultanze documentali e
testimoniali, ha preso in considerazione, nei termini diffusamente
riportati nello storico di lite, tutte le circostanze rilevanti ai fini della
decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con
le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi
logici; le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state
tratte configurano quindi un’opzione interpretativa del materiale
probatorio del tutto ragionevole, che è espressione di una potestà
propria del giudice del merito, la quale non può essere sindacata nel
suo esercizio (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 14212/2010, 14911/2010).

824/2011; 13783/2006; 11034/2006; 4842/2006; 8718/2005;

In definitiva, quindi, le doglianze all’esame, peraltro tutte
caratterizzate da una sostanziale genericità, si sostanziano nella
critica della lettura delle risultanze istruttorie diversa da quella data

materiale probatorio, inammissibile in questa sede di legittimità.

4.

In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle
spese, che liquida in euro 6.100,00 (seimilacento), di cui euro
6.000,00 (seimila) per compenso, oltre spese generali 15% e
accessori come per legge.
Così deciso in Roma 1’8 gennaio 2015.

dal giudice del gravame e nella richiesta di un riesame di merito del

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