Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9890 del 14/05/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 9890 Anno 2015
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

ha pronunciato la seguente

contratti

SENTENZA
sul ricorso, inscritto al NRG 27770 del 2009, proposto da:
RUBERTO COSTRUZIONI s.n.c., in persona dell’amministratore e
legale rappresentante Giovanni Ruberto, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avv. Giuseppe Saitta, con domicilio eletto nello studio
dell’Avv. Massimo Mellaro in Roma, piazza S. Andrea della Valle, n. 3;
– ricorrente contro
CURIA ARCIVESCOVILE DI MESSINA, in persona dell’arcivescovo
pro tempore,

rappresentata e difesa, in forza di procura spe-

ciale a margine del controricorso, dagli Avv. Antonino De Luca
Zuccaro ed Ernesto De Luca;

47 3/

Data pubblicazione: 14/05/2015

- controricorrente –

e contro
PARROCCHIA MARIA SS. ASSUNTA e SAN GIUSEPPE di NIZZA di SICILIA, in persona del parroco pro tenore, rappresentata e dife-

dagli Avv. Antonino De Luca Zuccaro ed Ernesto De Luca;
– controricorrente e sul ricorso, inscritto al NRG 5794 del 2010, proposto da:

MAGNAGHI Renata, RUBERTO Giuseppe, RUBERTO Marina Maria Sandra, RUBERTO Maria Grazia, RUBERTO Laura, rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso,
dall’Avv. Pietro A. Scavello, elettivamente domiciliati presso
lo studio dell’Avv. Cecilia Reanda di Roma, via Salaria, n.
72;
– ricorrenti

contro
RUBERTO COSTRUZIONI s.n.c., in persona dell’amministratore e
legale rappresentante Giovanni Ruberto, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del controricorso,
dall’Avv. Giuseppe Saitta, con domicilio eletto nello studio
dell’Avv. Massimo Mellaro in Roma, piazza S. Andrea della Valle, n. 3;
– controricorrente –

nei confronti di

– 2

sa, in forza di procura speciale a margine del controricorso,

CURIA ARCIVESCOVILE DI MESSIMA, in persona dell’arcivescovo
pro tempore,

rappresentata e difesa, in forza di procura spe-

ciale a margine del controricorso, dagli Avv. Antonino De Luca
Zuccaro ed Ernesto De Luca;

e nei confronti di
PARROCCHIA MARIA SS. ASSUNTA e SAN GIUSEPPE di NIZZA di SICILIA, in persona del parroco pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del controricorso,
dagli Avv. Antonino De Luca Zuccaro ed Ernesto De Luca;
– cantroricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 381
del 25 maggio 2009.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 aprile 2015 dal Consigliere relatore Dott. Alberto
Giusti;
udito l’Avv. Pietro A. Scavello;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Alberto Celeste, che ha concluso per
l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto di entrambi
i ricorsi.
Ritenuto in fatto
1. – Con citazione del febbraio 1989, Nunzio Ruberto conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Messina, la s.n.c.
Ruberto Costruzioni.

– 3

– controricorrente

Esponeva l’attore di avere pattuito con la società convenuta, mediante scrittura privata del 26 settembre 1983, la cessione di un suo terreno edificabile in Nizza di Sicilia verso
il 30% della superficie di ciò che la stessa vi avrebbe edifiche la consegna avrebbe dovuto avvenire entro diciotto

mesi dall’autorizzazione del Genio civile all’inizio dei lavori; che la società avrebbe dovuto consegnargli una fideiussione bancaria a garanzia di un credito di lire 150.000.000 e si
era impegnata altresì ad eseguire i lavori di ristrutturazione
di una vecchia chiesa per chiudere una vertenza in corso; che,
non avendo la società adempiuto tali obblighi, con atto pubblico del 20 agosto 1985 egli aveva ad essa venduto il terreno
in questione, riservandosi la proprietà superficiaria di alcune realizzande unità abitative; che il prezzo di vendita indicato nell’atto (lire 90.000.000) non era stato in realtà corrisposto; che la società aveva ribadito il precedente impegno
a transigere una vertenza in corso con la Curia arcivescovile
di Messina, che vantava una presunta servitù di veduta sul
terreno in questione, ed a procedere alla ristrutturazione

cato;

della chiesa; che tali impegni non erano stati osservati.
Chiedeva pertanto che, dichiarato risolto il contratto di
vendita a causa del suddetto inadempimento, la società fosse
condannata al rilascio del fondo ed al risarcimento dei danni.
Si costituiva in giudizio la società convenuta che contestava la domanda, deducendo di avere tentato diligentemente di

– 4 –

cuk

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transigere la controversia con la Curia arcivescovile, se pure
senza esito, e di essere per questa ragione intervenuta nel
relativo giudizio, in conformità agli accordi;

che

non era

stato possibile iniziare i lavori in ragione della servitù di

veduta vantata dalla Curia; che pertanto doveva considerarsi
inadempiente il venditore, per avere ceduto un terreno gravato
da diritti di terzi e quindi inutilizzabile a scopo edificatorio. Chiedeva célmunque di essere autorizzato a chiamare in garanzia la Curia e la Parrocchia Maria SS. Assunta e San Giuseppe di Nizza di Sicilia. In via riconvenzionale, chiedeva la
condanna dell’attore,

della Curia e della Parrocchia al risar-

cimento dei danni

subiti

da essa società per effetto

dell’impossibilità di dare inizio ai lavori previsti.
Autorizzata la chiamata, si costituivano in giudizio entrambi gli enti religiosi, resistendo.

Sulla scorta della produzione documentale delle parti, il
Tribunale di Messina, con sentenza non definitiva n. 2630 del
14 ottobre 2004, accoglieva le domande del Ruberto, dichiarando risolto il contratto ed ordinando il rilascio del fondo,
mentre rigettava le domande della convenuta e disponeva la
prosecuzione del giudizio per la quantificazione del danno.
2. – La Corte d’appello di Messina, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 25 maggio 2009, in
parziale accoglimento del gravame proposto dalla s.n.c. ~arto Costruzioni ed in riforma della impugnata sentenza, ha ri-

– 5 –

o/h

-*;

gettato le domande proposte da Nunzio Ruberto, ed ha regolato
le spese del giudizio di appello, ponendo a carico di Nunzio
Rnberto la metà delle spese sostenute dalla società, previa
compensazione della restante parte, e condannando la società

dalla Parrocchia.
2.1. – La Corte ha escluso che possa essere addebitato alcun inadempimento alla società. Infatti il contratto – nel
quale il venditore aveva dato atto che era in corso una controversia con la Curia arcivescovile di Messina per presunte
servitù di veduta a carico del terreno venduto – prevedeva che
la società acquirente assumeva l’onere di transigere la vertenza con la Curia o di intervenire nel giudizio, salvo il diritto del venditore di proseguirlo o di esserne estromesso a
sua volta. E – ha proseguito la Corte d’appello – la corretta
interpretazione di tale enunciato comporta che l’oggetto del
contratto era costituito da due prestazioni – transazione o
intervento in giudizio – poste in condizione di reciproca parità. Per conseguire la liberazione dall’obbligo era pertanto
sufficiente l’esecuzione di una sola di esse: il che nella
specie era avvenuto, posto che la società si era tempestivamente costituita nel giudizio di negatoria servitutis già pendente davanti al Tribunale di Messina ed aveva gestito la lite, conseguendo una prima pronuncia favorevole, e si era ulteriormente costituita nel giudizio di appello, ed anche in que-

– 6

appellante al pagamento delle spese sostenute dalla Curia e

”..:

sto caso aveva ottenuto una pronuncia favorevole con sentenza
(depositata il 4 marzo 2003) divenuta definitiva a seguito di
omessa impugnazione.
Passando poi ad esaminare le domande risarcitorie (implici-

dell’accoglimento della domanda di risoluzione) proposte dalla
società nei confronti tanto del Ruberto

che degli enti reli-

giosi, la Corte d’appello le ha ritenute entrambe infondate.
Per quanto attiene agli enti religiosi cui la società ha
addebitato di avere ostacolato l’edificazione facendo valere,
in sede giudiziaria ed extragiudiziaria, un diritto di veduta
poi rivelatosi inesistente – la Corte d’appello ha osservato
che il comportamento consistente nell’agire o resistere in
giudizio costituisce espressione di un diritto costituzionalmente garantito e, come tale, inidoneo a costituire fonte di
responsabilità a meno che sussistano gli estremi della lite
temeraria, che però avrebbero dovuto essere rappresentati al
giudice competente. Quanto, poi, alla circostanza che detti
enti, a mezzo lettera, diffidarono la società dal porre in essere comportamenti lesivi del diritto suddetto, si tratta – ha
precisato la Corte territoriale – di circostanza inidonea a
provocare un impedimento all’edificazione ulteriore rispetto a
quello derivante dalla pendenza del giudizio. L’eventuale diniego di concessione edilizia non può essere ascritto alla
vertenza, ma solo al comportamento illegittimo del Comune: da-

– 7 –

tamente disattese dal primo giudice in dipendenza

to che il permesso di costruire avrebbe dovuto essere rilasciato “fatti salvi i diritti dei terzi”, l’eventuale esistenza della servitù non avrebbe dovuto costituire ostacolo al relativo rilascio, ove ne ricorressero i requisiti di legge.

ha in contratto lealmente comunicato alla controparte
l’esistenza della controversia giudiziale con gli enti ecclesiastici, di talché non ha affatto affermato la libertà del
fondo da pesi, vincoli o diritti reali di terzi.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello
hanno proposto ricorso:
– la società Ruberto Costruzioni, con atto notificato 1 1 11
dicembre 2009, sulla base di tre motivi; il ricorso è resistito dalla Curia e dalla Parrocchia;
– Renata Magnaghi, Giuseppe Ruberto, Marina Maria Sandra Ruberto, Maria Grazia Ruberto e Laura Ruberto, tutti coeredi del defunto Nunzio Ruberto, sulla base di cinque motivi; vi resistono, con separati controricorsi, la società
Ruberto Costruzioni, la Curia e la Parrocchia.
In prossimità dell’udienza la Magnaghi con gli altri litisconsorti, la Curia e la Parrocchia hanno depositato memorie
illustrative.
Considerato in diritto

– 8 –

Quanto al Ruberto, la Corte di Messina ha rilevato che egli

1. – Preliminarmente, i ricorsi devono essere riuniti, ai
sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., essendo entrambe le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza.
2. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione

dello stesso codice e all’art. 9 del decreto ministeriale n.
144 del 1968), la ricorrente società Ruberto Costruzioni deduce che, con sentenza n. 313 del 1998, resa in altro giudizio e
passata in giudicato,

il Tribunale di

Messina, ritenutane

l’irregolarità (per violazione del diritto dominicale del vicino), ha condannato la Parrocchia ad eliminare le vedute esercitate nello spiazzo antistante la facciata ovest della
chiesa sul terreno da essa acquistato ed a chiudere le altre
vedute aperte sulla facciata sud della medesima chiesa, nonché

ad eliminare – mediante arretramento dei parapetti – le altre
servitù di veduta esercitate da due terrazzini della canonica.
Tanto premesso, la ricorrente sostiene che la Corte d’appello
avrebbe dovuto considerare che l’accertata e protraentesi situazione di illegittimità comporta la sussistenza di un danno
in re ipsa, sicché il giudice di appello avrebbe dovuto accogliere la domanda risarcitoria.
Con il secondo motivo del medesimo ricorso si prospetta
violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 161 e 156
cod. proc. civ., nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc.
civ., in relazione all’art. 112 cod. proc. civ. Premesso che

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degli artt. 949 e 2043 cod. civ. in relazione all’art. 907

la Ruberto Costruzioni ha basato l’azione risarcitoria proposta esclusivamente sul fatto che le servitù di veduta illegittimamente esercitate dalla Parrocchia costituivano di per sé
sole circostanze idonee a determinare la sussistenza di pre-

giudizio risarcibile, la ricorrente afferma: che la società
non avrebbe potuto proporre istanza risarcitoria nell’altro
giudizio, se non altro perché il danno non era collegabile alla linea difensiva degli enti religiosi ma alla compressione
del diritto di proprietà; e che il rilascio, o meno, della
concessione edilizia era nella specie, in ogni caso, irrilevante, in quanto il consolidato possesso della servitù esercitato dalla Parrocchia avrebbe “bloccato” fondatamente, sin dal
loro inizio, i lavori di costruzione eventualmente intrapresi.
Con il terzo motivo del medesimo ricorso si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 132, 161 e 156 cod.
proc. civ., nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.,
in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., per la mancata ammissione di consulenza tecnica al fine di procedere alla determinazione del danno subito.
2.1. – Nessuno dei tre motivi del ricorso proposto dalla
Ruberto Costruzioni è accompagnato dalla formulazione del quesito di diritto, prescritta dall’art. 366-bis cod. proc. civ.
Alla stregua del principio generale di cui all’art. 11,
primo comma, disp. prel. cod. civ., secondo cui, in mancanza
di un’espressa disposizione normativa cont r aria, la legge non

– 10 –

ohi

dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonché del correlato specifico disposto del comma 5 dell’art. 58
della legge 18 giugno 2009, n. 69, in base al quale le norme
previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione

proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla
data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio
2009), l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi dell’art. 47 della citata legge n. 69 del
2009) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio
2006, n. 40) il citato art. 366-bis cod. proc. civ. è da ritenersi ancora applicabile (da ultimo, Cass., Sez. Un., l ° dicembre 2014, n. 25366).
Nella specie, dunque, i motivi di ricorso, proposti nei
confronti di sentenza depositata il 25 maggio 2009, e privi
della necessaria formulazione dei quesiti, sono inammissibili
ai sensi del pur abrogato art. 366-bis cod. proc. civ.
3. – Con il primo motivo, Renata Magnaghi e gli altri litisconsorti denunciano l’inammissibilità dell’appello e la
nullità della sentenza impugnata per vizio di ultrapetizione.
La Corte d’appello non avrebbe considerato che la citazione in
appello difettava di un requisito indispensabile, ossia
l’indicazione del petitum che consiste nella richiesta di an-

a 1,

nullamento e/o di riforma della sentenza avverso la quale si
propone gravame. La sentenza si sarebbe pronunciata su una domanda mai formalmente avanzata, incorrendo nel vizio di ultrapetizione ex art. 112 cod. proc. civ.

dalla conclusiva formulazione del quesito di diritto.
Invero, per costante giurisprudenza (da ultimo, Sez. Un.,
28 marzo 2015, n. 5743), il quesito di diritto di cui all’art.
366-bis cod. proc. civ. deve compendiare, oltre alla riassuntiva esposizione degli elementi di fatto, la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice del merito
e la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente,
si sarebbe dovuta applicare al caso di specie; inoltre, il
quesito di diritto non può essere desunto dal contenuto del
motivo, poiché in un sistema processuale che già prevedeva la
redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366-bis
cod. proc. civ. consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi autosufficiente
della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior
esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità. Il quesito, d’altra parte, non può consistere in una
semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero
interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propu-

– 12 –

Pt„,

3.1. – Il motivo è inammissibile, perché non corredato

.0

gnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo.
Va anche sottolineato che il motivo di ricorso per cassazione, soggetto al d.lgs. n. 40 del 2006, deve in ogni caso

neo, cioè tale da integrare il punto di congiunzione tra
l’enunciazione del principio giuridico generale richiamato e
la soluzione del caso specifico, anche quando, come nella specie, un error /n procedendo

sia dedotto in rapporto alla af-

fermata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (Cass., Sez.
V, 8 maggio 2013, n. 10758).
3.1.1. – In ogni caso – e per mera completezza – si rileva
che il motivo è manifestamente infondato.
Per stessa ammissione dei ricorrenti, l’atto di appello
della società Ruberto Costruzioni conteneva tutte le doglianze
avverso l’impugnata sentenza del giudice di primo grado e recava la richiesta di accoglimento delle domande, avanzate dalla convenuta in primo grado, di risarcimento del danno, e ciò
sia nei confronti del dante causa degli odierni ricorrenti,
sia della Curia e della Parrocchia, a causa della ritenuta impossibilità di procedere con la costruzione delle unità immobiliari previste nel rogito del 1985.
Tanto basta a ritenere ammissibile l’atto di impugnazione,
non essendo necessaria anche l’utilizzazione della formula
particolare della richiesta di riforma della sentenza di primo

– 13 –

concludersi con la formulazione di un quesito di diritto ido-

te.

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grado, essendo questa implicita nelle conclusioni di rigetto
della domanda dell’attore, vittorioso in primo grado, e di
condanna dello stesso attore e dei terzi chiamati al risarcimento del danno.

richiede la specificità dei motivi di appello, implica solo la
necessità che la manifestazione volitiva dell’appellante consenta di individuare con chiarezza le statuizioni investite
dal gravame e le specifiche critiche indirizzate alla motivazione che le sostiene, e non anche che siano adoperate formule
o schemi particolari nella esposizione dei motivi e delle domande dell’atto di appello, che è affidata alla capacità espressiva del difensore, al quale si

richiede

solo quella

chiarezza necessaria per la individuazione delle censure che
egli intende sottoporre al giudice di secondo grado (Cass.,
Sez. Il, 10 gennaio 1996, n. 169).
4. – Il secondo motivo lamenta omessa motivazione su un
punto decisivo della controversia, relativo
all’interpretazione del comportamento inadempiente della so-

Invero, la disposizione dell’art. 342 cod. proc. civ., che

cietà Ruberto Costruzioni.
Il terzo motivo denuncia omessa motivazione su un punto
della controversia, relativo all’interpretazione del rogito
del 1985.
4.1. – Il secondo ed il terzo motivo, con cui vengono prospettati vizi di motivazione, sono del pari inammissibili, in

– 14 –

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111.MPI

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quanto non accompagnati dalla adeguata formulazione del quesito di sintesi, anch’essa prescritta dall’art. 366-bis cod.
proc. civ.
Alla stregua della letterale formulazione del citato art.

che, a seguito della novella del 2006, nel caso previsto
dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., allorché, cioè, il ricorrente denunci la sentenza Impugnata lamentando un vizio
della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del
fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria e le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (da ultimo, Cass., Sez. Un., 18 ottobre
2012, n. 17838, e Cass., Sez. Un., 28 marzo 2015, n. 5743,
cit.).
Ciò importa, in particolare, che la relativa censura deve
contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da
non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso
e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio,
Cass., sez. un., l ° ottobre 2007, n. 20603).
Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente
che l’indicazione del fatto controverso e delle ragioni della

non adeguatezza della motivazione sia esposta nel corpo del

– 15 –

366-bis cod. proc. civ., questa Corte è ferma nel ritenere

motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, occorrendo a tal fine una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.
Nella specie il secondo ed il terzo motivo del ricorso,

privi di tale adeguato momento di sintesi, costituente un quid
pauris rispetto all’illustrazione del motivo, omettendo i ricorrenti di indicare – quanto alla parte conclusiva del secondo motivo (pag. 26) – in che cosa consistano “i fatti, così
come dimostrati dagli elementi probatori in primo grado”, che
la Corte d’appello non avrebbe considerato e che sarebbero
collidenti con il convincimento espresso dalla stessa Corte
territoriale; e limitandosi essi con il terzo motivo a dedurre, conclusivamente (pag. 30), che “La ratio decidendi della
Corte d’appello di Messina risulta, pertanto, priva di base
motiva”.
5. – Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge sulle regole del contratto di appalto (art.
1655 cod. civ.), con riguardo sia all’inadempimento
dell’obbligo di costruire, sia alla gestione del rischio.
Con il quinto mezzo gli eredi di Nunzio Ruberto denunciano
violazione degli artt. 1218, 1362, 1367, 1455 e 1655 cod. civ.
5.1. – Anche il quarto ed il quinto motivo – con cui vengono denunciati vizi riconducibili all’art. 360, n. 3) o n.

4),

cod. proc. civ. – sono inammissibili per la mancanza del

– 16 –

formulati ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sono totalmente

necessario quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod.
proc. civ.
6. – Il ricorso della società Ruberto Costruzioni è inammissibile.

indicati in epigrafe è del pari inammissibile.
7. – Le spese seguono la soccombenza.
Pertanto, la società Ruberto Costruzioni deve essere condannata al rimborso delle spese sostenute da ciascuno dei due
contro ricorrenti – la Curia e la Parrocchia -, spese liquidate come da dispositivo.
A sua volta, Renata Magnaghi ed altri sono tenuti al pagamento delle spese, liquidate come da dispositivo, sostenute
dalla società Rtiberto Costruzioni.
Nessuna statuizione sulle spese deve invece essere adottata in favore della Curia e della Parrocchia ed a carico di Renata Magnaghi ed altri nel ricorso proposto da questi ultimi.
Infatti, nel detto ricorso per cassazione (pagg. 50 e 51)
si dà puntualmente atto che “nessuna domanda hanno rivolto i
ricorrenti” nei confronti della Parrocchia e della Curia,
“chiamate in giudizio già in primo grado (solo) dalla società
resistente” e si precisa che “la notifica del presente ricorso

costituisce una mera denuntiatio litis”.
Al riguardo, va pertanto fatta applicazione del principio
secondo cui in un giudizio svoltosi con pluralità di parti in
,

– 17 –

Il ricorso di Renata Magnaghi e degli altri litisconsorti

cause scindibili ai sensi dell’art.332 cod. proc. civ., cioè
cause cumulate nello stesso processo per un mero rapporto di
connessione, la notificazione dell’impugnazione e la sua conoscenza assolvono alla funzione di

litis denuntiatio, così da

ti i gravami contro la stessa sentenza. In tal caso, pertanto,
il destinatario della notificazione non diviene per ciò solo
parte nella fase di impugnazione e, quindi, non sussistono i
presupposti per la pronuncia a suo favore della condanna alle
spese a norma dell’art. 91 cod. proc. civ. (Cass., Sez. III,
16 febbraio 2012, n. 2208).
PER QUESTI MOTIVI

La Corte, riuniti i ricorsi, così provvede:

dichiara

inammissibile

il ricorso della società Ruberto

Costruzioni;

dichiara inammissibile il ricorso di Renata ~laghi e de-

gli altri eredi di Nunzio Ruberto;
– condanna la società Ruberto Costruzioni al rimborso delle
spese sostenute dalla Curia arcivescovile di Messina e
dalla Parrocchia Maria SS. Assunta e San Giuseppe di Nizza di Sicilia, che liquida, per ciascun ente controricorrente, in complessivi euro 3.700, di cui euro 3.500 per
compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge;
– condanna Renata Magnaghl ed altri, in solido tra loro, al
rimborso delle spese sostenute dalla società Ruberto Coa

– 18 –

permettere l’attuazione della concentrazione nel tempo di tut-

struzioni, che liquida in complessivi euro 3.700, di cui
euro 3.500 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezio-

ne civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 aprile

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