Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9888 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 26/05/2020), n.9888

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3166-2018 proposto da:

Z.L., Z.T., ZU.LO., Z.M., quali eredi di

Z.G. nonchè della di lui madre D.P.I.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati STEFANO L. GAUDENZI, STEFANIA GAUDENZI;

– ricorrenti –

contro

Z.L., Z.T., ZU.LO., Z.M., quali eredi di

Z.G. nonchè della di lui madre D.P.I.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati STEFANO L. GAUDENZI, STEFANIA GAUDENZI;

– controricorrenti –

nonchè contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE IMOLA;

– intimata –

Nonchè da:

AZIENDA USL DI IMOLA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. COLOMBO 440,

presso lo studio dell’avvocato FRANCO TASSONI, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente incidentale –

contro

ZU.LO., Z.T., Z.L., Z.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1610/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2020 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza resa in data 6/7/2017, la Corte d’appello di Bologna, in accoglimento dell’appello proposto da Z.M., Z.L., Z.T. e Zu.Lo., quali eredi di Z.G., e in riforma della decisione di primo grado, ha condannato l’Azienda Usl di Imola al risarcimento, in favore delle controparti appellanti, dei danni dagli stessi rivendicati a seguito della vicenda in occasione della quale Z.G., loro congiunto, ricoverato all’interno della clinica psichiatrica gestita dall’amministrazione convenuta, aveva tentato il suicidio, provocandosi, per tale fatto, gravissimi danni alla salute che lo avrebbero condotto, a seguito dell’instaurazione del presente giudizio (iniziato da Z.G., mediante il proprio rappresentante legale, e proseguito dai suoi eredi), al relativo decesso;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato le ragioni della responsabilità dei sanitari della clinica psichiatrica, per aver colpevolmente trascurato di esercitare il dovuto controllo di Z.G. (già protagonista, in passato, di altri tentativi di suicidio) al fine di impedirne il compimento di gesti o atti autolesivi;

in forza di tale premessa, la corte d’appello ha quindi condannato l’amministrazione sanitaria responsabile della clinica psichiatrica al risarcimento dei danni rivendicati dalle controparti nel corso del giudizio;

avverso la sentenza d’appello, Z.M., Z.L., Z.T. e Zu.Lo. (quali eredi di Z.G. e della madre di quest’ultimo, D.P.I.) propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

l’Azienda Usl di Imola resiste con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale sulla base di tre motivi d’impugnazione;

i ricorrenti principali hanno depositato controricorso al fine di resistere al ricorso incidentale;

l’Azienda UsI di Imola ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, i ricorrenti principali censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla domanda proposta da D.P.I., madre di Z.G., al risarcimento dei danni subiti a seguito del decesso del figlio, avendo la stessa espressamente proposto tale domanda con la comparsa di costituzione nel giudizio (unitamente agli altri congiunti di Z.G.) prima del decesso di quest’ultimo intervenuto nel corso del giudizio di primo grado;

il motivo è infondato;

osserva il Collegio (in coerenza a quanto troverà conferma attraverso l’esame del primo motivo del ricorso incidentale) come l’oggetto dell’odierno processo sia costituito dalla sola domanda risarcitoria originariamente proposta da Z.G. (attraverso il relativo legale rappresentante) prima del suo decesso avvenuto nel corso del giudizio di primo grado;

è appena il caso di rilevare, al riguardo, come gli stessi ricorrenti, nel trascrivere l’integrale contenuto della comparsa con la quale gli stessi (in qualità eredi di Z.G.) sono intervenuti in giudizio (al fine di proseguirlo dopo il decesso di quest’ultimo), dimostrino che la domanda dagli stessi espressamente fatta propria fosse esattamente (e solo) quella diretta al risarcimento dei danni cagionati (in proprio) a Z.G., e non già ai suoi eredi iure proprio (v. pag. 9 del ricorso principale), con la conseguente esclusione di alcun dovere dei giudici di merito di pronunciare su eventuali domande proposte dagli eredi di Z.G. per il risarcimento dei danni subiti in proprio;

conseguentemente, si tratterà, nel caso di specie, non già di rilevare gli estremi dell’omessa pronuncia su una domanda asseritamente proposta da D.P.I. (in proprio), bensì di un eventuale mero errore materiale (nel caso emendabile, anche attraverso la corrispondente richiesta al giudice competente) consistito nella mancata trascrizione del nome di D.P.I. tra i soggetti in favore dei quali la corte d’appello ha pronunciato (in accoglimento della domanda originariamente proposta da Z.G.) la condanna dell’amministrazione sanitaria al risarcimento dei danni subiti iure ha ereditario dagli eredi del de cuius;

con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 32 Cost., dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 2043 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di riconoscere, in favore degli eredi di Z.G., il danno biologico pari al 100% di invalidità da quest’ultimo, incomprensibilmente ritenuto “eliso”, secondo la corte d’appello, dal riconoscimento, in capo agli appellanti, del danno c.d. parentale e dall’invalidità permanente temporanea, nonchè per aver omesso di riconoscere il risarcimento iure haereditario del danno morale c.d. soggettivo (c.d. danno catastrofale), nonostante la stessa corte d’appello avesse espressamente sottolineato la sostanziale percezione della propria sofferenza da parte della vittima;

il motivo è parzialmente fondato nei termini di seguito indicati;

varrà preliminarmente considerare come i giudici d’appello abbiano correttamente contenuto la liquidazione del danno biologico sofferto dal de cuius, prima del relativo decesso, nell’importo corrispondente all’invalidità temporanea totale commisurata a tutti i giorni intercorrenti tra l’atto suicidario e il decesso;

al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, ai fini della liquidazione del danno biologico, l’età, in tanto assume rilevanza, in quanto col suo avanzamento diminuisce l’aspettativa di vita, sicchè è progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica;

da tale premessa consegue che, quando la durata della vita futura cessa di essere un valore ancorato alla probabilità statistica, divenendo un dato noto per essere il soggetto deceduto, allora il danno biologico (riconoscibile tutte le volte che la sopravvivenza sia durata per un tempo apprezzabile rispetto al momento delle lesioni) va correlato alla durata della vita effettiva, essendo lo stesso costituito dalle ripercussioni negative (di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica) della permanente lesione della integrità psicofisica del soggetto per l’intera durata della sua vita residua (Sez. 3, Sentenza n. 22338 del 24/10/2007, Rv. 599941 – 01);

ciò posto, andrà peraltro considerato come, nel caso di specie, effettivamente, i giudici d’appello abbiano (sia pure incidentalmente) sottolineato, in modo espresso e inequivoco, come Z.G. avesse in qualche modo percepito il senso della propria sofferenza di persona in stato di coma, al punto da affermare come il lungo tempo trascorso in coma abbia “attenuato” la sostanziale percezione della sofferenza da parte della vittima (v. pag. 10);

tale rilievo, pertanto, vale ad attestare come il giudice a quo abbia effettivamente riconosciuto il ricorso di detta percezione di sofferenza da parte di Z.G., con la conseguenza che, di detta ammessa sofferenza soggettiva percepita, il giudice di merito avrebbe dovuto tener conto nella liquidazione del c.d. danno catastrofale (subito dal de cuius e) trasmesso, iure haereditario, agli odierni ricorrenti, in conformità al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, sensi del quale, in caso di decesso non immediato della vittima di un illecito, al danno biologico terminale, consistente in un danno da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofale), sicchè, mentre nel primo caso la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, nel secondo la natura peculiare del danno rende necessaria una liquidazione affidata ad un criterio equitativo puro che tenga conto dell’enormità della sofferenza psichica, giacchè tale danno, ancorchè temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità e la durata della consapevolezza della vittima non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità, ma soltanto sul piano della quantificazione del risarcimento secondo criteri di proporzionalità e di equità (Sez. 3, Ordinanza n. 16592 del 20/06/2019, Rv. 654294 – 01);

con il terzo motivo, i ricorrenti principali censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale liquidato in modo erroneo il danno parentale riconosciuto in favore degli odierni ricorrenti, attraverso un’ingiustificata riduzione del 50% del minimo della forbice prevista dalle tabelle elaborate presso il Tribunale di Milano, senza alcuna adeguata, logica o plausibile giustificazione;

il motivo è infondato;

al riguardo, è sufficiente ribadire quanto già rilevato in corrispondenza all’esame del primo motivo del ricorso principale, là dove, avendo riconosciuto l’identificazione dell’oggetto dell’odierno giudizio nella sola domanda illo tempore introdotta da Z.G. (proseguita dai suoi eredi attraverso la rivendicazione dei danni trasmessi iure haereditario dall’originario attore), risulta evidente che nessun risarcimento del danno parentale subito iure proprio dai congiunti di Z.G., potrà mai essere liquidato in questa sede;

con il primo motivo del ricorso incidentale, l’Azienda Usl di Imola censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale riconosciuto il risarcimento del danno parentale in favore delle controparti oltre i limiti della domanda proposta nell’odierno giudizio, non avendo i congiunti di Z.G. mai rivendicato la liquidazione, in proprio favore, di danni patiti iure proprio, bensì il solo riconoscimento, iure ha ereditario, dei danni subiti personalmente dal de cuius;

il motivo è fondato;

sul punto, è appena il caso di richiamare quanto rilevato in corrispondenza del primo motivo del ricorso principale, là dove si è evidenziato come l’oggetto dell’odierno giudizio debba correttamente ritenersi contenuto al domandato risarcimento dei danni sofferti da Z.G.: petitum fatto proprio dai relativi eredi a seguito del decesso di quello (attraverso la liquidazione, in proprio favore, di quanto agli stessi spettante iure haereditario), in conformità a quanto rilevabile dalla comparsa di costituzione in prosecuzione illo tempore depositato dagli odierni ricorrenti;

con il secondo motivo, la ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 345 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente disatteso l’eccezione di improcedibilità dalla stessa sollevata in primo grado, là dove veniva contestato, agli eredi di Z.G., la carenza (o comunque la mancata prova) dello status di eredi dell’originario attore deceduto in corso di causa;

il motivo è inammissibile;

osserva sul punto il Collegio come la corte territoriale abbia espressamente sottolineato l’infondatezza dell’eccezione in esame sulla base del congiunto esame degli elementi presuntivi integrati: 1) dalla natura dell’incontestato rapporto parentale tra gli odierni ricorrenti e il de cuius; 2) dalla mancanza di coniuge e di figli di Z.G., e 3) dal compimento, da parte degli odierni ricorrenti principali, di un atto (la costituzione in giudizio al fine di rivendicare un diritto del de cuius) che gli stessi non avrebbero avuto il diritto di compiere se non in qualità di eredi, da tanto desumendo, in ogni caso, l’avvenuta manifestazione tacita della volontà di accettare un’eredità agli stessi comunque devoluta per legge;

ciò posto, l’odierna censura della ricorrente incidentale si risolve nella rivendicazione di una rilettura nel merito dei fatti di causa, come tale inammissibile in questa sede;

con il terzo motivo, la ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata, in via condizionata rispetto all’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, denunciando la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 1223 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 4), per avere la corte territoriale dettato una motivazione illogica e meramente apparente con riguardo all’affermazione dell’avvenuta elisione del danno biologico sofferto da Z.G. per effetto del riconoscimento del danno parentale, e non invece dal riconoscimento dell’importo corrispondente all’intero periodo di invalidità temporanea totale sofferto dal medesimo Z.G., dalla stessa corte d’appello già liquidato;

il motivo (in ogni caso fondato) deve ritenersi assorbito dalla riconosciuta infondatezza della censura articolata dai ricorrenti principali con riguardo alla liquidazione del danno biologico in favore degli stessi, correttamente operata dal giudice a quo mediante la commisurazione di detto danno agli importi corrispondenti all’intero periodo di invalidità temporanea totale sofferto da Z.G.;

sulla base delle considerazioni che precedono, rilevata la fondatezza del secondo motivo del ricorso principale e del primo motivo del ricorso incidentale, disattesi i restanti motivi, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale e, disattesi tutti i restanti motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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