Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 988 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. I, 20/01/2021, (ud. 06/11/2020, dep. 20/01/2021), n.988

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14480/2016 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Bruno

Buozzi n. 87, presso lo studio dell’avvocato Colarizi Massimo, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Pedoja Michele,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca della Marca Credito Cooperativo Soc. Coop., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Sistina n. 42, presso lo studio dell’avvocato Galoppi

Giovanni, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

Corletto Paolo, Lillo Antonella, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.D.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2787/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/11/2020 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Banca di Credito Cooperativo della Marca soc. coop. a r.l. otteneva dal Tribunale di Treviso un decreto ingiuntivo per gli importi di Euro 12.714,86 e di Euro 694.537,02, asseritamente maturati a suo credito per due saldi di conto corrente: il decreto era pronunciato nei confronti della debitrice principale, Diesse s.p.a., e dei garanti D.D.D. e S.G..

Quest’ultima svolgeva opposizione proponendo contestualmente querela di falso avverso la “lettera di fideiussione” posta a fondamento della pretesa azionata nei propri confronti.

La banca si costituiva in giudizio dichiarando di volersi avvalere del documento e opponeva l’inammissibilità della querela perchè proposta in una ipotesi di riempimento del documento contra pacta; chiedeva inoltre l’autorizzazione alla chiamata in causa di D.D.D., che veniva disposta. A seguito della evocazione in giudizio, questo restava contumace.

Il Tribunale riservava la questione relativa all’ammissibilità della querela e ammetteva l’interrogatorio formale di D.D., richiesto dall’attrice; quindi disponeva consulenza tecnica d’ufficio onde verificare se le parti manoscritte da S.G. nei due documenti prodotti in giudizio fossero il prodotto di un’unica azione e se, in conseguenza, potesse dirsi che la scrittura versata in atti dall’opponente fosse da considerare la fotocopia di quella prodotta dalla banca. A seguito del deposito dell’elaborato peritale, il Tribunale di Treviso dichiarava la falsità del documento oggetto della querela, siccome parzialmente riempito absque pactis: la falsificazione era accertata avendo particolare riguardo al riempimento del documento nelle parti in cui era indicato l’importo garantito (Euro 850.000,00) e individuato l’obbligato principale (la società Diesse 85).

2. – La banca proponeva appello e, nella resistenza di S.G., la Corte di Venezia, con sentenza del 4 dicembre 2015, riformava la sentenza impugnata rigettando la querela di falso proposta dall’appellata. Il giudice del gravame rilevava essere stata dimostrata l'”inesistenza del presupposto della querela di falso ovvero il riempimento in assenza di patti”. Osservava, in particolare, che il disposto interrogatorio formale aveva dato riscontro di un accordo tra S.G. e il marito: questi aveva infatti dichiarato di aver garantito alla moglie che il foglio in bianco da lei sottoscritto sarebbe stato utilizzato all’occorrenza per una fideiussione di non oltre Euro 20.000,00 e a favore di se stesso: ne ricavava che il riempimento non avrebbe potuto considerarsi absque pactis. Escludeva, comunque, che S.G. avesse apposto la firma su di un modulo di fideiussione non recante l’indicazione del beneficiario e dell’importo garantito: sul punto la Corte richiamava le risultanze della deposizione testimoniale della direttrice della banca, che si era recata presso l’abitazione della querelante per raccogliere la sottoscrizione del documento e poneva in evidenza le incongruenze che, a suo avviso, evidenziava l’elaborato peritale (nel quale era affermata l’identità tra la copia del documento ricevuta da S.G. e l’originale della lettera di fideiussione prodotta in giudizio dalla banca).

3. – Avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia S.G. ricorre per cassazione facendo valere cinque motivi di impugnazione. Resiste con controricorso Banca di Credito Cooperativo della Marca. Ricorrente e controricorrente hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente oppone la violazione o falsa applicazione dell’art. 2702 c.c., artt. 222 e 157 c.p.c.. Sostiene che l’istituto di credito era decaduto, per tacita rinuncia, dalla facoltà di eccepire l’inammissibilità della proposta querela di falso e che la banca avrebbe dovuto impugnare anche l’ordinanza del Tribunale di Treviso, sezione distaccata di Conegliano, che aveva disposto la sospensione necessaria del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo per consentire la proposizione della querela di falso avanti al Tribunale di Treviso in composizione collegiale. E’ dedotto che tale inammissibilità avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio dal giudice di appello.

Il motivo è infondato.

In linea di principio, al collegio investito della decisione sulla proposta querela di falso non può dirsi precluso il riesame circa la sussistenza delle condizioni di ammissibilità della stessa. Benchè, infatti, il dettato normativo affidi all’istruttore il giudizio sulla rilevanza processuale dell’atto inciso dalla querela e sull’ammissibilità della proposizione della stessa, non è vietato al collegio il riesame dei presupposti suddetti, atteso che l’ordinanza dell’istruttore, non suscettibile di passare in giudicato, può essere riesaminata, sia in ordine ai requisiti formali che nel merito della rilevanza dei documenti impugnati di falso, ai sensi dell’art. 178 c.p.c., comma 1, dal collegio, in sede di decisione della causa (Cass. 22 gennaio 2010, n. 1110; cfr. pure Cass. 5 luglio 1979, n. 3848, secondo cui, in tema di querela di falso, al giudice del rescissorio spetta, oltre all’accertamento della dedotta falsità, anche il riesame dei presupposti circa l’utilità e l’interesse alla pronuncia sulla falsità, riesame che non è precluso dal provvedimento ammissivo della querela di falso, non potendo tale provvedimento, per la sua natura di ordinanza, passare in cosa giudicata).

Nel caso in esame, oltretutto, il giudice istruttore presso la sede centrale del Tribunale di Treviso, cui il giudice presso la sezione distaccata aveva rimesso il giudizio sulla falsità del documento, riservò al collegio “ogni decisione sull’eccepita inammissibilità della querela”.

Non appare del resto concludente la deduzione della ricorrente circa una decadenza della banca, per tacita rinuncia, dalla facoltà di eccepire l’inammissibilità della querela. Anzitutto – lo si è appena detto – l’istruttore chiamato a pronunciarsi sull’ammissibilità non ebbe a esprimersi sul punto, ma rimise la relativa decisione al collegio, a norma dell’art. 187 c.p.c.. In secondo luogo, va comunque osservato che se al collegio è sempre consentito di verificare, d’ufficio, la sussistenza delle condizioni di ammissibilità della querela, deve escludersi che il giudizio sulla concorrenza delle dette condizioni possa trarre impedimento dalla mancata proposizione di un’eccezione di parte.

Nè coglie nel segno il rilievo per cui la banca, per contestare l’ammissibilità della querela di falso, avrebbe dovuto impugnare col regolamento di competenza il provvedimento con cui il giudice presso la sezione distaccata di Conegliano aveva sospeso il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo onde consentire la proposizione della querela di falso. Infatti, è inammissibile il regolamento di competenza, su istanza del proponente la querela di falso avverso il provvedimento di sospensione del processo reso dal medesimo giudice, diretto a far valere l’inammissibilità della querela, atteso che il controllo di legittimità, in tale ipotesi, è limitato alla verifica dell’avvenuta proposizione di querela di falso e all’accertamento che la disposizione non sia stata abusivamente invocata, spettando al giudice della querela l’esame delle questioni procedurali o sostanziali attinenti alla stessa (Cass. 30 settembre 2015, n. 19576, con riferimento al caso di sospensione disposta dal giudice di pace ex art. 313 c.p.c.).

2. – Il secondo mezzo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2702 c.c. e art. 221 c.p.c. e ss.. Posto che la querela di falso è necessaria solo nel caso in cui il riempimento di un foglio firmato in bianco avviene in assenza di un preventivo accordo o contro un preventivo accordo, viene rilevato che “tale accordo deve necessariamente intercorrere tra le parti contraenti della scrittura privata oggetto di querela di falso e non tra una delle parti che sottoscrivono l’accordo e un terzo”. Deduce l’istante che l’unico accordo emerso dall’esperita istruttoria era quello intercorso tra la stessa S. e l’ex marito D.D.D., avente ad oggetto la prestazione di garanzia in favore di quest’ultimo dell’importo di Euro 20.000,00; nessun accordo era invece mai intercorso con la banca, e men che meno con il direttore della filiale presente al momento della sottoscrizione della lettera di fideiussione.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Secondo la ricorrente la Corte di merito avrebbe omesso di considerare “la macroscopica difformità tra convenzione e dichiarazione, assolutamente decisiva per poter sussumere la fattispecie concreta oggetto di controversia nel paradigma della querela di falso”.

Il quarto motivo censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 115,116 c.p.c. e art. 201 c.p.c. e ss.. Viene lamentato che la Corte di appello abbia disatteso le argomentazioni del consulente tecnico d’ufficio, basate su accertamenti e prove tecniche, senza motivata contestazione delle ragioni sulle quali era basata l’opinione dell’esperto, e acriticamente recepito le considerazioni svolte dal consulente tecnico di parte. E’ spiegato, inoltre, che la Corte di appello si era basata sulle dichiarazioni testimoniali rese dalla direttrice della filiale, le quali, però, contrastavano palesemente con le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale da D.D.D..

Col quinto motivo viene denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Assume l’istante che la Corte di Venezia aveva mancato di considerare l’obiettiva inverosimiglianza del fatto che un direttore di banca si recasse presso l’abitazione di un privato cittadino per ottenere la sottoscrizione di una fideiussione bancaria in favore di un congiunto e per l’importo di soli Euro 20.000,00. Il giudice distrettuale avrebbe inoltre ignorato il fatto che essa ricorrente, una volta ricevuta la notifica del provvedimento monitorio fondato sulla fideiussione di Euro 850.000,00, aveva richiesto e ottenuto la separazione giudiziale con addebito al marito.

Gli ultimi tre motivi, che sono tra loro connessi, possono esaminarsi unitamente al secondo per ragioni di continuità espositiva. Ciò premesso, è senz’altro vero che l’accordo che vale a qualificare il riempimento del foglio firmato in bianco come attuato contra pacta – accordo che esclude la necessità della proposizione della querela di falso (per tutte: Cass. 7 marzo 2014, n. 5417; Cass. 16 dicembre 2010, n. 25445) – è quello che intercorre tra coloro che figurano come sottoscrittori della scrittura privata: sicchè ha errato la Corte di merito nel conferire rilievo al patto di riempimento che sarebbe intercorso tra la ricorrente e il di lei marito, che era estraneo al contratto di fideiussione concluso dalla stessa S. con la Banca della Marca. E’ altrettanto vero, però, che la Corte di appello, dopo aver impropriamente affermato che l’accordo tra l’istante e il coniuge valeva a qualificare l’abuso come contra pacta, ha accertato che il documento sottoposto alla sottoscrizione della prima risultava essere integralmente compilato, con l’indicazione del beneficiario e dell’importo (avendo cioè riguardo agli elementi di cui era stato lamentato l’abusivo inserimento). In definitiva, dunque, il giudice distrettuale ha appurato come nella circostanza non fosse stato posto in essere alcun riempimento dello scritto, contra pacta, o absque pactis, negando, a monte, che la redazione del documento fosse stata completata in un momento successivo a quello in cui S.G. lo aveva sottoscritto.

L’accertamento posto in essere dalla Corte di merito verte, naturalmente, su circostanze di fatto e non è stato efficacemente censurato in questa sede.

Deve anzitutto escludersi che ricorra l’omesso esame di cui al terzo motivo: la difformità tra quanto asseritamente convenuto tra la ricorrente e il marito e quanto era rappresentato dal documento contrattuale non integra il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la Corte di merito ha reputato assorbente, sul piano probatorio, le risultanze della deposizione della direttrice della filiale. Ora, la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (così, da ultimo, Cass. 4 luglio 2017, n. 16467) e dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 31 luglio 2017, n. 19011; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 21 luglio 2010, n. 17097). Ne discende che alla circostanza indicata, proprio perchè suscettibile di prudente apprezzamento, insieme alle altre sottoposte al vaglio del giudice del merito, non può conferirsi rilievo decisivo.

D’altro canto, una censura, quale quella sollevata col quarto motivo, relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (Cass. 17 gennaio 2019, n. 1229; Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000). All’istante non è consentito, in particolare, di dolersi del fatto che la Corte di appello abbia disatteso le risultanze della consulenza tecnica: infatti, le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice ed egli può legittimamente disattenderle – come nella specie è avvenuto – attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti logicamente motivata (Cass. 3 marzo 2011, n. 5148; Cass. 13 settembre 2006, n. 19661). La pronuncia non è nemmeno viziata nella parte in cui il giudice del gravame ha attribuito prevalenza alle dichiarazioni rese dalla direttrice della filiale rispetto a quelle rilasciate, in sede di interrogatorio formale, dal marito della ricorrente; la Corte ha infatti spiegato che quest’ultimo mezzo di prova era inammissibile dal momento che l’interrogatorio formale può essere disposto solo ad istanza della parte contrapposta a quella da interrogarsi: affermazione, questa, sicuramente corretta. E infatti, l’interrogatorio formale reso in un processo con pluralità di parti, è volto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli alla parte confitente e favorevoli al soggetto che si trova, rispetto ad essa, in posizione antitetica e contrastante (Cass. 12 ottobre 2015, n. 20476; Cass. 24 febbraio 2011, n. 4486; Cass. 3 dicembre 2004, n. 22753; Cass. 16 novembre 1981, n. 6072; Cass. 10 gennaio 1972, n. 65; così, ad esempio, in materia risarcitoria, le dichiarazioni del chiamato in garanzia ammissive di fatti sfavorevoli alla parte convenuta possono avere valore confessorio nell’ambito del rapporto derivato di garanzia, ma non anche in quello principale di natura risarcitoria, instaurato tra il danneggiato e il responsabile del danno: Cass. 15 dicembre 2003, n. 19189). Le dichiarazioni di cui qui si dibatte non potevano dunque rivestire efficacia confessoria in favore dell’odierna istante, visto che D.D. non era la controparte della stessa S., rivestendo, piuttosto, la qualità di terzo chiamato in causa dalla banca convenuta.

Non hanno fondamento, da ultimo, le doglianze ex art. 360 c.p.c., n. 5 sollevate col quinto motivo. Quanto alle ragioni che possono avere indotto la direttrice della filiale a recarsi presso l’abitazione dei coniugi, lo stesso dato dell'”inverosimiglianza” della circostanza fatta valere a fondamento della censura di omesso esame ne svela la sostanziale inconsistenza (visto che competeva al giudice di merito formulare giudizi in tema di plausibilità). Non appare poi decisivo, quale espressione dell’attendibilità della versione fornita dalla ricorrente, nemmeno il dato della richiesta di separazione giudiziale dal marito che questa avrebbe avanzato una volta ricevuto il provvedimento monitorio: peraltro, la detta censura risulta pure carente di autosufficienza, in quanto nel corpo del motivo non si indica, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui il fatto suddetto risulti esistente, nè il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).

3. – In conclusione, il ricorso è respinto.

4. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 6 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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