Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9879 del 23/04/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9879 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: BLASUTTO DANIELA

ORDINANZA
sul ricorso 21897-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, STUMPO VINCENZO, TRIOLO VINCENZO,
DE ROSE EMANUELE, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro
SOCCIO PASQUALE;
– intimato —

Data pubblicazione: 23/04/2013

avverso la sentenza n. 4655/2010 della CORTE D’APPELLO di
BARI del 21.9.2010, depositata il

09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
21/03/2013 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito per il ricorrente l’Avvocato Antonietta Coretti che si riporta agli

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIULIO
ROMANO che si riporta alla relazione scritta.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso al Tribunale di Lucera, Soccio Pasquale, operaio agricolo a
tempo determinato, aveva convenuto in giudizio l’Inps, chiedendo
venisse accertato il suo diritto alla differenza dell’indennità di
disoccupazione per l’anno 1998; il ricorrente – premesso che il
trattamento di disoccupazione gli era stato corrisposto dall’Istituto
sulla base del salario medio convenzionale congelato all’anno 1995 sosteneva che il medesimo trattamento doveva essere invece calcolato,
ai sensi del D. Lgs. n. 146 del 1997, art. 4, sui minimi retributivi
previsti dalla contrattazione collettiva provinciale, ivi compreso
l’elemento denominato t.f.r., con conseguente diritto alle differenze tra
quanto spettante e quanto percepito.
La domanda è stata accolta dal giudice di primo grado, la cui decisione
è stata confermata dalla Corte d’appello di Bari, con sentenza
depositata 11 28 settembre 2010.
Avverso detta sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione notificato il 15 settembre 2011 – con due motivi.
La parte intimata non si è costituita in questa sede.
È stata depositata relazione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c…
Ritiene il Collegio che le conclusioni e le argomentazioni della
relazione debbano essere condivise.
Ric. 2011 n. 21897 sez. ML – ud. 21-03-2013
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scritti.

Col primo motivo, l’Istituto denuncia la violazione dell’art. 47 D.P.R
30 aprile 1970 n. 639 e successive modificazioni.
Col secondo motivo l’Istituto ricorrente, lamentando violazione degli
artt. 46, 51 e 55 del CCNL per gli operai agricoli e florovivaisfi del
2002 in relazione all’art. 6, comma 4°, lettera a) del d.lgs. n. 314/97

commi 10 0 e 11 0 legge 297/82, censura, in via logicamente
subordinata, la sentenza unicamente per avere incluso nella
retribuzione da prendere a base per la liquidazione dell’indennità di
disoccupazione anche la voce denominata “quota di TFR”, la quale
invece non dovrebbe esserlo, per avere essa — contrariamente a quanto
affermato la Corte territoriale — effettiva natura di retribuzione
differita.
Il ricorso è manifestamente infondato nel primo motivo e
manifestamente fondato nel secondo.
Va premesso che l’originario testo dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970
n. 639 stabiliva quanto segue.
“Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione
dinanzi all’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 459 e ss. cod. proc.
civ.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di dieci anni
dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso
pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza
del termine stabilito per la pronunzia della decisione medesima, se
trattasi di controversie in materia di trattamenti pensionistici.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di cinque anni
dalle date di cui al precedente comma se trattasi di controversie in
materia di prestazioni a carico dell’assicurazione contro la tubercolosi e
dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria”.
Ric. 2011 n. 21897 sez. ML – ud. 21-03-2013
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nonché in relazione agli artt. 1362 e ss., 2120 cod. civ. ed all’ artt. 4

Col successivo art. 6 del D.L. 29 marzo 1991 n. 103, convertito con
modificazioni nella legge 10 giugno 1991 n. 166, ritenuto da Corte
Cost., con la sent. n. 246 del 1992, di interpretazione autentica dell’art.
47 D.P.R. n.639/70, venne poi stabilito:
“1 — I termini previsti dall’art. 47, commi secondo e terzo del D.P.R.

diritto alla prestazione previdenziale . la decadenza determina
l’estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e
l’inammissibilità della relativa domanda giudiziale. In caso di mancata
proposizione del ricorso amministrativo, i termini decorrono
dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei.
2 — Le disposizioni di cui al comma precedente hanno efficacia
retroattiva, ma non si applicano ai processi che sono in corso alla data
di entrata in vigore del presente decreto”.
Con l’art. 4 del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, i commi secondo e
terzo del citato art. 47 sono stati successivamente sostituiti dai
seguenti:
“Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici, l’azione
giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine
di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso
pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza
del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione ovvero
dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del
procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di
presentazione della richiesta di prestazione.
Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all’art.
24 della legge 9 marzo 1989 n. 88, l’azione giudiziaria può essere
proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di
cui al precedente comma”.
Ric. 2011 n. 21897 sez. ML – ud. 21-03-2013
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30 aprile 1970 n. 639 sono posti a pena di decadenza per l’esercizio del

L’ultimo comma dell’art. 4 ha poi stabilito che le disposizioni indicate
“non si applicano ai procedimenti istaurati anteriormente alla data di
entrata in vigore del presente decreto ancora in corso alla medesima
data”.
Infine, recentemente, l’art. 38, primo comma, lett. d) del D.L. 6 luglio

al citato art. 47 un ultimo comma, del seguente tenore: “Le decadenze
previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni
giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute
solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il
termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della
prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, precisando al quarto
comma che “Le disposizioni di cui al comma 1, lett. c) e d) si applicano
anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore
del presente decreto”.
Questo essendo il quadro di riferimento normativo, la giurisprudenza
consolidata, pur tra frequenti contrasti, di questa Corte (da ultimo,
sulla base di Cass. S.U. 29 maggio 2009 n. 12720 – che ribadisce le tesi
della precedente Cass. S.U. 18 luglio 1996 n. 6491-,

dì., ad es., Cass. 20

gennaio 2010 n. 948 e 26 gennaio 2010 n. 1580) era, per quanto qui
interessa e fino alla citata recente novella del 2011, nel senso della
inapplicabilità della decadenza alle domande di adeguamento di
prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente
dall’ente previdenziale.
Infatti, le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 12720 del 29
maggio 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto
nell’ambito della sezione lavoro, avevano affermato che “La decadenza

di cui al D.P.R 30 aprile 1970, n. 639, art. 47- come inteTretato dal D.L 29
mago 1991, n. 103, art. 6, convertito, con modificnioni, nella L 1 giugno
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2011 n. 98, convertito in legge n. 111 del medesimo anno, ha aggiunto

1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda
giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla
prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento di detta
prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene
nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate

quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria
prescrizione decennale”.
Recentemente, peraltro, la questione era stata nuovamente rimessa da
un collegio della sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria
depositata il 18 gennaio 2011, n. 1071, alle sezioni unite di questa
Corte, sulla base del rilievo che l’interpretazione prevalente non
apparirebbe giustificata dal tenore letterale e dalla considerazione delle
finalità della norma, la quale riguarderebbe viceversa ogni tipo di
azione in materia di prestazioni previdenziali.
Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione alle sezioni
unite della Corte e la data dell’udienza avanti a queste ultime, la citata
novella di cui all’art. 38, primo comma, lett. d) del recente D.L. 6 luglio
2011 n. 98, convertito in legge n. 111/’11, è stata quindi disposta la
restituzione degli atti alla sezione lavoro, sulla base della
considerazione della necessità di valutare la persistenza del proposito
di investire della questione le sezioni unite, alla luce della valutazione
della eventuale incidenza delle norme di legge citate sulla
interpretazione del l’art. 47, vigente prima di essa.
Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova disciplina,
esprimendo il proposito del legislatore di modificare in materia, con
una limitata efficacia retroattiva, la regola preesistente, quale
consolidatasi per effetto delle recente pronuncia delle sezioni unite del
2009, conferma indirettamente la corrispondenza di quest’ultima
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interpretazioni della normativa legale e ne abbia disconosciuto una componente, nei

all’originario contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla novella
del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle sezioni unite della
Corte e l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente dallo
stesso legislatore convincono in definitiva il collegio della

inapplicabilità dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, prima delle
integrazioni apportate dell’art. 38 del D.L. n. 98 del 2011, al caso di
richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali solo parzialmente
riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale.
Essendosi la Corte territoriale attenuta a tale regola, il primo motivo di
ricorso dovrebbe essere respinto.
E’ invece manifestamente fondato il secondo motivo.
In proposito, si ricorda che questa Corte ha ripetutamente enunciato,
ad es. con la sentenza n. 202/2011, con riferimento a fattispecie
analoghe a quella in esame, il seguente principio: “Confermandosi quanto

già ritenuto dalla precedente sentenza di questa Corte n. 10546/2007 per cui ai
fini della liquidazione delle prestazioni temporanee in agricoltura, la nozione di
retribuzione – definita dalla contrattazione collettiva provinciale, da porre a
confronto con il salario medio convenzionale ex art. 4 del D.lgs. 16 aprile 1997 n.
146 – non è comprensiva del trattamento di fine rapporto, va ulteriormente
affermato che, sulla base del suddetto principio, la voce denominata `Vuota di
TFR” dai contratti collettivi vigenti a partire da quello del 27.11.1991, va esclusa
dal computo della indennità di disoccupazione, in considerazione della volontà
espressa dalle parti stipulanti, che è vietato disattendere in forza della disposizione
di cui all’art. 3 D.L. 14 giugno 1996 n. 318 convertito in legge 29 luglio 1996 n.
402, a norma del quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base
agli accordi collettivi, non può essere individuata in difformità rispetto a quanto
definito negli accordi stessi. Dovendo escludersi che detta voce abbia natura diversa

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e5′

rispetto a quella indicata dalle parti stipulanti, non è ravvisabile alcuna illegittima
alterazione degli istituti legali da parte dell’autonomia collettiva.”
Si rileva altresì, in proposito, che recentemente il significato della
norma di cui all’art. 4 del D. Lgs. n. 146 del 1997 individuato dalla
giurisprudenza sopra citata è stato esplicitato anche dal legislatore, che

111 dello stesso anno, ha specificato che “L’art. 4 del D. Lgs. 16 aprile

1997 n. 146 e l’art. 1, comma 5° del D.L 10 gennaio 2006 n. 2, convertito con
modificazioni dalla legge 11 marzo 2006 n. 81, si interpretano nel senso che la
retribuzione utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in favore degli operai
agricoli a tempo determinato non è comprensiva della voce del trattamento di fine
rapporto comunque denominato dalla contrattazione collettiva”.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art.
384, secondo comma, c.p.c. può provvedersi nel merito e rigettarsi la
domanda.
Tenuto conto dei dubbi interpretativi che hanno riguardato
entrambe le questioni oggetto del presente giudizio, è giustificata la
compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo e accoglie il secondo; cassa la sentenza
in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta
l’originaria domanda quanto all’inclusione del TFR nella base di calcolo
dell’indennità di disoccupazione, compensa le spese dell’intero
processo.
Così deciso in Roma, il 21marzo 2013
flFuuzìonarioOiudiziario,

Il Presidente

all’art. 18, comma 18° del D.L. n. 98 del 2011, convertito nella legge n.

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