Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9879 del 07/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9879 Anno 2014
Presidente: COLETTI DE CESARE GABRIELLA
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso 11535-2011 proposto da:
GIOVANNUCCI

LUIGI

C. F.

GVNLGU60C1218041,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2,
presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE
SANTE, che lo rappresenta e difende unitamente agli
avvocati ANGIOLINI VITTORIO, DI CELMO MASSIMO, BOER
2014

PAOLO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

893
contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale

Data pubblicazione: 07/05/2014

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso
l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e
difeso dagli avvocati CALIULO LUIGI, PREDEN SERGIO,
GIANNICO GIUSEPPINA, PATTERI ANTONELLA, giusta delega

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 848/2010 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 18/10/2010 R.G.N.
243/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/03/2014 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito l’Avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE;
udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

in atti;

Corte Suprema di Cassazione
Sezione lavoro

Pubblica udienza del 12 marzo 2014
n. 22 del ruolo – R.G. n. 11535/2011
Presidente Coletti De Cesare – Relatore Amendola

1.— Con sentenza depositata il 18 ottobre 2010, la Corte di Appello
dell’Aquila ha respinto l’impugnazione proposta da Giovannucci Luigi
avverso la pronuncia di primo grado che, sull’accertata esposizione
ultradecennale all’amianto, gli aveva riconosciuto il diritto al beneficio
previdenziale di cui all’art. 47, co. 1, d.l. n. 269 del 2003, convertito in 1. n.
326 del 2003, nella meno favorevole applicazione del coefficiente
moltiplicatore di 1,25, piuttosto che quello di 1,5 contemplato dalla
previgente disciplina di cui all’art. 13, co. 8, 1. n. 257 del 1992, ai soli fini
della determinazione delle prestazioni pensionistiche e non anche della
maturazione del diritto di accesso alle medesime.
La Corte territoriale, accolta l’interpretazione resa dalla giurisprudenza
di legittimità, secondo cui la clausola di salvezza in favore dei lavoratori che
avessero già maturato, alla data di entrata in vigore del decreto legge, il
diritto al conseguimento dei benefici previdenziali, di cui all’art. 13, co. 8,
legge n. 257 del 1992 e successive modificazioni, come prevista dall’art. 3,
co. 132, 1. n. 350 del 2003, doveva essere letta nel senso che, per
maturazione del diritto al beneficio, andava intesa la maturazione del diritto
alla pensione, ha rilevato che l’istante non aveva ancora maturato tale
diritto, né la sua posizione rientrava in una delle ipotesi in presenza delle
quali la normativa di riferimento garantiva l’applicazione delle più favorevoli
previgenti disposizioni.
Avverso l’anzidetta pronuncia, il soccombente ha proposto ricorso per
cassazione fondato su di un unico articolato motivo, illustrato da memoria.
L’Inps ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico articolato motivo il ricorrente, denunciando violazione di
plurime norme di diritto, nonché vizio di motivazione, contesta
l’interpretazione della normativa di riferimento accolta dalla Corte
territoriale.
A suo avviso, infatti, dal raffronto tra l’art. 47, comma 6 bis, d.l. n.
269/03, convertito in legge n. 326/03, e il successivo art. 3, comma 132,
legge n. 350/03, nonché tenendo conto dei lavori preparatori della legge di
conversione n. 326/03 e della legge n. 350/03, dovrebbe ricavarsi che la
seconda disposizione, nel riferirsi a tutti coloro che hanno maturato, non già
il diritto alla pensione, ma “il diritto al conseguimento” degli specifici
“benefici previdenziali” di cui alla legge n. 257/92, vuol fare salva

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

l’applicazione della disciplina previgente per tutti coloro che, rientrando nelle
previsioni di quest’ultima, al momento dell’entrata in vigore della novella
fossero risultati in possesso dei requisiti (almeno dieci anni di esposizione
all’amianto, per attività soggette alla relativa assicurazione obbligatoria
gestita dall’Inail) a cui era condizionato il riconoscimento del beneficio
previdenziale, fossero o meno già in pensione ovvero in procinto di andarvi;
conseguentemente, salve le diverse ipotesi specificamente previste (avvenuta
presentazione della domanda di riconoscimento all’Inail entro il 2.10.2003;
conseguimento di sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data),
doveva ritenersi che restavano esclusi dall’applicazione delle disposizioni
previgenti (venendo assoggetti quindi al nuovo regime di cui all’art. 47 d.l. n.
269/03), solo quei lavoratori che, pur essendo stati esposti all’amianto per
un periodo almeno decennale prima del 2.10.2003, non avevano titolo a
conseguire i benefici sulla base della legge n. 257/92, in quanto le relative
attività non erano coperte dall’assicurazione obbligatoria Inail; sempre
secondo il ricorrente, l’interpretazione accolta dalla Corte territoriale
condurrebbe all’applicazione della nuova disciplina a lavoratori già esposti
all’amianto, per periodi ultradecennali, per attività soggette all’assicurazione
mai!, il che ne postulerebbe un effetto retroattivo; ciò porterebbe tuttavia alla
violazione del principio dell’affidamento in materia incidente sul diritto alla
salute e sul conseguimento di benefici previdenziali, stante l’assenza di una
idonea giustificazione della retroattività della nuova disciplina, con
conseguente lesione dei principi di cui agli artt. 3, 32 e 38 della Costituzione,
oltre a determinare la violazione del principio di uguaglianza per l’arbitraria
parificazione di situazioni differenti (essendo stata regolata in ugual modo la
situazione di coloro che avevano subito l’esposizione all’amianto in attività
soggette alla relativa assicurazione obbligatoria e quella di coloro che a tale
assicurazione non erano stati assoggetti) e per arbitraria discriminazione tra
situazioni uguali (essendo stata fatta salva l’applicazione della vecchia
disciplina per coloro che alla data di entrata in vigore avevano già maturato
il diritto al trattamento pensionistico; per coloro che, alla stessa data,
avevano già avviato un procedimento amministrativo o giurisdizionale per
l’accertamento del diritto a conseguire i benefici in parola; per coloro che,
sempre prima dell’entrata in vigore del decreto legge, avevano presentato una
domanda, anche in sede amministrativa, per il riconoscimento del beneficio);
da ciò la richiesta del ricorrente, in via gradata, di sollevare questione di
legittimità costituzionale della normativa di riferimento per contrasto con gli
artt. 3, 24, 32 e 38 della Costituzione.
2. Ai fini di un corretto iter motivazionale giova premettere il contenuto
delle disposizioni legislative (per quanto di rilievo ai fini del decidere) che si
sono succedute nel disciplinare la fattispecie.
L’art. 13, comma 8, legge 27 marzo 1992, n. 257, come modificato dal
d.l. n. 169 del 1993, convertito con modificazioni nella legge n. 271 del 1993,
stabilì che “Per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo

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Sezione lavoro

superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione
all’amianto, gestita dall’INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni
pensionistiche, per il coefficiente di 1,5”.
L’art. 47 d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (pubblicato in supplemento
ordinario n. 157 alla Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2 ottobre 2003), convertito,
con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, sotto la rubrica
“Benefici previdenziali ai lavoratori esposti all’amianto”, in seguito stabilì
quanto segue:
“1. A decorrere dal 1 0 ottobre 2003, il coefficiente stabilito dall’articolo 13,
comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, è ridotto da 1,5 a 1,25. Con la
stessa decorrenza, il predetto coefficiente moltiplicatore si applica ai soli fini
della determinazione dell’ importo delle prestazioni pensionistiche e non della
maturazione del diritto di accesso alle medesime.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai lavoratori a cui
sono state rilasciate dall’INAIL le certificazioni relative all’esposizione
all’amianto sulla base degli atti d’indirizzo emanati sulla materia dal Ministero
del lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in
vigore del presente decreto.
3. Con la stessa decorrenza prevista al comma 1, i benefici di cui al
comma 1, sono concessi esclusivamente ai lavoratori, che, per un periodo non
inferiore a dieci anni, sono stati esposti all’amianto in concentrazione media
annua non inferiore a 100 fibre/ litro come valore medio su otto ore al giorno. I
predetti limiti non si applicano ai lavoratori per i quali sia stata accertatauna
malattia professionale a causa dell’esposizione all’amianto, ai sensi del testo
unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124.
4. La sussistenza e la durata dell’esposizione all’amianto di cui al comma
3 sono accertate e certificate dall’INAIL.
5. I lavoratori che intendano ottenere il riconoscimento dei benefici di cui
al comma 1, compresi quelli a cui è stata rilasciata certificazione dall’INAIL
prima del l’ottobre 2003, devono presentare domanda alla Sede INAIL di
residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto
agli stessi benefici.
6. Le modalità di attuazione del presente articolo sono stabilite con
decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla
data di entrata in vigore del presente decreto.
6-bis. Sono comunque fatte salve le previgenti disposizioni per i lavoratori
che abbiano già maturato, alla data di entrata in vigore del presente decreto, il
diritto al trattamento pensionistico anche in base ai benefici previdenziali di
cui all’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, nonché coloro
che alla data di entrata in vigore del presente decreto, fruiscano dei

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trattamenti di mobilità, ovvero che abbiano definito la risoluzione del rapporto
di lavoro in relazione alla domanda di pensionamento.
6-ter. I soggetti cui sono stati estesi, sulla base del presente articolo, i
benefici previdenziali di cui alla legge 27 marzo 1992, n. 257, come
rideterminati sulla base del presente articolo, qualora siano destinatari di
benefici previdenziali che comportino, rispetto ai regimi pensionistici di
appartenenza, l’anticipazione dell’accesso al pensionamento, ovvero l’aumento
dell’anzianità contributiva, hanno facoltà di optare tra i predetti benefici e
quelli previsti dal presente articolo. Ai medesimi soggetti non si applicano i
benefici di cui al presente articolo, qualora abbiano già usufruito dei predetti
aumenti o anticipazioni alla data di entrata in vigore del presente decreto.
(omissis)”.
Va precisato che i commi 6 bis e 6 ter vennero introdotti in sede di
conversione in legge del decreto e che il decreto ministeriale attuativo di cui
al comma 6 venne emanato il 27 ottobre 2004.
L’art. 3, comma 132, legge 24 dicembre 2003, n. 350, previde poi che:
“In favore dei lavoratori che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre
2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo 13,
comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, sono
fatte salve le disposizioni previgenti alla medesima data del 2 ottobre 2003. La
disposizione di cui al primo periodo si applica anche a coloro che hanno
avanzato domanda di riconoscimento all’INAIL o che ottengono sentenze
favorevoli per cause avviate entro la stessa data. Restano valide le
certificazioni già rilasciate dall’INAIL. (omissis)”.
Per quanto qui specificamente interessa, l’art. 1, comma 2, del decreto
ministeriale attuativo 27 ottobre 2004, stabilì che:
“Ai lavoratori che sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi
soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali, gestita dall’INAIL, che abbiano già maturato, alla data
del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui
all’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive
modificazioni, si applica la disciplina previgente alla medesima data, fermo
restando, qualora non abbiano già provveduto, l’obbligo di presentazione della
domanda di cui all’art. 3 entro il termine di 180 giorni, a pena di decadenza,
dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.
L’art. 1, comma 20, legge 24 dicembre 2007, n. 247 ha poi disposto che
“Ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo 13,
comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, sono
valide le certificazioni rilasciate dall’Istituto nazionale per l’assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) ai lavoratori che abbiano presentato
domanda al predetto Istituto entro il 15 giugno 2005, per periodi di attività
lavorativa svolta con esposizione all’amianto fino all’avvio dell’azione di
bonifica e, comunque, non oltre il 2 ottobre 2003, nelle aziende interessate
dagli atti di indirizzo già emanati in materia dal Ministero del lavoro e della
previdenza sociale”.

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3. La legge n. 257/92, emanata dopo la sentenza di condanna della
Corte di Giustizia CE n. 240 del 1990, a seguito di una procedura
d’infrazione, era principalmente finalizzata a favorire la cessazione
dell’impiego dell’amianto e, tra le misure adottate per raggiungere tale
obiettivo, si inserisce il ricordato art. 13, comma 8, emanato con il fine
precipuo di favorire l’esodo dal mondo del lavoro del maggior numero di
lavoratori che avessero subito, sul piano occupazionale, le conseguenze della
suddetta dismissione.
Con la riforma del 2003 tale misura ha subito una trasformazione
radicale dovuta, come puntualmente evidenziato dalla Corte Costituzionale
nella sentenza n. 376 del 2008, ad un duplice ordine di ragioni: “Da un lato,
infatti, è stato logico presumere che, a distanza di tanti anni dall’entrata in
vigore della legge n. 257 del 1992, il risultato della dismissione delle
lavorazioni dell’amianto, comportanti esposizione dei lavoratori alle sue
polveri, fosse stato orinai conseguito; dall’altro, è venuto emergendo, dalle
indagini epidemiologiche e dai progressi della scienza medica, che gli effetti
dannosi della suddetta esposizione possono prodursi anche a lunga distanza
di tempo e che non era, quindi, irragionevole attribuire un beneficio
previdenziale a coloro che a siffatto rischio erano stati esposti, anche se le
relative attività non erano obbligatoriamente assoggettate all’assicurazione
INAIL. La nuova normativa ha, pertanto, previsto che il beneficio non valga al
fine del raggiungimento della anzianità contributiva, ma sia attribuito, in
presenza delle altre condizioni di legge, a coloro che abbiano maturato il
diritto al trattamento di quiescenza secondo gli ordinari criteri di calcolo, al
solo fine della misura della pensione. La riduzione del coefficiente di
rivalutazione da 1,50 a 1,25 è dovuta alla non irragionevole previsione che vi
sarebbe stato un allargamento della platea degli aventi diritto e, quindi, a
una nuova valutazione delle esigenze di bilancio”.
4. La questione sollevata (o meglio, riproposta, perché già più volte
esaminata dalla giurisprudenza di questa Corte) investe pertanto
l’interpretazione da darsi all’art. 3, comma 132, della legge n. 350/2003 ed
all’art. 1, comma 2, d.m. 27 ottobre 2004 (di attuazione dell’art. 47, d.l. n.
269/2003), nella parte in cui sanciscono l’applicabilità della previgente
disciplina nei confronti di coloro che avevano maturato “il diritto al
conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge
27 marzo 1992, n. 257” alla data del 2 ottobre 2003.
5. Deve anzitutto osservarsi come sia sostanzialmente priva di rilevanza,
ai fini dell’indagine anzidetta, la ricordata disposizione del cui all’art. 1,
comma 20, legge n. 247/07, che si limita a introdurre una deroga alla
disciplina generale per i lavoratori che abbiano prestato la propria attività
nelle aziende interessate dagli atti di indirizzo già emanati in materia dal

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6. Nient’affatto decisivo risulta poi quanto disposto dall’art. 1, comma 2,
d.m. 27 ottobre 2004; tale decreto – atto di normazione secondaria – pur se
emanato in attuazione dell’art. 47, d.l. n. 269/2003, ha recepito, senza nulla
aggiungere, la locuzione di cui all’art. 3, comma 132, legge n. 350/03
(“diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo 13,
comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni”),
cosicché la soluzione della questione all’esame riposa unicamente
sull’individuazione della portata effettiva della normazione primaria, non
ponendosi affatto, quale che sia la soluzione, un problema di disapplicazione
della disposizione attuativa.
7. L’opzione ermeneutica prospettata dal ricorrente si radica
essenzialmente sulla differenza lessicale tra il comma 6 bis dell’art. 47 d.l. n.
269/03 (“diritto al trattamento pensionistico”) ed il comma 132 dell’art. 3 n.
350/03 (“diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo
13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257”), desumendone che la
seconda locuzione esprimerebbe un diverso concetto (da accogliersi in base
ai principi della successione delle leggi nel tempo) e, in particolare, che
vorrebbe far salva l’applicazione della disciplina previgente per tutti coloro
che, rientrando nelle previsioni di quest’ultima, al momento dell’entrata in
vigore della novella fossero risultati in possesso dei requisiti a cui era
condizionato
il
riconoscimento
del
beneficio
previdenziale,
indipendentemente dal fatto che avessero maturato il diritto alla pensione.
Tale argomento esegetico basato sulla descritta differenza lessicale è
intrinsecamente fragile, perché non spiega affatto per quale ragione la
seconda locuzione, alla luce di un’interpretazione sistematica della
normativa di riferimento, non potrebbe configurare una sostanziale
sinonimia della prima.
Ma soprattutto, proprio sotto il profilo letterale, si risolve nell’attribuire
natura di diritto soggettivo a ciò che è soltanto una situazione fattuale
costituente uno dei requisiti perché il diritto stesso possa essere conseguito.
Laddove, se il legislatore avesse inteso garantire l’applicabilità delle
previgenti disposizioni alla mera ricorrenza di tale situazione fattuale, lo
avrebbe esplicitato, così come ha fatto in riferimento ad altre situazioni
fattuali ben determinate, quale ad esempio, l’avere “avanzato domanda di
riconoscimento all’INAIL”, la cui contemplazione risulterebbe del tutto
pleonastica seguendo l’interpretazione prospettata dal ricorrente.
8. Né incontrovertibili elementi di giudizio, nel senso auspicato da parte
ricorrente, possono ravvisarsi negli atti dei richiamati lavori preparatori
parlamentari (fermo restando il rilievo che “…i lavori preparatori – anche
quando il loro tenore è inequivoco – pur non essendo privi di rilievo, non

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Ministero del lavoro e della previdenza sociale; situazione soggettiva che
comunque non ricorre nel caso di specie.

rivestono tuttavia importanza decisiva ai fini della ricostruzione del
significato da attribuire alle norme giuridiche, poiché queste, una volta
emanate, assumono un valore autonomo e vanno quindi interpretate non già
secondo le opinioni personali dei partecipanti alla loro elaborazione ma
secondo il contenuto che risulta dalla loro formulazione e dal sistema nel
quale sono inserite” – cfr, Corte Costituzionale, n. 34 del 1977, punto 4 della
motivazione in diritto); anzi semmai, va rilevato, in senso contrario, che l’XI
Commissione Permanente, nel rilasciare il proprio parere favorevole con
riferimento al comma 6 bis dell’art. 47 dl n. 269/03, si espresse nel senso
che tale disposizione faceva salve le disposizioni previgenti “per le situazioni
giuridiche soggettive dei lavoratori che avevano già maturato, anteriormente
alla data di entrata in vigore del decreto, il diritto al conseguimento dei
benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della legge n° 257 del
1992”, con ciò mostrando di intendere la sostanziale sinonimia fra le due
locuzioni.
9. L’opzione ermeneutica invocata dal ricorrente risulta altresì non
meritevole di accoglimento per una prima ragione di carattere sistematico;
seguendola, infatti, ne deriverebbe la sostanziale inapplicabilità del comma 1
dell’art. 47 d.l. n. 269/03 ai lavoratori adibiti ad attività assoggettate
all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali dell’Inali, in
palese contrasto con il carattere generale di tale disposizione, che non
distingue affatto tra lavoratori addetti o non addetti ad attività assoggettate
alla suddetta assicurazione obbligatoria.
10. Ma, soprattutto, sempre sotto il profilo sistematico, l’interpretazione
qui non condivisa mal si concilia con la natura dei benefici previdenziali de
quibus come riconosciuta da un ormai consolidato indirizzo ermeneutico di
questa Corte, secondo cui “la rivalutazione contributiva non rappresenta una
prestazione previdenziale autonoma, ma determina i contenuti del diritto alla
21257/2004; 21862/2004;
pensione” (cfr, ex plurimis, Cass., nn.
15007/2005; 15008/2005; 16179/2005; 441/2006; 15679/2006;
23068/2007; 18135/2010; 3122/2011; 8649/2012), ovvero, in altri termini,
introduce “una modalità di calcolo della anzianità contributiva ai fini delle
ordinarie prestazioni pensionistiche di vecchiaia e di anzianità o di queste
sostitutive in regimi speciali” (cfr., Corte Costituzionale, n. 376 del 2008).
Con l’ineludibile conseguenza che la maturazione, alla data del 2
ottobre 2003, del “diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui
all’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive
modificazioni” deve essere intesa nel senso del perfezionamento del diritto al
trattamento pensionistico anche sulla base del beneficio di cui all’art. 13,
comma 8, legge n. 257/92; onde, per questa parte, la locuzione utilizzata al
ridetto art. 3, comma 132, legge n. 350/03 costituisce soltanto la conferma
di quanto già si era voluto significare con quella di maturazione del “diritto al

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11. Coronario di quanto testé affermato è che i lavoratori che, in epoca
antecedente all’ottobre 2003, fossero stati esposti all’amianto per un periodo
superiore a dieci anni nello svolgimento di attività assoggettate
all’assicurazione obbligatoria dell’Inail non erano titolari di un diritto
soggettivo perfetto alla pensione ed alla sua determinazione secondo i criteri
di cui all’art. 13, comma 8, legge n. 257/92, ma soltanto portatori di una
legittima aspettativa a che tale diritto si concretizzasse al momento
dell’eventuale (sempre che, cioè, venissero a realizzarsi gli ulteriori requisiti)
futura maturazione del diritto a pensione.
Dal che discende che non può ritenersi che la riforma del 2003 abbia
inciso, retroattivamente, su posizioni di diritto soggettivo già acquisite.
12. Va ulteriormente considerato, secondo i principi enunciati a più
riprese dalla Corte Costituzionale (cfr, ex plurimis, Corte Costituzionale, nn.
349/1985; 822/1988; 573/1990; 390/1995), che le disposizioni
modificatrici in senso sfavorevole della precedente disciplina dei rapporti di
durata emanate dal legislatore ai fini pensionistici, non devono concretare
un regolamento irrazionale ed arbitrario, lesivo delle situazioni sostanziali
poste in essere da leggi precedenti e frustrare l’affidamento dei cittadini nella
sicurezza giuridica, che è elemento fondamentale dello Stato di diritto.
Nella specie, tuttavia, la (comunque solo parziale) frustrazione delle
aspettative pensionistiche dei destinatari dell’art. 13, comma 8, legge n.
257/92 non è connotata da arbitrarietà ed irrazionalità, inserendosi al
contrario in un complessivo quadro di trasformazione radicale dell’istituto,
nei termini e per le ragioni già diffusamente esposti.
13. Appaiono poi manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità
sollevati rispetto alla scelta legislativa di trattare in maniera identica la
posizione di coloro che avevano subito l’esposizione all’amianto in attività
soggette alla relativa assicurazione obbligatoria e quella di coloro che a tale
assicurazione non erano stati assoggettati; tale scelta non può infatti
ritenersi irragionevole, posto che, nell’ottica della tutela del bene primario
della salute, l’elemento unificatore delle due situazioni, che le rende
sostanzialmente omogenee, è la considerazione dell’identicità delle
conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla prolungata esposizione
all’amianto, le quali prescindono dal dato estrinseco dell’assoggettamento o
meno all’assicurazione obbligatoria dell’Inali dell’attività nell’ambito del quale
l’esposizione stessa si sia verificata.
14. Quanto alla dedotta arbitraria discriminazione tra situazioni uguali i
dubbi sollevati trovano già risposta, nel senso della loro infondatezza, nelle
considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella ricordata sentenza n.

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trattamento pensionistico” contenuta nell’art. 47, comma 6 bis, d.l. n.
269/03.

376 del 2008, ove viene puntualizzato che il legislatore ha dettato la
disciplina transitoria inerente al passaggio da un regime ad un altro in
correlazione con il mutamento di funzione e di struttura della misura
disciplinata e che, considerando che tale passaggio comportava un
trattamento meno favorevole, ha voluto far salve alcune situazioni ritenute
meritevoli di tutela, introducendo disposizioni derogatorie rispetto
all’immediata applicazione della nuova disciplina; ciò nell’ambito di
quell’ampia discrezionalità che, secondo la costante giurisprudenza della
Corte Costituzionale, va riconosciuta al legislatore “nella fissazione delle
norme di carattere transitorio dettate per agevolare il passaggio da un regime
ad un altro, tanto più ove si tratti di disciplina di carattere derogatorio
comportante scelte connesse all’individuazione delle categorie dei beneficiari
delle prestazioni di carattere previdenziale”.
15. Conclusivamente va data continuità al già ricordato e consolidato
orientamento ermeneutico di questa Corte e riconosciuta la manifesta
infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati al riguardo.
Essendosi la Corte territoriale conformata al suindicato indirizzo, il
motivo svolto, nei distinti profili in cui si articola, non può trovare
accoglimento.
In definitiva il ricorso va rigettato.
Non avendo allegato il ricorrente, in ossequio al principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, di avere assolto nel ricorso
introduttivo del giudizio di primo grado all’onere autocertificativo di cui
all’art. 152 disp. att. cpc, le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle
spese liquidate in euro 3.100,00 di cui euro 3.000,00 per compenso, oltre
accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 marzo 2014
Il Presidente

Il Co igliere estensore

Corte Suprema di Cassazione
Sezione lavoro

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