Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9879 del 05/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 05/05/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 05/05/2011), n.9879

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SAURO COOPERATIVA DI PRODUZIONE & LAVORO SOC IN LIQUIDAZIONE,

in

persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIALE REGINA MARGHERITA 262-264, presso lo studio dell’avvocato

TAVERNA SALVATORE, che lo rappresenta e difende giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 821/2004 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 20/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE FERRARA;

udito per il resistente l’Avvocato DANIELA GIACOBBE, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di verifica della G.d.F. che si concludeva ipotizzando l’utilizzo di fatture false perchè relative ad operazioni inesistenti, da parte di una pluralità di società tra loro collegate, veniva notificato alla Sauro società Cooperativa a r.l.

quale soggetto partecipe della predetta organizzazione, avviso di accertamento ai fini Ipeg e Ilor con il quale si accertava un maggior reddito imponibile per l’anno 1993, per l’utilizzazione di cinque fatture emesse per operazioni inesistenti dalla soc. A.T.F. per il complessivo importo di L. 916.989.237, e di tre fatture emesse dalla soc. Pon.Tra.Co, per complessive L. 599.881.611.

La società impugnava l’atto impositivo deducendone l’illegittimità per difetto di motivazione, e comunque l’infondatezza nel merito, ma il giudice adito rigettava l’impugnazione con decisione successivamente confermata dalla C.T.R. del Lazio con sentenza n. 821/40/04, depositata il 20.12.2004 e non notificata.

Per la cassazione della sentenza di appello proponeva quindi ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate, la società articolando quattro motivi, all’accoglimento dei quali si opponevano con controricorso gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Deve preliminarmente rilevarsi l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in quanto soggetto rimasto estraneo al procedimento di appello. Ed infatti nel caso di specie al giudizio di appello ha partecipato l’Ufficio periferico di Frosinone dell’Agenzia delle Entrate (successore a titolo particolare del Ministero) e il contraddittorio è stato accettato dalla contribuente senza sollevare alcuna eccezione sulla mancata partecipazione del dante causa, che così risulta, come costantemente ha rilevato la giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis. v. Cass. 23.4.2010, n. 9794) estromesso implicitamente dal giudizio. Da tali premesse inevitabilmente discende l’esclusione della legittimazione del Ministero a proporre il ricorso per cassazione o il controricorso o a partecipare comunque al successivo giudizio di legittimità in veste di parte intimata, spettando la legittimazione processuale relativamente alla attuate fase alla sola Agenzia.

2 – Passando quindi all’esame nel merito del ricorso rileva la Corte che esso è infondato e deve essere rigettato.

Con i motivi articolati deduce la ricorrente:

a) ex art. 360 c.p.c., n. 3, il vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nonchè dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., denunziando al riguardo l’assoluta carenza del contenuto essenziale della motivazione resa dai giudici di secondo grado;

b) la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia con riferimento al fatto che l’avviso di accertamento avrebbe fatto rinvio non solo al p.v.c. eseguito in contraddittorio con la ricorrente, ma anche ai controlli eseguiti presso altre società;

c) la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e degli artt. 2697, 2700 e 2729 c.c., nonchè insufficiente motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia in ordine al fatto che l’accertamento avrebbe acriticamente recepito i contenuti del p.v.c. fondati su una erronea rappresentazione della realtà;

d) ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), nonchè dell’art. 2729 c.c. e omessa pronuncia (rectius: motivazione) su un punto decisivo della controversia, con riferimento a quanto dedotto in ordine alla illegittimità dell’accertamento per difetto di presunzioni gravi, precise e concordanti a sostegno della rettifica operata dall’Ufficio.

In fatto dai contenuti della sentenza e dello stesso ricorso si evince che la verifica nei confronti della Sauro scaturì da una serie di controlli incrociati che riguardarono varie società tra loro collegate, e così tra le altre la A.T.F. e la Pon.Tra.Co, con riferimento alle quali emersero varie irregolarità e in particolare il frequente uso di fatture per operazioni inesistenti, finalizzato a far risultare più elevati i costi di gestione e così abbattere l’importo dell’Iva da versare; e che tale verifica, specificamente eseguita nei confronti della attuale ricorrente, portò i militari della Guardia di Finanza a rilevare che anche la società in questione, della quale erano stati riscontrati i rapporti con le altre società verificate, era partecipe dell’organizzazione innanzi sommariamente descritta giacchè “la società Sauro aveva utilizzato fatture riconducibili ad operazioni inesistenti stante la genericità dei documenti sottostanti ovvero stante la omessa esibizione dei documenti di supporto” (v. pag. 10 del ricorso, in fine).

Tanto premesso, non v’è dubbio che i principi che regolano la materia risultano più volte ribaditi da questa Suprema Corte, e possono sintetizzarsi con il richiamo alla seguente massima: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamene inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all’Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l’esistenza di un maggior imponibile), e può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, non ostandovi il divieto della doppia presunzione, il quale attiene esclusivamente alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale (Cass. 18.1.2008, n. 1023; cfr. Cass. 23.9.2005 n. 18710).

Orbene la pur sintetica motivazione dell’impugnata sentenza, interpretata alla luce della più ampia sintesi in essa contenuta delle rispettive posizioni espresse in giudizio dalle parti, consente riassuntivamente di ritenere, alla luce anche dei principi innanzi richiamati, che il giudice di merito nel caso in esame abbia reputato le circostanze specificamente accertate presso la Sauro con riferimento alle otto fatture in contestazione (5 della A.T.F. e 3 della Pon.Tra.Co.), e cioè l’accertata genericità dei documenti sottostanti ovvero la omessa esibizione dei documenti di supporto), idonee a integrare quelle presunzioni gravi, precise e concordanti richieste dall’art. 39 lett. d) D.P.R. n. 600/1973 per l’emissione dell’accertamento, e quindi la parte onerata a sua volta di provare l’effettività delle prestazioni fatturate, con il conseguente rigetto del ricorso per il mancato assolvimento di tale onere, non avendo la società prodotto “qualsivoglia documentazione da cui questo Collegio possa trarre l’effettività delle prestazioni”.

Tanto considerato, con riferimento alle singole doglianze innanzi riassunte ne consegue che:

a) I vizi di motivazione denunciati non ricorrono, o quanto meno nei termini rappresentati non rilevano, giacchè le circostanze rilevanti ai fini della decisione, innanzi richiamate, risultano accertate dal giudice di merito senza specifiche contestazioni al riguardo che valessero a rendere necessari accertamenti più approfonditi e argomentazioni più analitiche;

b) La violazione delle norme sull’obbligo di motivazione della sentenza non sussiste giacchè, come pienamente si deduce da quanto innanzi esposto, i contenuti della sentenza, complessivamente considerati, risultano senza dubbio tali da consentire di individuare il thema decidendum nonchè le ragioni di fatto e di diritto poste dal giudice a fondamento della decisione;

c) La violazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente non ricorre non solo perchè la norma invocata è successiva all’accertamento (notificato il 5.10.1998), ma anche perchè le irregolarità riscontrate presso le altre società verificate rappresentano soltanto l’antefatto della verifica successivamente eseguita dalla G.d.F. presso la Sauro, e conclusasi con le specifiche contestazioni riferite dalla stessa ricorrente nel suo ricorso, che hanno riguardato direttamente la predetta società e sono state poi poste in via esclusiva a fondamento dell’accertamento. Senza considerare inoltre che anche gli esiti delle verifiche condotte nei confronti delle altre società coinvolte nella vicenda risultano per ammissione della stessa ricorrente portate a conoscenza della stessa, laddove si dice in ricorso (pag. 9) che essa non ne conoscerebbe “il contenuto nella sua interezza”, e la ricorrente non precisa quali conseguenze abbia prodotto sul suo diritto di difesa, la mancata conoscenza delle parti eventualmente omesse.

d) La violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e delle altre norme in tema di prove richiamate nel terzo motivo non sussiste perchè nessuna disposizione di legge vieta all’A.F. di far propri, ai fini della motivazione di un accertamento tributario, i contenuti di un p.v.c. che per il rigore e per la completezza con cui risulta redatto, appare integralmente condivisibile, e pertanto idoneo a sostenere la pretesa tributaria. Ciò fermo restando, ovviamente, che, soddisfatto in tal modo per relationem l’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo, sul piano probatorio quel p.v.c. farà prova fino a querela di falso unicamente per le dichiarazioni verbalizzate dagli operatori e per i fatti e le circostanze direttamente da essi rilevate, mentre tutto quanto attiene alle costruzioni logico-giuridiche su quei fatti elaborate dall’Ufficio, magari anche recependo ipotesi legittimamente avanzate dalla stessa Guardia di Finanza senza che di ciò nessuno possa fondatamente dolersi, dovrà poi essere oggetto di valutazione nell’eventuale successivo giudizio, avendo a tal fine l’accertamento funzione esclusivamente di provocatio ad opponendum.

c) La violazione del D.P.R. n. 600 del 1973 art. 39, comma 1, lett. d) nonchè dell’art. 2729 c.c. neanche ricorre giacchè le circostanze rappresentate dalla G.d.F. nel p.v.c. in ordine alla genericità, o addirittura alla mancata esibizione, dei documenti sottostanti le fatture in questione sicuramente risultano idonee ad integrare quelle presunzioni gravi, precise e concordanti che, alla luce tra l’altro di tutto quanto accertato con riferimento alle società emittenti le fatture contestate (integranti dati e notizie legittimamente raccolti dall’Ufficio ex art. 32; in proposito v.

Cass. 25.11.2005, n. 24967; cfr. n. 9100/2001), legittimavano l’Ufficio alla rettifica operata.

3. Per il principio della soccombenza il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, in favore delle parti intimate.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e lo rigetta nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Condanna la ricorrente al rimborso in favore degli intimati delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 12.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2011

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