Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9876 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 13/01/2020, dep. 26/05/2020), n.9876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33270-2018 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI TOPRENOVA 165

STUDIO AURELI, presso lo studio dell’avvocato MARIANGELA PETRILLI,

rappresentata e difesa dagli avvocati MICHELE FARAGLIA, MARGHERITA

FARAGLIA;

– ricorrente –

contro

CH.AG., M.A., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA U. BOCCIONI 4, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO

SMIROLDO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1443/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 25/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2020 dal Consigliere Dott. FIECCONI FRANCESCA;

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. Con ricorso notificato il 9/11/2018 avverso la sentenza n. 1443/2018 della Corte d’Appello di L’Aquila, pubblicata il 25/7/2018 e notificata il 10/9/2018, G.M. propone impugnazione dinanzi a questa Corte affidandola ad un unico motivo. Con controricorso notificato il 14/12/2018, resistono Ch.Ag. e M.A.. Le parti hanno depositato memorie.

2. Per quanto qui d’interesse, in data 18/4/1994 le sig.re G. e M., tramite il marito di quest’ultima, sig. Ch., quale procuratore speciale, stipulavano un preliminare di compravendita avente ad oggetto un appartamento sito in Sulmona di proprietà della sig.ra M., promittente venditrice, per il prezzo di Lire 103.000.000,00, di cui Lire 7.000.000,00 versate contestualmente a titolo di caparra dalla sig.ra G., con impegno a stipulare il rogito entro il 10/6/1994. Nella scrittura privata si dava atto dell’esistenza di un procedimento di riduzione di eredità gravante sull’immobile. La sig.ra M., infatti, aveva ricevuto l’appartamento per successione testamentaria da Ca.Ag.. Tuttavia, nel 1980 il marito legittimario della sig.ra Ca. ( Ma.Ma.) aveva convenuto in giudizio gli eredi testamentari della stessa, tra cui la sig.ra M., per ottenere la riduzione del testamento olografo e, quindi, per conseguire la metà del patrimonio della de cuius e, con riferimento all’attuale controricorrente, la metà dell’appartamento di Sulmona. Il Tribunale di Sulmona, con sentenza n. 211/1982 accoglieva l’azione di riduzione. Avverso la sentenza del Tribunale, la M. e le coeredi testamentarie avevano proposto gravame innanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila.

3. Per tali vicende, con citazione del giugno 1996, la sig.ra G. conveniva la sig.ra M. e il sig. Ch. avanti il Tribunale di Sulmona chiedendo che venisse annullato per dolo o, in alternativa, per errore, il preliminare; in via gradata, perchè venisse accertato che esclusiva responsabile della mancata stipulazione del definitivo era stata la promittente venditrice la quale si era rifiutata di prestare idonee garanzie; in via ulteriormente gradata, perchè venisse pronunziata ex art. 2932 c.c., sentenza che tenesse luogo del contratto definitivo e, quindi, trasferisse in favore di parte attrice la piena proprietà dell’immobile, con obbligo della convenuta di costituire in favore della G. adeguate garanzie per l’ipotesi di pregiudizio derivatele dalla sentenza di riduzione.

La controversia veniva definita con transazione del 2/6/1997, con la quale le parti confermavano gli obblighi del ‘94 regolando diversamente il contratto preliminare a seconda dell’esito del giudizio di riduzione, e stipulando contestualmente un contratto di locazione dell’immobile oggetto del preliminare per la durata di 9 anni rinnovabili di altri 9, tenuto conto della prevedibile durata del giudizio di riduzione. Successivamente, con raccomandate del 2005 e del 2006 la sig.ra M. comunicava alla G. l’esito a sè sfavorevole del giudizio di riduzione anche in secondo grado e le intimava lo sfratto per finita locazione, promuovendo giudizio culminato nella sentenza, pubblicata in data 8/4/2008, della Corte d’Appello di L’Aquila che, invece, riconosceva l’intervenuta rinnovazione del contratto per il secondo novennio.

4. Nel frattempo si concludeva definitivamente il giudizio di riduzione con sentenza n. 8237/2007, con cui questa Corte respingeva il ricorso per cassazione della Sig.ra M. e delle coeredi testamentarie. A quel punto, con atto di vendita notarile rogitato il 26/11/2008, i Sigg. Welby, subentrati nell’originaria posizione sostanziale e processuale dell’attore in riduzione (il sig. M., coniuge legittimario pretermesso), cedevano al Ch., coniuge della sig.ra M., per il prezzo di Euro 33.000,00, tutti i diritti vantati verso la sig.ra M. sull’immobile sito in (OMISSIS). In pari data, i sig.ri W., le controparti del giudizio di riduzione (tra cui la sig.ra M.) e il sig. Ch. stipulavano un contratto di transazione del contenzioso originato dalla domanda di riduzione promossa dal sig. M., con rinunzia dei sig.ri W. alla comproprietà dei beni ereditari e tacitazione in denaro dei loro diritti di rivendica. Con rogito del 27/5/2009, mediante “contratto di cessione di diritti immobiliari in esecuzione di sentenza passata in giudicato”, la sig.ra M. trasferiva la quota residua di comproprietà, pari alla metà dell’intero diritto di proprietà sull’immobile di (OMISSIS), al coniuge Ch., acquisito da quest’ultimo dai W. per la metà parte, succeduti al legittimario. In conclusione, l’appartamento di (OMISSIS) oggetto del preliminare del ‘94 diveniva di proprietà del solo Ch., coniuge della sig.ra M..

5. Con atto di citazione notificato nel maggio 2010, la si.ra G. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di (OMISSIS) i coniugi M.- Ch. assumendo che la convenuta M. fosse ancora obbligata, in forza del preliminare del ‘94 e della transazione del ‘97 a trasferirle la piena proprietà dell’appartamento; chiedeva venisse accertata la corresponsabilità del coniuge Ch. per aver reso impossibile l’adempimento del preliminare, e per aver neutralizzato l’eventuale azione ex art. 2932 c.c., della G., stipulando contratti con gli eredi del legittimario pretermesso dalla testatrice Ca.. In via gradata, l’attrice chiedeva di dichiarare la responsabilità contrattuale da inadempimento della M. e quella extracontrattuale di Ch., essendo questi a piena conoscenza del rapporto obbligatorio M.- G. ed avendo reso impossibile per la G. l’azione ex art. 2932 c.c., stipulando a suo nome e trascrivendo tempestivamente l’atto di cessione con gli eredi del legittimario. Chiedeva, poi, condannarsi in solido i convenuti ai sensi dell’art. 2043 c.c. e la M. anche ex art. 1218 c.c., a risarcire tutti i danni patrimoniali e morali subiti dalla G. per l’illecito comportamento da loro tenuto nel tempo e per il mancato acquisto della piena proprietà. Si costituivano i convenuti Ch. e M., contestando quanto dedotto in citazione dall’attrice e avanzando domanda riconvenzionale diretta ad ottenere l’accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto preliminare, con vittoria di spese. Il Tribunale – con sentenza n. 198/2013 – accoglieva la domanda riconvenzionale di risoluzione del preliminare e rigettava tutte le domande attrici, con condanna della G. all’80% delle spese giudiziali e al costo della CTU espletata.

6. Con atto di appello dell’aprile 2013, la G. impugnava la sentenza. Si costituivano gli appellati e la Corte d’Appello – con la sentenza qui impugnata – respingeva l’appello in ordine alla dedotta persistente efficacia del preliminare, con riferimento alla permanenza dell’obbligo della M. di trasferimento della proprietà ed alla responsabilità anche del Ch. per il definitivo mancato acquisto, oggetto del primo motivo di appello; accoglieva, invece, il secondo motivo in ordine alla restituzione della caparra; con condanna dell’appellante G. al pagamento dell’80% delle spese del doppio grado di giudizio.

7. La G. propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza affidandolo ad un unico motivo. Resistono con controricorso il Ch. e la M.. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Con un unico motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363, 1366 e 1367 c.c.. La censura verte sull’interpretazione dell’art. 3, lett. e), della transazione del 1997. Secondo la ricorrente, sia il Tribunale che la Corte d’Appello, avrebbero erroneamente interpretato detta clausola nel senso di ritenere che, se il giudizio di riduzione tra la promittente venditrice del preliminare del ‘94 ed il legittimario pretermesso si fosse concluso favorevolmente per la prima, le parti della transazione (e del preliminare), previa cancellazione delle trascrizioni pregiudizievoli, avrebbero stipulato la vendita promessa; invece, in caso contrario, il contratto preliminare sarebbe automaticamente divenuto inefficace per l’avverarsi della condizione risolutiva consistente nell’esito sfavorevole, per la promittente venditrice, del giudizio di riduzione, mentre sarebbe rimasto in vita il solo contratto di locazione stipulato con la transazione. In tesi, così ragionando, la Corte d’Appello avrebbe finito per ripetere gli stessi errori del Tribunale, violando le norme in materia di interpretazione dei contratti.

1.1 n motivo è inammissibile.

1.2 In primo luogo, la censura denuncia la violazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, per avere la Corte di merito – contra litteram – ritenuto esistente una condizione risolutiva mai stipulata, nonchè in generale erroneamente interpretato la clausola di cui si controverte, andando contro alcune espressioni testuali contenute nella stessa. In secondo luogo, si assume violato anche l’art. 1362 c.c., comma 2, per avere il giudice di secondo grado mancato di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti, dimenticando di scrutinare il comportamento complessivo delle parti e il complessivo contenuto del contratto, limitandosi al senso letterale delle parole. Ciò in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 3, sentenza n. 25840 del 9/12/2014), di cui si invoca l’applicazione, secondo cui il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, il quale non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve estendersi alla considerazione di tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sè chiare e non bisognose di approfondimenti interpretativi. Ed infatti un’espressione apparentemente chiara potrebbe cessare di essere tale, se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti. In terzo luogo, la Corte d’Appello avrebbe violato anche l’art. 1363 c.c., omettendo di interpretare, secondo il disposto della norma, le clausole del contratto le une per mezzo delle altre e attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto. In ultimo, si deduce la violazione degli artt. 1366 e 1367 c.c., per avere il giudice di secondo grado del tutto trascurato i canoni di interpretazione del contratto secondo buona fede e secondo il principio di conservazione del contratto.

1.3 In tesi, se la Corte d’Appello avesse correttamente applicato le disposizioni sull’interpretazione del contratto, avrebbe trovato conferma una diversa interpretazione della clausola di cui all’art. 3, lett. e), della transazione del ‘97, secondo cui la persistenza del contratto preliminare sarebbe stata prevista dalle parti anche nell’ipotesi di esito sfavorevole per la promittente del giudizio di riduzione e, in ogni caso (“comunque”), qualora non si fosse ottenuta la cancellazione delle trascrizioni pregiudizievoli, la promissaria avrebbe rinunciato al preliminare solo se “costretta dal legittimario a rilasciare l’immobile”. Infatti, il comune intento delle parti sarebbe stato quello di prevedere l’obbligo in capo alla promittente di fare tutto il possibile, anche dopo la sentenza definitiva di riduzione ed entro la scadenza finale della locazione (ossia entro il 2015), per raggiungere in sede divisionale un accordo con il legittimario per la rinunzia di questi alla comproprietà. La promittente essendo obbligata, una volta sconfitta nel giudizio di riduzione, ad acquisire in via stragiudiziale il potere di cancellazione avrebbe, in ultimo, dovuto invitare la promissaria acquirente ad acquisire contestualmente i diritti del legittimario ed i suoi.

1.4 A tal fine, è necessario sottolineare che: ” In tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ” (Cass., Sez. 2, sentenza n. 2465 del 10/2/2015; Cass., Sez. 3, sentenza n. 2074 del 13/2/2002; nello stesso senso, Cass., Sez. 3, sentenza n. 14355 del 14/7/2016).

1.5 Nel caso di specie non si riscontra alcuna concreta violazione dei canoni di interpretazione del contratto che, per converso, la ricorrente invoca per fornire una nuova, e a sè più favorevole, interpretazione della clausola di cui si controverte. Anzitutto non coglie nel segno la censura mossa alla sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c.. Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte: “per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass., Sez. 3, sentenza n. 28319 del 28/11/2017; Cass., Sez. L, sentenza n. 25728 del 15/11/2013; Cass., Sez. 3, sentenza n. 24539 del 20/11/2009). Ed è proprio quanto succede nel caso di specie, dato che la ricorrente chiama questa Corte ad essere giudice ultimo del fatto quando – dietro un’asserita violazione del canone de quo – prospetta semplicemente una diversa interpretazione della clausola rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata. Difatti, la Corte di merito ha interpretato il contratto seguendo i parametri delle norme in questione, laddove ha ritenuto che la condizione prevista nella seconda parte della clausola, per il mantenimento del contratto preliminare, non si sia verificata per essere avvenuta l’acquisizione dell’immobile successivamente all’esito sfavorevole del giudizio, per accordo successivo intervenuto liberamente tra le parti non menzionato come possibile esito del giudizio sfavorevole.

1.6 Parimenti, in relazione alle asserite violazioni degli artt. 1363, 1366 e 1367 c.c., il motivo è inammissibile per difetto di specificità.

1.7 Si ricorda, infatti, che il giudizio di Cassazione è un giudizio nel quale le censure alla sentenza impugnata devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi specifici, pertanto, non è sufficiente indicare, nel ricorso, le norme che si assumono violate ma è necessario che le argomentazioni a supporto della pretesa violazione siano intellegibili ed esaurienti. Questa Corte, infatti, ha avuto più volte modo di ribadire che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate – come, invece, nel caso di specie fa la ricorrente semplicemente riportando gli artt. 1363, 1366 e 1367 c.c., – ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass., Sez. 1, sentenza n. 24298 del 29/11/2016; Cass., Sez. 6-5, ordinanza n. 635 del 15/1/2015; Cass., Sez. 3, sentenza n. 3010 del 28/2/2012). Oltretutto, in riferimento all’ultima contestazione, ossia all’asserita violazione degli artt. 1366 e 1367 c.c., la parte resistente correttamente deduce la novità di tale deduzione – relativa alla mancata interpretazione secondo buona fede e ai fini della conservazione del contratto.

1.8 Infine, un’ultima notazione va fatta al riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, comma 1, contenuto nel titolo del motivo ma non puntualmente argomentato. Anche sotto tale profilo il motivo è inammissibile per difetto di specificità, non essendo specificamente riferito all’omissione di una circostanza rilevante ai fini della decisione, bensì alla stessa violazione di legge in tema di interpretazione dell’accordo transattivo, già sopra considerata.

2. Conclusivamente, il ricorso è inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore delle parti resistenti.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 8.200,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 13 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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