Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9873 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 26/05/2020), n.9873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3043/2018 R.G. proposto da:

Unicredit Leasing s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Daniele Manca Bitti e

Alberto Ferrarese, con domicilio eletto presso o studio del primo in

Roma, via Luciani, n. 1;

– ricorrente –

contro

Curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.., in persona del curatore

fallimentare pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti

Sebastiano Ribaudo e Dando Conti Nome Cognome, con domicilio eletto

presso lo studio del primo in Roma, via Lucrezio Caro, n. 62;

– controricorrente per la revocazione della sentenza n. 16646 della

Corte di cassazione depositata il 6 luglio 2017.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 gennaio 2020

dal Consigliere D’Arrigo Cosimo;

uditi l’Avv. Roberto Carleo in sostituzione dell’Avv. Manca Bitti, e

l’Avv. Sebastiano Ribaudo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale CARDINO Alberto, che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Si.Va s.r.l. conveniva in giudizio la Fineco Leasing s.p.a. (in seguito incorporata da Unicredit Leasing s.p.a.), esponendo di aver contestualmente stipulato un contratto di compravendita immobiliare e di leasing del medesimo immobile e che il collegamento fra le due pattuizioni dava luogo ad un’operazione di sale and leaseback, nulla per violazione del divieto di patto commissorio. Le parti successivamente transigevano la lite e lasciavano che il giudizio si estinguesse ai sensi dell’art. 309 c.p.c..

Successivamente la Si.Va s.r.l., mutata la denominazione sociale in (OMISSIS) s.r.l., falliva. Il curatore fallimentare riassumeva la causa, insistendo per la declaratoria della nullità del leaseback. Sosteneva che pure la transazione fosse nulla, ai sensi dell’art. 1972 c.c..

Il Tribunale di Bergamo dichiarava cessata la materia del contendere e compensava le spese.

La curatela fallimentare impugnava la decisione e la Corte d’appello di Brescia, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la nullità del leaseback, compensando le spese.

La Fineco Leasing s.p.a, quindi, proponeva ricorso per cassazione articolato in sei motivi. Questa Corte, con sentenza n. 16646 del 16 novembre 2016, pubblicata il 6 luglio 2017, rigettava il ricorso.

L’Unicredit Leasing s.p.a., che nel frattempo ha incorporato la Fineco Leasing s.p.a., ha proposto ricorso per revocazione, illustrato da successive memorie. Il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso denuncia la presenza, nella sentenza oggetto di revocazione, di una “proposizione eccentrica” (pag. 12), nella parte in cui è esaminato il sesto motivo (pagg. 6-12). Nella sentenza si legge: “Per altro verso si evince invero come (…) le deduzioni della ricorrente in realtà si risolvono in un’inammissibile mera contrapposizione della propria tesi difensiva alle statuizioni contenute nell’impugnata sentenza (e in particolare laddove ancora una volta – si deduce, come sopra riportato, che “al tempo dell’occupazione e dell’istanza l’alloggio non era stato assegnato ad altri soggetti, contrariamente a quanto labilmente afferma l’ente comunale”)” La frase riportata fra virgolette nella parentesi in realtà è completamente avulsa rispetto alla materia della controversia, poichè in essa non si tratta in nessun caso di “occupazioni”, di “alloggio assegnato” e di “ente comunale”.

Ritiene l’odierno ricorrente che ciò integri un errore di percezione, censurabile ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4. Sostiene inoltre che, conseguentemente, la sentenza impugnata sarebbe priva di qualsiasi esame specifico della censura articolata nel sesto motivo di ricorso. Le pagine da 6 a 10 della sentenza, pure dedicate all’esame di tale sesto motivo, sarebbero infatti tutte rivolte ad un esame “in astratto” della giurisprudenza in materia di leaseback; e quelle da 10 a 12 invece conterrebbero la mera affermazione, sempre generale ed astratta, che la Corte d’appello avrebbe riscontrato correttamente i presupposti in presenza dei quali il leaseback è nullo.

In sostanza, l’unico riferimento concreto al ricorso e al sesto motivo sarebbe costituito proprio dalla “proposizione eccentrica” sopra citata; per cui, conclude il ricorrente, l’esame del sesto motivo sarebbe stato sostituito dall’esame di una fattispecie completamente avulsa da esso e almeno potenzialmente fuorviante.

Il ricorrente inoltre nega quanto affermato in sentenza (pag. 3), cioè che il Fallimento (OMISSIS) abbia presentato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c.; asserisce che l’unico soggetto ad aver presentato memoria era proprio la Fineco Leasing s.p.a., ma di tale memoria invece non è fatta menzione nella sentenza.

La domanda di revocazione va dichiarata inammissibile.

Partendo dal secondo aspetto dedotto dalla ricorrente, occorre rilevare che dal controricorso si apprende che il Fallimento (OMISSIS). aveva effettivamente depositato memoria ex art. 378 c.p.c., in data 8 novembre 2016.

In ogni caso, l’evenienza che non sia stata menzionata la memoria difensiva depositata dall’odierno ricorrente non vale a costituire di per sè vizio revocatorio della sentenza. Infatti, qualora si volesse ritenere che dalla sola mancata menzione della memoria possa dedursi che ne sia stato completamente omesso l’esame, si dovrebbe comunque considerare che tale circostanza può costituire errore di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., soltanto quando la parte ricorrente dimostri, oltre alla mancata considerazione dello scritto difensivo, anche la decisività di quest’ultimo ai fini dell’adozione di una statuizione diversa. Occorre, cioè, che nella decisione impugnata emerga un’insanabile illogicità o incongruenza con un elemento di fatto evidenziato nella memoria (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 22561 del 07/11/2016, Rv. 641636 – 01).

Il ricorrente non ha in concreto dimostrato che lo scritto difensivo non sia stato esaminato (in tal senso non risultando decisiva la sola omessa indicazione dello stesso nell’esposizione dei fatti di causa), nè ha tentato di dimostrare che dall’esame della memoria sarebbe conseguita una statuizione diversa, emergendo dalla stessa un elemento di fatto in contrasto logico con la sentenza.

Per quanto attiene alla “proposizione eccentrica”, l’errore denunciato dal ricorrente non ha rilievo revocatorio.

Infatti, l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purchè non cada su un punto controverso e non attenga a un’errata valutazione delle risultanze processuali (Sez. 5, Sentenza n. 26890 del 22/10/2019, Rv. 655451 – 01).

La “proposizione eccentrica” contenuta in sentenza non dà luogo ad un’ipotesi di falsa percezione degli atti o dei documenti di causa, nè può dirsi che il giudice abbia affermato esistente un fatto decisivo invece incontestabilmente escluso.

Piuttosto, la frase in questione rappresenta ictu oculi un mero refuso di videoscrittura, che nulla aggiunge e nulla toglie all’apparato argomentativo con il quale è stato disatteso il sesto motivo di ricorso.

D’altra parte, che il giudice abbia correttamente percepito gli atti di causa è dimostrato dall’ampia motivazione, che contiene numerosi specifici riferimenti agli atti della parte, alla vicenda controversa e alla sentenza. Dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè quello censurato è un semplice refuso che non può dar luogo a revocazione.

Il giudizio di generale “insoddisfazione” della parte soccombente in relazione alle argomentazioni in base alle quali è stato dichiarato inammissibile il sesto motivo del ricorso per cassazione rappresenta, più che altro, una doglianza di inadeguatezza della motivazione che, certamente, non può farsi valere con lo strumento revocatorio.

Si aggiunga, a completamento, che la sentenza impugnata ha indicato molteplici ragioni per le quali il motivo doveva considerarsi inammissibile, talchè, anche ipotizzando che la “proposizione eccentrica” abbia inficiato una di queste ragioni, mancherebbe comunque il carattere della decisività.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1.3, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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