Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9872 del 05/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 05/05/2011, (ud. 17/02/2011, dep. 05/05/2011), n.9872

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. COSENTINO Giuseppe Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA S. ALBERTO

MAGNO 9, presso lo studio dell’avvocato SEVERINI GAETANO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 119/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 24/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/02/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito per il ricorrente l’Avvocato MADDALO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato DE BERARDINIS, per delega Avvocato

SEVERINI, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il gen. C.L. impugnava davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma una cartella esattoriale relativa alla iscrizione a ruolo dell’IRPEF sulla plusvalenza realizzata dalla vendita di un terreno pervenutogli per successione ereditaria, svolgendo le seguenti tre domande:

1) che venisse esclusa la riconducibilità della plusvalenza ai “redditi diversi” di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67 (all’epoca art. 81), comma 1, lett. b), trattandosi di terreno non edificabile;

2) che, in subordine, venisse ricalcolata la plusvalenza, mediante applicazione della rivalutazione monetaria calcolata secondo gli indici ISTAT sul valore del terreno al momento dell’acquisto, in conformità alla statuizione della sentenza della Corte Costituzionale n. 382/2002.

3) che, sempre in subordine rispetto al punto 1), l’aliquota applicabile fosse calcolata correttamente nel 34,29% (e non nel 37,42% erroneamente determinato dall’Amministrazione Finanziaria).

La Commissione Tributaria Provinciale ometteva di pronunciarsi sulla prima domanda, rilevando che la questione era già all’esame di altro Giudice, investito del ricorso contro il silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione alla istanza di rimborso presentata dal gen. C. per le somme da lui anticipate a titolo di IRPEF sulla plusvalenza in questione. Si pronunciava invece sulla seconda e terza domanda, accogliendole entrambe.

Nessuna delle parti si doleva dell’omessa pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale sulla prima domanda del contribuente, mentre l’Agenzia appellava la sentenza di primo grado sui capi che avevano accolto la domanda relativa al ricalcolo dell’aliquota applicabile e la domanda relativa alla rivalutazione secondo gli indici ISTAT del valore iniziale del terreno.

La Commissione Tributaria Regionale di Roma disattendeva l’appello dell’Agenzia affermando che;

quanto all’aliquota pretesa dal contribuente, questi aveva offerto, producendo il mod. Unico 1998, la prova dei presupposti della sua richiesta;

quanto alla rivalutazione del terreno, l’Agenzia aveva indirettamente riconosciuto il diritto alla rivalutazione ISTAT, senza tuttavia proporre eque soluzioni.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, entrambi difesi e rappresentati dall’Avvocatura Generale dello Stato, ricorrono per cassazione contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale sulla scorta di due motivi, così rubricati:

Violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Contraddittoria e insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

L’intimato si è costituito con controricorso ed ha altresì effettuato un deposito documentale ex art. 372 c.p.c..

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 17.2.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare si deve rilevare l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il Ministero, infatti, non è stato parte del giudizio di secondo grado (a cui ha partecipato solo l’Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate), cosicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente giudizio.

Il ricorso dell’Agenzia delle entrate si fonda su due motivi.

Col primo motivo (violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis) si censura la sentenza di merito perchè – giudicando illegittima la liquidazione dell’imposta operata senza l’applicazione della rivalutazione monetaria sul valore del terreno al momento dell’acquisto – ha annullato la cartella impugnata, così trascurando che l’imposta liquidata in detta cartella era stata calcolata sulla base del valore iniziale del terreno che era stato dichiarato dallo stesso contribuente (senza la maggiorazione della rivalutazione) e che, quindi, la cartella era conforme al disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, che prevede che le imposte vengano liquidate con procedure automatizzate sulla base delle dichiarazioni del contribuente.

Col secondo motivo (contraddittoria e insufficiente motivazione) si denuncia che la sentenza impugnata abbia affermato il diritto del contribuente alla liquidazione dell’imposta sulla base di una determinazione della plusvalenza che tenga conto della rivalutazione ISTAT senza “darsi cura di verificare l’assetto normativo ed ordinamentale che regge la fattispecie”.

Il controricorrente svolge le tre seguenti eccezioni preliminari:

1) novità dei motivi di ricorso, non avendo l’Agenzia mai contestato, nei gradi di merito, il diritto del gen. C. alla liquidazione dell’imposta in base al valore iniziale del terreno rivalutato secondo gli indici ISTAT;

2) formazione del giudicato interno, non avendo l’Agenzia appellato il capo della sentenza di primo grado che affermava il diritto del gen. C. alla liquidazione dell’imposta in base al valore iniziale del terreno rivalutato secondo gli indici ISTAT;

3) formazione del giudicato esterno, essendo passata in giudicato la sentenza di secondo grado che ha accertato la natura non edificabile del terreno de quo ed ha quindi escluso la riconducibilità della plusvalenza formatasi sul medesimo ai “redditi diversi” di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67 (all’epoca art. 81), comma 1, lett. b).

Le suddette eccezioni preliminari vanno tutte disattese.

Quella sub 1) va disattesa perchè il principio di non contestazione, richiamato dal controricorrente invocando la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 761 del 2002, riguarda le allegazioni di fatto e non le difese in diritto.

Quella sub 2) va disattesa perchè è infondato il relativo presupposto, ossia la pretesa acquiescenza dell’Agenzia alla pronuncia di primo grado sul punto in esame. Nello stesso controricorso, a pag. 10, primo capoverso, viene trascritto il seguente stralcio dell’atto di appello dell’Agenzia: “Ben diverso sarebbe stata la situazione se il contribuente avesse provveduto alla rivalutazione dei terreni, avesse dichiaralo una plusvalenza inferiore e dopo, a seguito dell’avviso di accertamento, si fosse avvalso dell’incostituzionalità dell’art. 82, comma 2, ultima parte, del vecchio D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Tale argomentazione rende palese la doglianza dell’appellante – peraltro svolta in termini sostanzialmente corrispondenti a quelli poi sviluppati nel ricorso per cassazione – in ordine alla statuizione di primo grado che aveva ritenuto che il calcolo della plusvalenza dovesse tener conto della rivalutazione ISTAT sul valore iniziale del terreno; statuizione sulla quale non si è quindi formato il giudicato interno.

Quella sub 3) va disattesa perchè il controricorrente fonda la propria eccezione di giudicato esterno sull’avvenuto passaggio in giudicato di una sentenza che non produce. La difesa del contribuente si limita infatti a produrre, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., una sentenza di questa Corte che dichiara inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’Agenzia delle entrate contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 2/18/06 depositata l’8.2.06; ma la mancata produzione di tale ultima sentenza preclude alla Corte la possibilità di esaminarla e di verificare il contenuto delle relative statuizioni.

Nel merito, peraltro, il ricorso dell’Agenzia va respinto in relazione ad entrambi i motivi proposti.

Quanto al primo motivo, il ragionamento della ricorrente si sostanzia nell’affermazione, che – poichè la liquidazione della imposta effettuata dall’Amministrazione finanziaria ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis si svolge in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e viene effettuata mediante procedure automatizzate, il contribuente non potrebbe contestare la legittimità di una cartella in cui l’imposta sulla plusvalenza sia stata liquidata senza tener conto della rivalutazione ISTAT sul valore iniziale del terreno, quando tale rivalutazione non risulti contemplata nelle dichiarazioni presentate dallo stesso contribuente.

Tale affermazione è giuridicamente infondata, perchè, se è vero che, per il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 1, l’Amministrazione liquida te imposte “avvalendosi di procedure automatizzate e “Un base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti”, non è però vera la conseguenza che da tale esatta premessa la difesa erariale pretende di trarre, ossia che la liquidazione di una imposta in un ammontare superiore a quanto legalmente dovuto non possa essere contestata dal contribuente per il solo fatto che detta liquidazione sia stata effettuata dall’Amministrazione sulla scorta di dichiarazioni rese dal contribuente stesso. Detta conclusione presupporrebbe l’irretrattabilità delle dichiarazioni del contribuente e tale irretrattabilità è stata più volte esclusa da questa Corte, Fin dalle pronunce delle Sezioni Unite nn. 15063 e 17394 del 2002.

infatti, è stata affermata l’emendabilità, in via generale, di qualsiasi errore, di fatto o di diritto, contenuto in una dichiarazione resa dal contribuente all’Amministrazione fiscale, anche se non direttamente rilevabile dalla stessa dichiarazione; ciò per l’impossibilità di assoggettare il dichiarante ad oneri diversi e più gravosi di quelli che, per legge, devono restare a suo carico, in conformità con i principi costituzionali della capacità contributiva (art. 53 Cost.) e della oggetti va correttezza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.). Nè la possibilità di rettifica incontra limiti nella natura della dichiarazione, che non si configura quale atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza o di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria. Per l’affermazione di tali principi con specifico riferimento alle dichiarazioni dei redditi, si vedano le sentenze di questa Sezione n. 10356/2006, n. 1708/2007 (“le dichiarazioni fiscali, in particolare quella dei redditi, non hanno natura di dichiarazioni di volontà, ma di scienza, e pertanto, salvo casi particolari (ad esempio, le dichiarazioni integrative presentate ai fini del condono), possono essere liberamente modificate dal contribuente, anche attraverso la difesa nel processo, ed anche nei giudizi di rimborsa), n. 5738/2007, n. 29738/2008 e altre.

Al quesito di diritto che la difesa erariale ha ritenuto di proporre alla Corte (senza, peraltro, esservi tenuta, in quanto al presente procedimento non si applica, ratione temporis, l’art. 366 bis c.p.c.), ossia se sia vero che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, il contribuente non possa contestare la legittimità di una cartella in cui l’imposta sulla plusvalenza risulti liquidata senza tener conto della rivalutazione ISTAT sul valore iniziale del terreno, quando tale rivalutazione non sia contemplata nelle dichiarazioni presentate dallo stesso contribuente, deve quindi rispondersi negativamente; il contribuente, infatti, non solo può contestare, anche emendando le dichiarazioni da lui presentate all’Amministrazione finanziaria, l’atto impositivo che lo assoggetti ad oneri diversi e più gravosi di quelli che, per legge, devono restare a suo carico; ma tale contestazione deve farla proprio impugnando la cartella esattoriale, non essendogli consentito di esercitare razione di rimborso dopo il pagamento della cartella (vedi Cass. 8456 del 2004: Nei casi in cui l’atto impositivo è costituito dal ruolo, come a seguito di liquidazione in base alla dichiarazione D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36 bis, solo la tempestiva impugnazione della cartella consente al contribuente di rimettere in discussione la debenza del tributo. Infatti, non vertendosi in una ipotesi di “versamento diretto”, ma di adempimento della cartella esattoriale, vale a dire dell’intimazione di pagamento rivolta al contribuente dall’amministrazione finanziaria, in difetto di impugnazione della cartella risulta precluso il rimborso previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38″, conformi Cass. 12009/2006 e Cass. 672/2007).

Quanto al secondo motivo di ricorso, esso è palesemente inammissibile, perchè, lamentando che la sentenza impugnata non si sia data cura di “verificare l’assetto normativo ed ordinamenlale che regge la fattispecie”, censura un vizio di motivazione sulle ragioni in diritto della sentenza impugnata; vizio che non può essere fatto valere come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, perchè il vizio di motivazione può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche; infatti – ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna motivazione o fornendo una motivazione inadeguata, illogica o contraddittoria – la Corte di Cassazione, nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata (per tutte, SSUU 28054 del 2008).

Il ricorso va dunque conclusivamente respinto. Le spese del giudizio di legittimità di compensano.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e rigetta il ricorso proposta dall’Agenzia delle Entrate.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2011

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