Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9870 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/04/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 15/04/2021), n.9870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 4720 del ruolo generale dell’anno

2019, proposto da:

L.P., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso da sè

stesso, ai sensi dell’art. 86 c.p.c., e dall’avvocato Laura Totino

(C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

D.T.L., (C.F.: (OMISSIS));

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n.

5875/2018, pubblicata in data 20 settembre 2018;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 26 gennaio 2021 dal consigliere Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Secondo quanto è dato comprendere dal ricorso, l’avvocato D.T.L. ha chiesto ed ottenuto la correzione di un errore materiale contenuto in un provvedimento del Tribunale di Roma (errore consistente nella mancata distrazione delle spese di giudizio in suo favore ai sensi dell’art. 93 c.p.c.).

L.P. ha proposto appello avverso l’ordinanza con la quale era stata disposta la correzione, appello dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello di Roma.

Ricorre il L., sulla base di quindici motivi.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimata.

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

Esso non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Tale requisito è considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso e deve consistere in una esposizione sufficiente a garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770 – 01; conf.: Sez. 3, Ordinanza n. 22385 del 19/10/2006, Rv. 592918 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15478 del 08/07/2014, Rv. 631745 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493 – 01). La prescrizione del requisito in questione non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. U, Sentenza n. 2602 del 20/02/2003, Rv. 560622 – 01; Sez. L, Sentenza n. 12761 del 09/07/2004, Rv. 575401 – 01). Stante tale funzione, per soddisfare il suddetto requisito è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

Il ricorso in esame, nell’esposizione del fatto, non presenta tale contenuto minimo.

Il ricorrente non chiarisce in alcun modo il contenuto del provvedimento di cui è stata chiesta la correzione (limitandosi a far presente che era stata chiesta la correzione di un errore materiale consistente nella omessa previsione della distrazione delle spese di lite in favore dell’avvocato D.T.), nè precisa quale fosse l’oggetto e quali fossero le parti del procedimento con esso definito.

Neanche riporta adeguatamente il contenuto del proprio gravame.

Afferma inoltre di avere avanzato una querela di falso, ma non indica in quale fase del giudizio l’abbia proposta, nè l’allocazione nel fascicolo processuale del relativo atto e neanche richiama in modo adeguato il contenuto della stessa e, tanto meno, ne chiarisce l’oggetto e la rilevanza ai fini della decisione.

In mancanza di questi elementi (che non solo non sono contenuti nella parte del ricorso dedicata all’esposizione sommaria del fatto, ma neanche possono evincersi dalla successiva esposizione relativa ai singoli motivi del ricorso stesso) non è possibile per la Corte valutare il merito delle censure proposte, il che esime, di conseguenza, anche dalla relativa illustrazione.

2. A scopo di completezza espositiva è peraltro opportuno osservare che il primo motivo del ricorso (con il quale si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 287 c.p.c.) è inammissibile anche ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto non è specificamente richiamato il contenuto dell’atto su cui si fonda la censura (e cioè l’atto di impugnazione dichiarato inammissibile, che si afferma avesse ad oggetto il provvedimento originario, nelle parti corrette, e non quello di correzione).

Anche il secondo motivo (con il quale si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 287,288 e 391 bis c.p.c.) è inammissibile per la medesima ragione e comunque in quanto non sono chiaramente percepibili il senso e l’oggetto effettivi della censura: il ricorrente afferma che in relazione al procedimento di correzione di errore materiale non è prevista liquidazione delle spese, ma non chiarisce se vi sia stata una indebita liquidazione delle spese nel procedimento di correzione dell’errore materiale (il che peraltro non emerge neanche dalla sentenza impugnata) ovvero se intenda in qualche modo contestare la liquidazione delle spese del giudizio di appello, che peraltro sono ovviamente dovute, in base all’ordinario criterio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c..

I motivi dal terzo al quinto (con i quali si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e 112 c.p.c., nonchè omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia) hanno riguardo ad una querela di falso proposta dal ricorrente nel giudizio di merito (querela di falso di cui peraltro non vi è menzione nel provvedimento impugnato). Essi sono inammissibili anche ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6: infatti, in considerazione della mancanza di specifico richiamo del contenuto della querela, dei tempi e modi della sua proposizione, del suo rilievo in relazione all’oggetto del giudizio e delle ragioni per cui non sia stata ammessa nel corso dello stesso giudizio di merito, non è possibile per la Corte valutare il merito delle censure.

Altrettanto è a dirsi con riguardo al sesto ed all’undicesimo motivo (con i quali si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 287 c.p.c. nonchè omessa motivazione su punti decisivi della controversia): in mancanza di una chiara indicazione dell’oggetto del giudizio di merito, degli esatti termini delle contestazioni insorte nell’ambito del procedimento di correzione e di tutte le parti che hanno partecipato a quest’ultimo, le censure (relative alla pretesa mancata notificazione dell’istanza di correzione a determinati soggetti) risultano inevitabilmente prive della necessaria specificità.

I motivi settimo ed ottavo (con i quali si denunzia omessa motivazione su punti decisivi della controversia) fanno riferimento a questioni non esaminate nel provvedimento impugnato. Con riguardo a tali questioni (che richiederebbero accertamenti di fatto) non viene peraltro precisato se, in quale fase ed in quali atti processuali esse erano state eventualmente sollevate nel corso del procedimento di merito. Anche tali motivi risultano dunque inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

I motivi nono, decimo e dodicesimo (con i quali si denunzia ancora omessa motivazione su punti decisivi della controversia) contengono censure di cui non risulta percepibile il senso logico effettivo e che comunque appaiono manifestamente infondate in diritto, per quel che è possibile comprendere. E’ infatti evidente che non era necessaria nella sentenza di inammissibilità dell’appello l’espressa indicazione del numero di ruolo del procedimento in cui aveva avuto luogo la correzione di errore materiale. D’altra parte l’esatta individuazione del provvedimento impugnato (e quindi anche di quello oggetto della correzione) spettava proprio alla parte appellante (e cioè l’attuale parte ricorrente). Anche su questo aspetto, comunque, il ricorso difetta di specificità, per il mancato richiamo al contenuto degli atti del procedimento stesso, oltre ad essere infondato. Inoltre il procedimento di correzione degli errori materiali può riguardare, come espressamente previsto dall’art. 287 c.p.c., sia sentenze che ordinanze. Non è poi neanche chiaro cosa intenda sostenere il ricorrente nell’affermare che il “giudizio di merito” attualmente pende, e per quale ragione tale circostanza avrebbe dovuto impedire la correzione dell’errore materiale per cui è causa.

Il motivo tredicesimo (con il quale si denunzia omessa sottoscrizione del giudice relatore D’Ambrosio) non è logicamente comprensibile, dal momento che il provvedimento impugnato risulta regolarmente sottoscritto dall’estensore (Dott. Gentile) e dal Presidente (Dott. Buonomo).

Gli ultimi due motivi del ricorso (con i quali si denunzia violazione degli artt. 91 e 96 c.p.c.), relativi alla condanna alle spese processuali del grado ed al pagamento di una ulteriore somma ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, risultano difettare di adeguata specificità e dunque sono inammissibili, prima ancora che manifestamente infondati. La corte di appello ha correttamente applicato il principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c. nello statuire sulle spese di lite del grado, avendo dichiarato inammissibile l’appello del L. ed ha, altrettanto correttamente, ritenuto che la predetta inammissibilità fosse di tale evidenza, in quanto emergente da orientamenti giurisprudenziali consolidati da lungo tempo, da non poter non essere percepita dal legale appellante, di modo che l’esercizio del potere di impugnazione si risolveva in un sostanziale abuso dello strumento processuale, il che certamente giustifica la condanna di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3.

Il quantum della liquidazione delle spese di lite non è contestato in modo specifico, in relazione ad una eventuale violazione dei parametri normativi, mentre le ragioni espresse dalla corte territoriale a sostegno della condanna al pagamento della ulteriore somma di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3, non sono specificamente contestate (il ricorrente si limita ad affermare genericamente di avere esercitato il proprio diritto di difesa e ribadisce apoditticamente la fondatezza delle proprie ragioni, ma non critica specificamente gli argomenti appena illustrati).

E’ appena il caso di osservare che i rilievi sin qui svolti non sono superati da quanto esposto dal ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2, nella quale viene sostanzialmente ribadito quanto esposto nel ricorso.

3. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Nulla è a dirsi con riguardo alle spese del giudizio non avendo la parte intimata svolto attività difensiva nella presente sede. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– nulla per le spese.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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