Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9870 del 14/05/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 9870 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: MIGLIUCCI EMILIO

SENTENZA

sul ricorso 24714-2009 proposto da:
COLELLA FILOMENA CLLFMN31A54F284C,

elettivamente

domiciliata in ROMA, V.LE DEI PARIOLI 124, presso lo
studio dell’avvocato PAOLO MELCHIONNA, rappresentata
e difesa dall’avvocato VINCENZO GIUSEPPE GAGLIARDI;
– ricorrente 2015
478

Nonché da:
CAPUTO

PIETRO

CPTPTR55E09L328L,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ARCHIMEDE 143, presso lo
studio dell’avvocato ROBERTA SIMONE, rappresentato e
difeso dagli avvocati EMILIO BOVIO, VINCENZO BOVIO;

Data pubblicazione: 14/05/2015

- controricorrente e ricorrente incidentale contro

COLELLA FILOMENA CLLFMN31A54F284C,

elettivamente

domiciliata in ROMA, V.LE DEI PARIOLI 124, presso lo
studio dell’avvocato PAOLO MELCHIONNA, rappresentata

– controricorrente al rticorso incidentale nonchè contro

NIGRO MARIANNINA NGRMNN23S53G151R;
– intimata –

avverso la sentenza n. 443/2009 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 29/04/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/03/2015 dal Consigliere Dott. EMILIO
MIGLIUCCI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso
principale e per il rigetto del ricorso incidentale.

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e difesa dall’avvocato VINCENZO GIUSEPPE GAGLIARDI;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Mariannina Nigro conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di
Trani Filomena Colella, rivendicando la proprietà del vano salotto
facente parte dell’appartamento sito al primo piano dello stabile

le scale, che alla medesima era pervenuto in forza successione ereditaria
al marito Michele Ferrieri Caputi al quale era stato assegnato in
virtù dell’atto divisione per Notar Monetti del 7.08.1959.
Pertanto, chiedeva

la condanna della convenuta

alla immediata

restituzione nonchè al risarcimento deii danni da illegittima
detenzione del vano nonché da responsabilità aggravata ex art.96
cod. proc. civ.
Faceva presente che l’intero appartamento dal 1960 sino a tutto il
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1986 era stato locato a Carlo Petrignani il quale, al momento della
cessazione del rapporto, aveva consegnato le chiavi alla convenuta che
non aveva inteso restituire

l’immobile al

Caputi; la Colella, in sede di

locatore

Michele Ferrieri

esecuzione

forzata

rilasciava l’appartamento ma non il vano salotto, in un primo momento
per non averlo sgombrato delle masserizie ed in seguito assumendo
che fosse di sua .proprietà per averlo acquistato in sede
di compravendita dell’appartamento di vani otto,
comprensivo del salotto, intervenuta con
Trani dell ” 8.02.1978

con

atto Bonito di

Ferrieri Caputi Tommaso, Carlo,

Michele, Luigi, Maria Luisa e Giovanni.
Costituitasi in giudizio,
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la Colella chiedeva il rigetto della

sito in Trani a Via Cavour,94 con accesso dalla porta a destra salendo

domanda e, in via riconvenzionale, l’acquisto per usucapione del vano
salotto nonché il rimborso delle spese effettuate per la conservazione
del suddetto immobile.
Nel corso del giudizio interveniva Pietro Caput°, acquirente

Con sentenza del 21 dicembre 2004 il tribunale accoglieva la domanda
proposta dall’attrice rigettando la riconvenzionale.
Con sentenza dep. il 29 aprile 2009 la Corte di appello di Bari,
in parziale accoglimento del gravame proposto dalla convenuta, condannava
l’attrice al rimborso delle spese sostenute per la conservazione del
bene rivendicato, da liquidarsi in separata sede; confermava nel resto la
impugnata decisione.
I Giudici osservavano quanto segue.
– l’appartamento divani da n. 10 a 17 comprensivo del salotto di cui
. si discute era pervenuto all’attrice in virtù di successione
ereditaria al suo dante causa al quale l’immobile era stato attribuito
in virtù di successivi atti di divisione, il primo dei quali risalente
al 1959; pertanto esisteva la c.d. prova diabolica, risalendo detto
diritto a epoca di molto precedente al ventennio anteriore
all’introduzione del giudizio;
– non era provata l’usucapione invocata dalla convenuta : a) in relazione
a quella abbreviata di cui all’art. 1159 cod., civ. , non ne esistevano
i presupposti atteso che l’atto di acquisto dalla medesima compiuto nel
1978 dell’appartamento con vani indicati dai n. l a 9 non comprendeva
il vano in oggetto; b) neppure era provato il possesso ventennale da
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dell’appartamento dell’attrice.

é

t

parte della Colella attesi, da un canto, il contrasto delle deposizioni
testimoniali e, dall’altro, le risultanze del verbale di accesso redatto
in sede di esecuzione del rilascio dell’appartamento ora dell’attrice, da
cui era emerso che lo stesso era dotato di porta comunicante con il

adeguato l’ impianto elettrico di detto vano come invece avvenuto nel
restante appartamento di sua proprietà; anche a stregua di quanto
dichiarato in

sede

di esecuzione del rilascio, è probabile che il

possesso della convenuta fosse iniziato dopo che il conduttore
dell’appartamento dell’attrice si era trasferito poco prima della fine
della locazione.
2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Filomena »
Colella sulla base di tre motivi illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il Caputo, proponendo ricorso incidentale
affidato a un unico motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. – /1 primo motivo denuncia che la sentenza impugnata aveva posto a
base dell’accertamento del diritto di proprietà vantato dall’attrice
gli atti di divisione, che hanno natura meramente dichiarativa; per quel
che riguardava l’affermazione circa il possesso che sarebbe stato
esercitato per oltre un ventennio, deduce che tale questione non era
stata mai sollevata dalla convenuta ed era stata rilevata di ufficio
dal Giudice senza che vi fosse stato al riguardo il necessario
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salone; ancora, non si comprendeva come la convenuta non avesse mai

contraddittorio fra le parti.
1.2.- Il motivo è infondato.
La sentenza, nell’accertamento della proprietà, non si è limitata a
verificare il contenuto degli atti di divisione invocati dall’attrice e

causa al quale il bene de quo era stato attribuito ma ha anche accertato
il possesso ultraventennale esercitato. Al riguardo, va escluso che la
esistenza o meno del possesso utile ad usucapionem non potesse essere
preso in considerazione dalla Corte di appello per non essere stato
invocato espressamente dalla parte istante a sostegno del proprie
ragioni. Anche volendo prescindere dal rilevare che la denuncia
formulata con il ricorso avrebbe dovuto avere oggetto la violazione di
norme processuali ( artt. 112 e 360 n. 4 mentre è stata dedotto il vizio
di motivazione e la violazione di norme sostanziali), la questione è
manifestamente infondata, tenuto conto che nella specie è stata proposta
azione di rivendicazione del diritto di proprietà ovvero domanda avente
a oggetto un diritto assoluto e, come tale, appartenente alla categoria
dei diritti autodeterminasti, che si identificano in base alla sola
indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la
fonte , di guisa che, da un lato, l’attore può mutare titolo della
domanda senza incorrere nelle preclusioni della modifica della “causa
petendi”, dall’altro, il giudice può accogliere il “petitum” in base ad
un titolo diverso da quello dedotto senza violare il principio della
domanda di cui all’art. 112 cod. proc. civ. ( Cass. 2385/2010;40 /2015).
2.1. – Il secondo motivo censura la sentenza laddove, nell’escludere
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il trasferimento a suo favore del diritto sul bene de quo dal dante

i presupposti dell’ usucapione di cui all’art. 1159 cod. civ., aveva
erroneamente ritenuto che nell’atto di acquisto di essa ricorrente non
si facesse menzione del vano in oggetto, quando tale circostanza si
evinceva dal semplice confronto dei titoli di proprietà delle parti in

risultava dalla descrizione ivi contenuta
2.2. -Il motivo è inammissibile.
Il motivo sollecita l’ esame e l’ interpretazione

dei titoli di

proprietà delle parti, prospettando una rivalutazione degli
accertamenti di fatto riservati al giudice di merito e come tali
insindacabili in sede di legittimità, dovendo qui ricordarsi che
l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di
accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di
fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile
in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per
violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente
indicata in modo da dimostrare – in relazione al contenuto del testo
contrattuale – l’erroneo risultato interpretativo cui per effetto della
predetta violazione è giunta la decisione, chè altrimenti sarebbe stata
con certezza diversa la decisione. Ne consegue che non può trovare
ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della
volontà negoziale operata dal giudice di merito che – come nella specie si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione
degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati: occorre
0
ricordare che per sottrarsi al

sindacato di

legittimità,
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causa ovvero dal numero dei vani dei relativi appartamenti, quale

l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve
essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma
una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una
clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è

dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse
stata privilegiata l’altra (Cass.7500/2007; 24539/2009).
3.1. – Il terzo motivo censura la sentenza impugnata laddove, dando
rilevanza prevalente alle risultanze del procedimento di rilascio
dell’appartamento lodato al Petrignani e al verbale di accesso
dell’ufficiale giudiziario nondhè ad altri elementi presuntivi desunti
dalle deposizioni dei testi indicati dall’attrice, aveva erroneamente
escluso il possesso ventennale utile all’usucapione ordinaria dimostrato
dalla convenuta, posto che non aveva tenuto conto delle dichiarazioni
confessorie al riguardo rese dall’attrice in sede di interrogatorio
formale che, come tali, superano anche le eventuali risultanze
contrastanti della prova; peraltro, le circostanze riferite dall’attrice
avevano trovato conferma nelle deposizioni testimoniali, essendo del
tutto insussistente il presunto contrasto affermato dalla Corte la
quale erroneamente aveva fatto riferimento alle risultanze del verbale
di rilascio.
Formula in seguente quesito di diritto

“se incorra in omessa,

insufficiente e contraddittoria motivazione il Giudice d’appello
che esaminando un punto decisivo della controversia risolva il

contrasto

di deposizioni testimoniali valorizzando elementi presuntivi

non dotati
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consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa

del carattere di gravità, precisione e concordanza”.
3.2.- Il motivo è inammissibile.
AI sensi dell’ art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dall’art. 6 del
d.lgs. n. 40 del 2006, ratione temporis applicabile, i motivi del

inammissibilità (art. 375 n.5 cod. proc. civ.,) dalla formulazione di un
esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art.360 primo comma
n.1),2),3),4) cod. proc. civ.,e qualora il vizio sia denunciato anche
ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun
motivo deve contenere , a pena di inammissibilità, la chiara indicazione
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la
decisione.
Al riguardo va ricordato che, nel caso di violazioni denunciate al sensi
dell’art. 360 n.1),2),3),4) cod. proc. civ., secondo il citato art. 366
bis, il motivo deve concludersi con la separata e specifica formulazione
di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una
logico-giuridica

chiara sintesi

della questione sottoposta al vaglio del giudice di

legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa
od affermativa

che ad esso si dia, discenda in modo univoco

l’accoglimento od il rigetto del gravame

(SU 23732/07): non può,

infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa
implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso né che
esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di
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ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di

diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie,
perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione
tacita della norma di cui a].]. ‘art. 366 bis cod. proc. civ.,secondo cui
è,invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad

questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere
nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al
decreto legislativo n. 40 del 2006,oltre all’effetto deflattivo del
carico pendente, aveva inteso valorizzare,secondo quanto formulato in
maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. l, comma
2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto
delegato soprarichiamato. In tal modo il legislatore si era proposto
l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per
violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui
essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di
diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle
ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità,
inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati.
In effetti,la ratio ispiratrice dell’art. 366 bis cod. proc. civ. era
quella di assicurare pienamente la funzione, del tutto peculiare, del
ricorso per cassazione,che non è solo quella di soddisfare l’interesse
del ricorrente ad una corretta decisione di quella controversia ma anche
di enucleare il corretto principio di diritto applicabile in casi simili.
Pertanto, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.
deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel
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individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la

provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente
assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del
primo. Ne consegue che il quesito deve costituire la chiave di lettura
delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di

quanto tale, suscettibile -come si è detto – di ricevere applicazione in
casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata

(S.U.3519/2008).

Analogamente a quanto è previsto per la formulazione del quesito di
diritto nei casi previsti dall’art.360 primo comma n.1),2),3),4) cod.
proc. civ., nell’ipotesi in cui il vizio sia denunciato ai sensi
dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., la relativa censura deve contenere,
diritto) ,separatamente

un momento di sintesi

(omologo del quesito di

indicato in

del ricorso a ciò specificamente deputata e

una parte

distinta dall’esposizione del motivo, che ne

circoscriva puntualmente i

limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione
del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità ( S.U.20603/07).1n
tal caso,l’illustrazione del motivo deve contenere la indicazione del
fatto controverso

con la precisazione del

vizio del procedimento logico-

giuridico che,incidendo nella erronea ricostruzione del fatto,sia stato
determinante della decisione impugnata. Pertanto,non è sufficiente che il
fatto controverso sia indicato nel motivo o possa desumersi dalla sua
esposizione. La norma aveva evidentemente la finalità di consentire la
verifica che la denuncia sia ricondotta nell’ambito delle attribuzioni
conferite dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.al giudice di legittimità,

rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in

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che deve accertare la correttezza dell’iter logico-giuridico seguito dal
giudice esclusivamente attraverso l’analisi del provvedimento
impugnato,non essendo compito del giudice di legittimità quello di
controllare l’esattezza o la corrispondenza della decisione attraverso

consentiti alla Corte, ad eccezione dei casi in cui essa è anche giudice
del fatto. Si era, così, inteso precludere l’esame di ricorsi che,
stravolgendo il ruolo e la funzione della Corte di Cassazione,
sollecitano al giudice di legittimità un inammissibile riesame del
merito della causa.
Nella specie, in cui è stato censurato con la deduzione del vizio
di cui all’art. 360, n. 5 cod. proc. civ. l’accertamento di fatto
compiuto dai Giudici in merito all’usucapione del bene de quo, sarebbe
stato necessario che il motivo contenesse il momento di sintesi con la
indicazione del fatto controverso
“quesito” formulato

e del vizio di motivazione : il

è inidoneo in quanto è del tutto generico, non

facendo alcun riferimento

ai termini della controversia e alla

motivazione della sentenza impugnata, posto che

avrebbe

dovuto

menzionare le circostanze di fatto emerse dalla istruttoria, non
esaminate o erroneamente dalla sentenza impugnata, in modo da dimostrare
l’errore causalmente determinante della decisione ; in effetti, il
motivo si risolve nella

richiesta di decisione del merito del causa,

sollecitando il riesame e la rivalutazione delle prove raccolte nel
processo.
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RICORSO INCIDENTALE
e

lo

l’esame e la valutazione delle risultanze processuali che non sono

Il Caputo, con l’unico motivo formulato ai sensi dell’art. 36 ° n. 5 cod.
proc. civ., denuncia l’erronea condanna al rimborso delle spese.
Il ricorso è inammissibile in guanto il motivo non conforme alle
prescrizioni di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. , non essendo stato

Il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.
In considerazione della soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi
per la compensazione delle spese della presente fase.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale/ dichiara inammissibile l’incidentale.
Compensa spese
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’il
Il Cons. estensore

Il Pr

2015

formulato il momento di sintesi di cui si è detto .

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