Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 987 del 20/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 987 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

SENTENZA
sul ricorso 7449-2010 proposto da:
VINCI ANNA LAURA VNCNLR55A69H501Y, elettivamente
domiciliata in ROM, VIA C. MIRABELLO 23, presso lo studio
dell’avvocato VELANI PAOLO, che la rappresenta e difende
unitamente agli avvocati LUCIFERO FABRIZIO, FAZZALARI
ELIO giusta procura in atti;

2,cte

– ricorrente –

M55

contro
VINCI FABRIZIO VNCFRZ66DO5D773L, PUCCI ANNA MARIA
PCCNMR37L57H501 O,

VINCI

PIERPAOLO

VNCPPL64H29D773U, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

Data pubblicazione: 20/01/2014

FLAMINIA VECCHIA 732 D, presso lo studio dell’avvocato
BRACCO ENRICO, che li rappresenta e difende giusta procura in
atti;

– controricorrenti –

SANTOVETTI FRANCESCA, SANTOVETTI FEDERICO,
SANTOVETTI FLAMINIA, VINCI ELISABETTA, CELTIBERI
ALFREDO, CELTIBERI PAOLO;

intimati

avverso la sentenza n. 735/2009 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 17/02/2009 R.G.N. 12722/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/10/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIE1 1A SCRIMA;
udito l’Avvocato FABRIZIO LUCIFERO;
udito l’Avvocato ENRICO BRACCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MAURIZIO VELARDI che ha concluso per l’accoglimento del
secondo motivo di ricorso, rigetto del primo e del terzo motivo,
assorbito il quarto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel 1980 Vinci Franco proponeva, davanti al Tribunale di Roma,
azione per il riconoscimento improprio favore del retratto agrario in
relazione all’atto di compravendita con cui Santovetti Fabrizio aveva
venduto a Vinci Luigi un terreno boschivo sito in agro di Rocca Priora.
Il convenuto Vinci Luigi, nel costituirsi in giudizio, eccepiva il difetto
dei presupposti della prelazione agraria e chiamava in causa in garanzia

il suo dante causa che — a suo tempo — aveva escluso l’esistenza di
diritti di prelazione sul fondo in questione.

nonchè contro

Si costituiva il Santovetti che impugnava la domanda e proponeva, a
sua volta, domanda di manleva.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 17352/86, dichiarava il diritto
dell’attore al riscatto del fondo, dichiarava l’avvenuto trasferimento del
relativo diritto di proprietà in favore di Vinci Franco, condannava

50.000.000, condannava genericamente il Santovetti al risarcimento dei
danni in favore di Vinci Luigi per l’evizione e rigettava le domande
proposte dal chiamato in causa.
Avverso tale decisione proponeva appello Vinci Luigi che deduceva la
violazione del contraddittorio nei confronti della moglie Spagnoli
Maria – con cui era in regime di comunione legale dei beni – e,
comunque, l’infondatezza della domanda di riscatto.
Resisteva al gravame Vinci Franco ed interveniva volontariamente nel
giudizio Spagnoli Maria che aderiva alle difese dell’appellante.
La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2065/90 dichiarava la
nullità della sentenza impugnata e dell’intero giudizio di primo grado e
degli atti conseguenti, ivi compreso il sequestro giudiziario disposto nel
corso del giudizio di appello, stante la non integrazione del
contraddittorio nei confronti di Spagnoli Maria in primo grado.
Nel novembre del 1990 il processo veniva riassunto davanti al
Tribunale di Roma da Vinci Franco, il quale chiedeva dichiararsi che il
fondo in questione era escluso dalla comunione legale dei coniugi
Vinci Spagnoli e che, comunque, era avvenuto il trasferimento del
detto bene in suo favore e Condannarsi Vinci Luigi al risarcimento dei
danni – da liquidarsi in separato giudizio – conseguenti alla mancata
menzione nel contratto notarile di compravendita e nel corso del
giudizio davanti al Tribunale del suo stato di coniugato in regime di
comunione legale dei beni.

quest’ultimo al pagamento, in favole di Vinci Luigi, del prezzo di

Non si costituiva il Santovetti.
Si costituivano invece Vinci Luigi e Spagnoli Maria, eccependo che: la
richiesta di accertamento dell’esclusione del bene dalla comunione
legale era domanda nuova e, pertanto, inammissibile; il terreno
rientrava nella comunione legale; l’attore era decaduto, nei confronti

decorso del termine di un anno dalla trascrizione del contratto di
compravendita, con conseguente decadenza anche nei confronti di
Vinci Luigi, trattandosi di comunione senza quote. I predetti convenuti
chiedevano, quindi, previa chiamata in causa del Santovetti, la
declaratoria di decadenza di Vinci Franco da ogni diritto di prelazione
e di riscatto, il rigetto delle domande di questi e, in subordine, che il
Santovetti garantisse Vinci Luigi, ai sensi degli artt. 1476 -1483 c.c., in
relazione al prezzo di j 50.000.000, alla svalutazione monetaria, agli
interessi e ai danni.
Autorizzati dal Giudice i convenuti chiamavano in causa il Santovetti
che si costituiva in giudizio.
Nel 1991, su istanza di Vinci Franco, il G.I. autorizzava il sequestro
giudiziario del terreno in questione.
Il Tribunale di Roma, con sentenza non definitiva n. 16897/95,
rigettava la domanda di Vinci Franco volta all’accertamento
dell’esclusione dell’acquisto del terreno in questione dalla comunione
legale dei beni tra i coniugi Vinci Luigi e Spagnoli Maria, rigettava
l’eccezione di decadenza dall’esercizio del retratto agrario sollevata dai
convenuti e disponeva, con separata ordinanza, la rimessione della
causa sul ruolo istruttorio.
Alla prima udienza successiva alla notifica dell’ordinanza di rimessione
della causa sul ruolo istruttorio si costituivano Pierpaolo e Fabrizio
Vinci nonché Pucci Anna Maria, eredi dell’attore Vinci Franco, nelle
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della Spagnoli, dall’esercizio del diritto di prelazione e riscatto per il

more deceduto, i quali si riportavano alle difese già svolte dal loro
dante causa e facevano riserva di appello.
Anche i convenuti facevano riserva di impugnazione.
Con sentenza definitiva n. 22874/03, il Tribunale di Roma dichiarava il

questione e al conseguente trasferimento di proprietà, con obbligo del
pagamento del prezzo di € 25.8822,84 da parte degli eredi dell’attore ai
convenuti Vinci Luigi e Spagnoli Maria nel termine di tre mesi dal
passaggio in giudicato della sentenza, dichiarava l’obbligo del custode
di consegnare il fondo agli eredi di Vinci Franco con la relativa
documentazione ed accoglieva la domanda di risarcimento dei danni di
da evizione – da liquidarsi in separato giudizio – proposta dai coniugi
Vinci Spagnoli nei confronti del Santovetti.
Avverso sia la sentenza non definiti,-va che quella definitiva del
Tribunale di Roma da ultimo richiamate Vinci Luigi e Spagnoli Maria
proponevano appello, chiédendone la riforma.
Gli appellati Pierpaolo e Fabrizio Vinci e Pucci Anna Maria si
costituivano chiedendo il rigetto del gravame e proponevano a loro
volta appello incidentale.
Si costituivano in giudizio anche Federico, Francesca e Flaminia
Santovetti, eredi di Santovetti Fabrizio, nelle more deceduto,
chiedendo che venisse dichiarata la nullità parziale della sentenza
definitiva, per nullità ed inesistenza della notifica dell’atto di citazione
per chiamata in garanzia nei riguardi del loro dante causa, nella parte in
cui condannava quest’ultimo al risarcimento dei danni da evizione a
favore degli appellanti principali e che venisse dichiarato inammissibile
l’appello principale nella parte in cui veniva chiesta la garanzia del
Santovetti in favore dei coniugi Vinci Spagnoli.

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diritto di Vinci Franco e, quindi, dei suoi eredi al riscatto del fondo in

La Corte di appello di Roma, con sentenza del 17 febbraio 2009, in
parziale accoglimento del’appello principale proposto da Vinci Luigi e
Spagnoli Maria, rigettava la domanda di accertamento del diritto di
riscatto proposta da Vinci Franco con l’atto di citazione in
riassunzione a seguito della sentenza n. 2065/90 della medesima Corte

dell’attore, dichiarava l’inefficacia del sequestro giudiziario concesso
dal G.I. in data 3 luglio 1991 nel corso del giudizio di riassunzione,
disponeva la revoca del custode giudiziario con l’attribuzione agli
appellanti principali di quanto eventualmente risultante dal rendiconto
della gestione e dal libretto di deposito bancario acceso all’ordine del
G.I.; in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto dagli
eredi di Vinci Franco, condannava Vinci Luigi al risarcimento, in
favore di predetti appellanti incidentali, di tutti i danni — da liquidarsi in
separato giudizio — subiti da Vinci Franco e commisurati alla perdita
del beneficio della prelazione del terreno in questione e degli oneri
relativi, dichiarava assorbito l’appello iritidentale proposto dagli eredi
di Santovetti Fabrizio, rigettava nel resto l’appello principale e quello
incidentale degli eredi di Vinci Franco e compensava integralmente tra
le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Nelle more della decisione della Corte di merito il 16 luglio 2005
decedeva Vinci Luigi lasciando eredi la moglie Spagnoli Maria, le figlie
Anna Laura ed Elisabetta Vinci nonché i nipoti ex filia Vinci Fausta,
premorta, Alfredo e Paolo Celtiberi.
In data 3 novembre 2009 decedeva anche Spagnoli Maria, lasciando
eredi le due figlie Anna Laura ed Elisabetta Vinci e i due nipoti Alfredo
e Paolo Celtiberi.
Vinci Anna Laura ha impugnato la sentenza della Corte di merito con
ricorso basato su quattro motivi.
6

e di quella di avvenuto trasferimento del già indicato terreno in favore

Hanno resistito con controricorso Vinci Pierpaolo, Vinci Fabrizio e
Pucci Anna Maria.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE

inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed
abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n.
69 – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza
impugnata (17 febbraio 2009).
2. Con il primo motivo, corredato di idoneo quesito, si denuncia
“Violazione in tema di principi di novità della domanda nel giudizio di
riassunzione. Artt. 354 c.p.c. e 183 c.p.c. con riferimento all’art. 360
c.p.c. n. 3”.
Rappresenta la ricorrente che, nel riassumere il giudizio dinanzi al
Tribunale capitolino a seguito della sentenza della Corte di appello di
Roma n. 2695/90, che aveva dichiarato la nullità della sentenza e
dell’intero giudizio di primo grado per mancata integrazione del
contraddittorio nei confronti di Spagnoli Maria ed aveva disposto la
rimessione del giudizio al predetto Tribunale, Vinci Franco aveva
introdotto per la prima volta, seppure in via subordinata
all’accertamento del suo diritto al retratto agrario, la domanda di
risarcimento di pretesi danni che avrebbe subito in conseguenza del
mancato tempestivo esercizio della prelazione agraria per fatto di Vinci
Luigi.
Assume altresì la ricorrente che la Corte di merito, avendo accertato
l’inesistenza in capo a Vinci Franco e, quindi, ai suoi eredi, del diritto al
retratto agrario, con la sentenza impugnata in questa sede, ha
condannato Vinci Luigi al risarcimento dei danni – da liquidarsi in
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1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. –

separato giudizio – in favore dei predetti, in quanto il mancato retratto
era conseguente alla omessa dichiarazione da parte dell’acquirente
Vinci, nell’atto di compravendita, dello stato di comunione legale con
la moglie, Spagnoli Maria, senza tener conto dell’inammissibilità per
novità della domanda proposta a tale riguardo solo nella fase di

2.1. Si evidenzia che correttamente la censura andava veicolata
invocando la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. , il che
tuttavia non rende inammissibile la censura, facendosi comunque
valere un vizio della decisione impugnata astrattamente idoneo a
inficiare la pronuncia (Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 29
agosto 2013, n. 19882; Cass. 21 gennaio 2013, n., 1370).
2.2. Il motivo é fondato.
In un procedimento, come quello all’esame, pendente alla data del 30
aprile 1995 – per il quale trovano applicazione le disposizioni degli artt.
183, 184 e 345 c.p.c. nel testo vi gente anteriormente alla novella di cui
alla legge n. 353 del 1990 – l’introduzione di domanda nuova con l’atto
di riassunzione a seguito di sentenza ex art. 354 c.p.c. é inammissibile,
a meno che non vi sia accettazione del contraddittorio al riguardo,
accettazione che, nella specie, non viene neppure allegata.
Si evidenzia che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 22
maggio 1996, n. 4712, hanno affermato il principio, reiterato anche in
sentenze successive di legittimità, secondo cui, con riguardo a
procedimento pendente alla data del 30 aprile 1995, come quello
all’esame – per il quale trovano applicazione le disposizioni degli artt.
183, 184 e 345 c.p.c. civ. nel testo vigente anteriormente alla “novella”
di cui alla legge n. 353 del 1990 (art. 9 D.L. n. 432 del 1995, convertito
nella legge n. 534 del 1995) -, il divieto di introdurre una domanda
nuova nel corso del giudizio di primo grado risulta posto a tutela della
8

riassunzione, con evidente violazione degli artt. 354 e 183 c.p.c..

parte destinataria della domanda; pertanto la violazione di tale divieto che è rilevabile dal giudice anche d’ufficio, non essendo riservata alle
parti l’eccezione di novità della domanda – non è sanzionabile in
presenza di un atteggiamento non oppositorio della parte medesima,
consistente nell’accettazione esplicita del contraddittorio o in un

quest’ultimo fine, l’apprezzamento della concludenza del
comportamento della parte va effettuato dal giudice attraverso una
seria indagine della significatività dello stesso, senza che assuma rilievo
decisivo il semplice protrarsi del difetto di reazione alla domanda
nuova, né potendosi attribuire, qualora questa sia formulata all’udienza
di precisazione delle conclusioni, valore concludente al mero silenzio
della parte contro la quale la domanda è proposta, sia essa presente, o
meno, a detta udienza.
Il principio affermato dalle Sezioni Unite va applicato, a maggior
ragione, anche all’ipotesi, come quella in esame, in cui la domanda
nuova venga proposta in primo grado dopo che il giudice di appello, ai
sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c., ne abbia disposto la rimessione al
primo giudice, atteso che in tal caso l’atto di riassunzione, pur
spiegando una funzione introduttiva, non è equiparabile all’atto di
citazione, in quanto interviene in un procedimento già in precedenza
instaurato (Cass. 6 febbraio 2007, n. 2562; nelle controversie in materia
di lavoro e previdenza, v. Cass. 23 maggio 2013, n. 12719), con la
precisazione che i precedenti richiamati dai controricorrenti (Cass. 20
settembre 1977, n. 4027; Cass. 16 aprile 1991, n. 4045; Cass. 3 ottobre
1997, n. 9671; Cass. 18 gennaio 2006, n 821), cui va aggiunta la più
recente sentenza Cass. 5 gennaio 2011, n. 223, si riferiscono alla
diversa ipotesi di riassunzione della causa dinanzi al giudice dichiarato
competente, in relazione alla quale, peraltro, si segnalano precedenti in
9

comportamento concludente che ne implichi l’accettazione. A

senso conforme all’impostazione qui seguita (Cass. 27 luglio 2006, n.
17097; nelle controversie in materia di lavoro e previdenza, v. Cass. 19
marzo 2008, n. 7392).
2.3. Alla luce di quanto precede la domanda in questione, stante la sua
novità, é inammissibile.

di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. e di affidamento ex artt.
1337 e 1338 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c. n. 3″, la ricorrente
assume che la Corte di merito, nel condannare Vinci Luigi al
risarcimento del danno, sarebbe incorsa in un evidente errore di diritto,
muovendo dall’assunto che la mancata dichiarazione, nel rogito di
compravendita, da parte del predetto, del suo stato di coniuge in
regime di comunione legale dei beni concreti un comportamento
illecito, laddove, invece, come affermato pure nella sentenza
impugnata, é onere del retraente di un fondo rustico verificare
tempestivamente presso i registri immobiliari e dello stato civile
l’eventuale rapporto di coniugio dell’acquirente del fondo e il regime
patrimoniale che lo riguarda, il che escluderebbe ogni obbligo di detto
acquirente in relazione a tale dichiarazione e nessun addebito potrebbe,
quindi, essergli imputato per l’omessa menzione del proprio status di
coniuge in regime di comunione dei beni.
3.1. L’accoglimento del primo motivo assorbe evidentemente l’esame
del secondo motivo del ricorso.
4. Con il terzo motivo, denunciando “Violazione deRl’art]. 336 c.p.c. e
dei principi in tema di onere della prova — art. 2697 c.c. e n. 166 c.p.c.
con riferimento all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c”, la ricorrente censura il
rigetto della domanda risarcitoria proposta da Vinci Luigi e Spagnoli
Maria in relazione ai dànni determinati dal taglio del bosco cui aveva
proceduto, incassando un cospicuo corrispettivo, l’originaria parte
10

3. Con il secondo motivo, lamentando “Violazione dei principi in tema

attrice, allorché, in virtù della sentenza di primo grado, aveva ottenuto
la provvisoria disponibilità del fondo di cui si discute.
Assume la Vinci che, essendo pacifica in causa la circostanza del taglio
del bosco, ammessa ex adverso, la Corte di appello avrebbe dovuto
considerare provato il lamentato danno e procedere, quindi, alla sua

4.1. 11 motivo va disatteso.
4.2. Anzitutto va evidenziato, da un lato, che la violazione delle norme
processuali andava veicolata correttamente con il n. 4 dell’art. 360
c.p.c. e al riguardo si rinvia a quanto già osservato nel paragrafo 2.1., e,
dall’altro, che l’onere del rispetto del principio di autosufficienza del
ricorso per cassazione – valido, oltre che per il vizio di cui all’art. 360,
n. 5, anche per quello di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c. – sussiste pure
quando si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al
thema decidendum, in quanto non contestata (Cass., ord., 23 luglio 2009,
n. 17253), rilevandosi che il ricorso difetta di autosufficienza, in
relazione alle questioni prospettate nel motivo all’esame, posto che la
parte ricorrente, nell’assumere che “le prove del danno … erano agli atti
del giudizio”, si é limitata a far riferimento ad alcuni documenti e alla
comparsa di costituzione dei sigg. Vinci, senza riportare testualmente il
contenuto dei documenti e dell’atto che assume essere stati trascurati o
sostanzialmente non correttamente valutati dal giudice di merito (v.
ricorso p. 17).
4.3. Va poi rilevato che l’unico quesito articolato in relazione al motivo
all’esame é inammissibile.
Ed invero, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito inerente ad una
censura in diritto – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto
di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione
del principio giuridico generale – non può essere meramente generico e
11

liquidazione con l’ausilio di un CTU.

teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la
Corte in grado di poter comprendere, dalla sua sola lettura, l’errore
asseritamene compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne
consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di
accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in

censura così come illustrata nello svolgimento del motivo (Cass. 7
marzo 2012, n. 3530; Cass., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 5659).
In particolare il quesito di diritto deve compendiare la riassuntiva
esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, la
sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice e la
diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta
applicare al caso di specie. La mancanza – come nel caso all’esame anche di una sola di tali indicazioni nel quesito di diritto rende
inammissibile il motivo cui il quesito così formulato sia riferito (Cass.,
ord., 17 luglio 2008, n. 19769; Cass. 30 settembre 2008, n. 24339; Cass.
13 marzo 2013, n. 6286, in motivazione).
4.4. Per quanto riguarda la ricostruzione fattuale, pure censurata ex art.
360, primo comma, n. 5 c.p.c., senza peraltro che la ricorrente abbia al
riguardo formulato il cd. quesito di fatto o momento di sintesi
conformemente ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c.,
nell’interpretazione che di tale norma ha fornito il “diritto vivente” (v.,
p/urimis, Cass. 16 luglio 2007, n. 16002; Cass., sez. un., 10 ottobre
2007, n. 20603; Cass. 18 novembre 2011, n. 24255), questa Corte
ritiene che la motivazione non sia sul punto né incongrua né
contraddittoria, come sostiene invece la Vinci, ma che trattasi di
valutazioni di merito effettuate dalla Corte di appello – che ha, sia pure
sinteticamente, ritenuto sfornite di prova le deduzioni dei coniugi

12

ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della

Vinci Spagnoli al riguardo – incensurabili in questa sede, in cui non può
richiedersi la rivalutazione del materiale probatorio.
Questa Corte ha, infatti, più volte affermato il principio — che va qui
ribadito — secondo cui é inammissibile il motivo di ricorso per
cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per

intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata
dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in
particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante
coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio,
interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di
prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero
convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso
formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione
citata. In caso contrario, infatti; tale motivo di ricorso si risolverebbe in
una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei
convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta
all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura
ed alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 26 marzo 2010, n.
7394).
5. Con il quarto motivo, lamentando “Violazione dei principi di cui agli
art[t]. 91 e 92 c.p.c. in tema di oneri delle spese giudiziali con
riferimento all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c”, la ricorrente si duole che la Corte
di merito abbia disposto là Compensazione integrale delle spese del
doppio grado di giudizio.
5.1. L’accoglimento sia pure parziale (in relazione al primo motivo) del
ricorso assorbe l’esame del quarto motivo, rimanendo travolta la
sentenza della Corte di merito per quanto riguarda le spese.

13

vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., qualora esso

6. Alla luce delle motivazioni che precedono, il ricorso va accolto in
relazione al solo primo motivo.
7. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la sentenza
impugnata va cassata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel
merito, va dichiarata inammissibile la domanda risarcitoria avanzata in

8. Ritiene questa Corte di dover integralmente compensare tra le parti
le spese del presente giudizio di legittimità e dei gradi di merito, ai sensi
dell’art. 92 c.p.c., nella formulazione ratione temporis applicabile,
sussistendo giusti motivi al riguardo, tenuto conto della peculiarità
delle questioni esaminate e del solo parziale accoglimento del ricorso.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta il terzo, assorbiti
il secondo e il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo
nel merito, dichiara inarriMiSsibilè la domanda risarcitoria avanzata in
sede di riassunzione da Vinci Franco; compensa per intero tra le parti
le spese del presente giudizio di legittimità e dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 ottobre 2013.

sede di riassunzione da Vinci Franco.

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