Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 987 del 17/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 17/01/2017, (ud. 18/10/2016, dep.17/01/2017),  n. 987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppe – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10202-2014 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO

PROIA, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 431/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/10/2013 R.G.N. 73/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/10/2016 dal Consigliere Dott. ESPOSITO LUCIA;

udito l’Avvocato SILVESTRI MATTEO per delega Avvocato PROIA

GIAMPIERO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO che ha concluso per inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.Con sentenza del 30 ottobre 2013, la Corte d’appello di Brescia, in accoglimento dell’appello del lavoratore sul punto, riformò parzialmente, limitatamente al capo attinente al risarcimento dei danni, la decisione del giudice di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a L.A. da Poste Italiane s.p.a. con lettera del 12 ottobre 2009, ordinando la reintegrazione del predetto nel posto di lavoro.

2. L’addebito disciplinare consisteva di due parti: nella prima si contestavano al lavoratore cinque episodi, verificatisi tra fine maggio e fine giugno 2009, nei quali costui era stato visto arrivare in ritardo all’ufficio di (OMISSIS), pur risultando la registrazione dell’ingresso in orario precedente presso altro ufficio, mediante timbratura manuale; nella seconda parte la contestazione, avente carattere cumulativo e relativo al periodo gennaio-giugno 2009, riguardava l’aver utilizzato per 72 volte ai fini della rilevazione della presenza il codice speciale (OMISSIS), sostitutivo della timbratura e nell’aver omesso per 25 volte di effettuare la timbratura adducendo anomalie del sistema.

3. Ritenne la Corte territoriale che, con riferimento alle condotte contestate cumulativamente, era risultato dall’istruttoria che effettivamente il computer dell’ufficio non funzionasse correttamente, come poteva evincersi dal fatto che fu successivamente sostituito, tanto da costringere all’utilizzo del codice speciale 031, modalità alla quale ricorrevano, su suggerimento dei superiori, anche i dipendenti di uffici limitrofi; che, inoltre, si trattava di una condotta meramente formale, senza correlata prospettazione di inosservanza dell’orario o altri disservizi. Ritenne, pertanto, di modesta entità l’addebito. Osservò, inoltre, che lo stesso era stato tardivamente contestato, potendo essere rilevato prima del settembre 2009, poichè l’utilizzo del codice 031 veniva annotato dal sistema di rilevamento e un suo uso anomalo era facilmente accertabile. Espresse considerazioni analoghe con rifermento all’addebito relativo alle 25 timbrature giustificate dal lavoratore con anomalie del sistema e con la necessità di ricorso alla procedura di timbratura manuale. Con riferimento all’addebito delle 70 timbrature in uffici diversi da quello di appartenenza, pur rilevando una irregolarità, osservò che erano stati acquisiti elementi confermativi del fatto che, per ragioni connesse alla mono operatività degli uffici situati in zona, non era il solo L. a timbrare in uscita presso uffici diversi dal proprio. Anche a tal ultimo proposito venne rilevata la tardività della contestazione, poichè le Poste avrebbero potuto rendersi conto che le timbrature avvenivano in uffici diversi da quello di appartenenza. Quanto agli episodi contestati singolarmente, ritenne la Corte, alla luce della complessiva valutazione della vicenda, che il licenziamento costituiva sanzione sproporzionata rispetto all’effettiva gravità della condotta, anche alla luce del tenore dell’art. 56 del CCNL che sanziona l’irregolarità, la trascuratezza la negligenza e l’inosservanza di regolamenti o obblighi di servizio allorquando “sia derivato pregiudizio alla sicurezza e alla regolarità di servizio con gravi danni alla società o a terzi o anche gravi danni alle parsone”, elementi non rinvenibili in alcuno degli episodi contestati. Rilevò che a fronte dell’illegittimità del licenziamento per infondatezza degli addebiti non era consentita una limitazione della misura del risarcimento in considerazione di un giudizio di dubbia lealtà circa la condotta contestata. In riforma della sentenza che per ragioni di equità aveva limitato il risarcimento in misura pari a cinque mensilità della retribuzione osservò che l’art. 18 statuto prevedeva la commisurazione dell’indennità risarcitoria alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione.

3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Poste Italiane s.p.a. con tre motivi, illustrati con memoria. Il lavoratore non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va trattato preliminarmente il secondo motivo di ricorso. Con esso la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 56 del CCNL per il personale non dirigente di Poste Italiane S.p.A. dell’11 luglio 2007, nonchè dell’art. 116 c.p.c., (art. 360 c.p.c., n. 3). Osserva che la sentenza è illegittima nella parte in cui ha escluso che la condotta complessivamente posta in essere dal L. potesse essere idonea a legittimare il suo licenziamento. Rileva che, a fronte delle accertate condotte oggetto di contestazione, la Corte territoriale ha ritenuto particolarmente rilevanti sotto il profilo disciplinare esclusivamente l’episodio del 19 giugno e quello della timbratura manuale del 5 giugno, considerando irrilevanti gli altri episodi perchè riconducibili a una prassi irregolare tenuta dai dipendenti degli uffici postali nella zona.

2. Il motivo va disatteso, poichè la critica concerne l’accertamento (insindacabile se sorretto da congrua motivazione: in tal senso, per quanto attiene al giudizio di proporzionalità della sanzione risolutoria, Cass. n. 8293 del 25/5/2012) della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi ritenuti dai giudici del merito inidonei a integrare il giustificato motivo di licenziamento, piuttosto che i parametri di applicazione della norme elastiche attinenti al licenziamento per giustificato motivo e, specificamente, i criteri ermeneutici di applicazione della clausola generale di cui all’art. 1455 c.c.. Va rilevato, altresì, con Cass. Sez. L, Sentenza n. 6848 del 22/03/2010, Rv. 612262, che “In tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso – rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto, e l’inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicchè l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto”.

2. A fronte della ritenuta correttezza della ratio decidendi attinente al giudizio di proporzionalità tra addebito e sanzione, non assume rilevanza la doglianza di cui al primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, nonchè dell’art. 116 c.p.c.. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), con la quale il ricorrente censura la sentenza nel punto in cui ha ritenuto di poter escludere la rilevanza delle mancanze cumulativamente contestate, sul rilievo che le contestazioni sarebbero state tardive, e ciò in quanto si tratterebbe di addebiti che, afferendo a dati documentalmente riscontrabili dal sistema aziendale di rilevamento presenze, avrebbero potuto essere contestati nell’immediatezza dei fatti. Il motivo di doglianza, infatti, non vale a elidere l’altra ratio decidendi posta a sostegno della statuizione, confermata a seguito del rigetto della censura esposta sub 2.

3. La ricorrente deduce, ancora, violazione e falsa applicazione degli artt. 210 e 211 c.p.c., in relazione all’art. 1227 c.c.. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Rileva che, nonostante i giudici del merito abbiano correttamente ritenuto che dal risarcimento del danno deve essere detratto l’aliunde perceptum maturato in dipendenza di nuove occupazioni reperite dal lavoratore dopo il licenziamento, essi avevano omesso, tuttavia, di dare ingresso alle istanze istruttorie di Poste, che aveva chiesto di ordinare al ricorrente ai sensi dell’art. 210 c.p.c., di esibire in giudizio la scheda professionale e tutte le buste paga successive al licenziamento, nonchè all’INPS e all’Agenzia delle Entrate di produrre in giudizio ex art. 211 c.p.c., la documentazione fiscale e gli estratti conto contributivi.

3.2. Va premesso che la censura difetta dell’allegazione dei verbali attinenti alle richieste istruttorie come formulate e ai relativi provvedimenti adottati dal giudice, così come della dimostrazione circa la reiterazione in appello della sollecitazione all’esercizio del potere istruttorio, anche officioso. Ne consegue che non è esperibile alcun sindacato sull’operato dei giudici di merito in ordine alle richieste di esibizione di documenti, in ogni caso non consentite al fine di supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova a carico della parte istante (“In tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che contesti la richiesta risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è onerato, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, della prova dell'”aliunde perceptum” o dell”aliunde percipiendum”, a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall’azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l’onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito” Cass. Sez. L, Sentenza n. 9616 del 12/05/2015, Rv. 635378).

4. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato. Nulla va disposto in ordine alle spese del giudizio di legittimità, in mancanza di espletamento di attività difensiva da parte del L..

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il art. 13.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2017

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