Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9869 del 14/05/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 9869 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: MIGLIUCCI EMILIO

SENTENZA

sul ricorso 22226-2010 proposto da:
FALCHETTI GINA FLCGNI36S41F348X, MANTONI ANTONIO
MNTNTN35C01G089I, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato
SERGIO DEL VECCHIO, rappresentati e difesi dagli
avvocati ANTONELLA FELICI BEDETTI, RANIERI FELICI;

2015
477

ricorrenti

Nonché da:
BUCCI

VINCENZO

BCCVCN28A27D007W,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BANCO DI S. SPIRITO 48,
presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO D’OTTAVI,

Data pubblicazione: 14/05/2015

rappresentato e difeso dall’avvocato EDOARDO MARIA
STECCONI;
– controricorrente e ricorrente

incidentale –

contro
MANTONI ANTONIO MNTNTN35C01G089I, FALCHETTI GINA-

VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato
SERGIO DEL VECCHIO, rappresentati e difesi dagli
avvocati ANTONELLA FELICI BEDETTI, RANIERI FELICI;

controricorrenti al ricorso incidentale

avverso la sentenza n. 11612010 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 05/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/03/2015 dal Consigliere Dott. EMILIO
MIGLIOCCI;
udito l’Avvocato Felici Benedetti Antonella difensore
dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento delle
difese esposte ed in atti;
udito l’Avv. Stecconi Edoardo Maria difensore di Bucci
Vincenzo che ha chiesto l’accoglimento delle difese
esposte ed in atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’inammissibilità, in subordine, il rigetto di
entrambi i ricorsi.

FLCGNI36S41F348X, elettivamente domiciliati in ROMA,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l.- Il tribunale di Ancona rigettava le domande con cui
Vincenzo Bucci aveva chiesto la riduzione in pristino della
costruzione, realizzata dai convenuti Antonio Mantoni e Gina

confine prevista dal regolamento edilizio comunale, e il
conseguente risarcimento del danno.
Secondo il primo giudice trovava applicazione la normativa
regionale che prescriveva il distacco tra fabbricati di metri
tre.
La decisione era riformata, con sentenza dep. il 5 febbraio
2010, dalla Corte di appello di Ancona che, in parziale accoglimento
della domanda, condannava i convenuti al risarcimento del danno
derivante dalla violazione delle distanze prescritte dal regolamento
edilizio comunale.
In primo luogo

era

dichiarato inammissibile l’intervento

spiegato, ex art. 105 cod. proc. civ. dall’attore, il quale aveva
invocato la violazione delle distanze legali da parte della costruzione
dei convenuti anche in relazione a un altro immobile di sua proprietà
sul rilievo che ai sensi della norma citata occorre una soggettività
autonoma e distinta e non era nella specie sufficiente la concorrente
qualità di proprietario dell’attore.
Premesso che non era vincolante nel presente
pronuncia emessa dal Consiglio di Stato
2

giudizio

e avente a

la

oggetto la

legittimità del titolo concessorio in base al quale i convenuti avevano

Falchetti a distanza inferiore a quella di cinque metri dal

edificato, i Giudici ritenevano che la previsione della legge Regione n.
31/1979 consente di costruire a distanza inferiore, facendo peraltro
salvi diritti dei terzi: in tal modo, la liceità civilistica della
edificazione è subordinata al necessario consenso degli aventi
confinanti)

che nella specie era

insussistente.
Posto che la domanda di riduzione in pristino era stata respinta e
che comunque l’attore non sarebbe stato più legittimato a chiederla
avendo nel frattempo

alienato la proprietà dell’immobile de quo, era

esaminata e accolta la richiesta di danni conseguenti alla accertata
illiceità della costruzione: tali danni erano liquidati in via equitativa
e

nell’importo di euro 18.000,00 in considerazione della modesta entità del
í
pregiudizio risentito.

w
2.- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione Antonio
Mantoni e Gina Falchetti sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso l’intimato proponendo ricorso incidentale
affidato a quattro motivi
Le parti hanno depositw4pmemoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va precisato che 1′ art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal decreto
legislativo n. 40 del 2006, si applica ai ricorsi avverso sentenze
pubblicate dal 2 marzo 2006 (e fino all’entrata in vigore della legge n.

2

69 del 2099 che l’ ha abrogato con decorrenza 4 luglio 2009 ) e, quindi,
2

diritto (ovvero i proprietari

non trova applicazione al presente giudizio (la sentenza impugnata è
stata depositata il 5 febbraio 2010)
RICORSO

PRINCIPALE

1.- Il primo motivo denuncia l’erronea interpretazione compiuta dalla

del 1979, laddove non aveva considerato che tale normativa, prevalendo
sulle disposizioni dettate dal d.m. n. 1444 del 1968, rendeva legittima
la costruzione realizzata dai ricorrenti in forza del piano
particolareggiato comunale voluto in esecuzione della legge regionale
che contiene la deroga alle distanze previste dal citate decreto nel
rispetto della normativa codicistica e che è operante anche nei rapporti
e

fra privati.
2.- Il motivo è infondato.
Occorre ricordare che, con ordinanza interlocutoria dep. il 29 dicembre
2011, la Cassazione aveva sollevato d’ufficio questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, secondo comma, della legge regionale Marche
sopramenzionata, in quanto consente ampliamenti di edifici in deroga ai
piani regolatori generali, con l’unico obbligo di mantenere una distanza
minima di tre metri dai fabbricati; in particolare, la norma citata ‘
permette ai Comuni, ai sensi del successivo art. 2, entro un anno dalla
data di entrata in vigore della legge, di individuare gli edifici
suscettibili di ampliamento tra quelli aventi impianto edilizio
preesistente, compresi nelle zone di completamento con destinazione
residenziale previste dagli strumenti urbanistici generali comunali.
Inoltre, l’art. 2, quarto comma, della medesima legge regionale, afferma
3

Corte di appello della normativa di cui alla legge Regione Marche n. 31

che la procedura così delineata, che si conclude con l’approvazione del
Consiglio comunale, ha efficacia di piano particolareggiato.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 6 del 2013, ha dichiarato
l’illegittimità dell’articolo l, secondo coma, della legge della Regione

ai Comuni di derogare alle distanze minime fissate nel d.m. n. 1444 del
1968, senza rispettare le condizioni stabilite dal medesimo decreto
ministeriale affinché la disciplina possa essere fatta rientrare nella
materia concorrente del governo del territorio.
Dopo avere rilevato

i limiti

della competenza

regionale

concorrente con quella dello Stato nella materia in esame, la Corte
Costituzionale ha statuito che : in materia di “governo del territorio”,
alle regioni è consentito, ex art. 117, terzo comma, Cost., di fissare
limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali,
solo a condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di
soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio; l’art. 9
del d.m. n. 1444 .del 1968, dotato di “efficacia precettiva e
inderogabile”, prevede che siano fissate distanze inferiori a quelle
stabilite dalla normativa statale, ma solo “nel caso di gruppi di edifici
che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni
convenzionate con previsioni planovolumetriche”; le deroghe
all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono, dunque,
consentite nei limiti ora indicati, se inserite in strumenti urbanistici,
funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate
zone del territorio; la norma regionale censurata infrange i principi
4

Marche n. 31 del 1979), poiché la norma regionale consente espressamente

-

sopra ricordati, in quanto consente espressamente ai Comuni di derogare
alle distanze minime fissate nel d.m. n. 1444 del 1968, senza rispettare
le condizioni stabilite dall’art. 9, ultimo comma, del medesimo decreto
ministeriale, secondo cui le deroghe devono essere inserite in appositi

governo del territorio, autorizzando i Comuni ad “individuare gli
edifici” dispensati dal rispetto delle distanze minime; la deroga non
risulta, dunque, ancorata all’esigenza di realizzare la conformazione
omogenea dell’assetto urbanistico di una determinata zona, ma può
riguardare singole costruzioni, anche individualmente considerate.
Quindi, i Giudici delle leggi ritenevano che :

“la procedura delineata

dal legislatore regionale non è dunque conforme ai principi

sopra

enunciati, ne’ il vizio può ritenersi insussistente in ragione dell’art.
2, quarto comma, della legge regionale Impugnata, che intende conferire a
tale procedura «efficacia di plano particolareggiato», ex lege. Anzi,
attraverso tale autoqualificazione, il legislatore regionale pretende di
attribuire gli effetti tipici degli strumenti urbanistici a un
procedimento che non ne rispecchia la sostanza e le finalità.
L’attribuzione, per via legislativa, della qualifica formale

di piano

particolareggiato ad una procedura che del piano urbanistico non ha le
caratteristiche, perché permette di derogare caso per caso alle regole
sulle distanze

tra edifici,

non

offre

alcuna garanzia che la legge

regionale persegua quelle finalità pubbliche di governo del territorio
che, sole, possono giustificare l’esercizio di una competenza legislativa
regionale in un ambito strettamente connesso alla competenza statale in
5

strumenti urbanistici, a garanzia dell’interesse pubblico relativo al

materia di «ordinamento civile”. Pertanto, il mancato rispetto di dette
condizioni comportava la violazione della competenza legislativa statale
in materia ordinamento civile.
Ciò posto, va considerato che il piano particolareggiato o di

metri tre dai fabbricati, al quale hanno fatto riferimento i ricorrenti,
era stato approvato dal Comune di Senigallia in virtù di quanto
consentito dalla normativa della legge regionale, dichiarata illegittima:
del resto, gli stessi ricorrenti avevano dedotto, anche a sostegno del
ricorso per cassazione, la legittimità della concessione in base alla
quale avevano edificato, sul rilievo che la normativa regionale poteva
derogare alle disposizioni di cui al decreto ministeriale n. 1444 in tema
di distanze tra fabbricati.

Orbene, per effetto della declaratoria di incostituzionalità della
citata norma, che è ormai espunta dall’ordinamento, è da considerare
illegittimo il piano particolareggiato o di recupero, al quale hanno
fatto riferimento i ricorrenti laddove lo stesso consentiva di costruire
a una distanza inferiore a quella prescritta dal regolamento comunale,
dovendo qui ricordarsi Che i piani particolareggiati e quelli di
recupero urbano hanno la funzione di attuazione

delle disposizioni

relative alla pianificazione dell’assetto del territorio contenute negli
strumenti urbanistici generali, ai quali in ogni caso devono
uniformarsi. Ne consegue Che, non trovando più applicazione la norma
regionale, la fattispecie de qua è regolata esclusivamente da quella
regolamentare (integrativa della disciplina codicistica ex art. 873
6

il

recupero urbano, che prevedeva la possibilità di costruire a distanza di

cod. civ.) in base alla quale

i Giudici di appello hanno correttamente

deciso la questione relativa alla illiceità della costruzione de qua,
ritenendo vigente la prescrizione della distanza dal confine di metri
cinque di cui al regolamento edilizio comunale.

condotta posta in essere dai convenuti e fonte di risarcimento dei danni,
la sentenza impugnata non aveva tenuto conto della efficacia preclusiva,
ex art. 2909 cod. civ., del giudicato formatosi fra le parti, costituito
dalla sentenza del Consiglio di Stato che aveva ritenuto la
legittimità della concessione edilizia, legittimità che andava
riconosciuta anche nei confronti dei diritti dei terzi, non potendo tale
atto essere fonte di danno ingiusto suscettibile di essere risarcito.
2.2.- Il motivo è infondato.
La pronuncia del giudice amministrativo, investito della domanda
di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire
(che vengono rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi), ha a oggetto
il controllo di legittimità dell’esercizio del potere da parte della P.Aovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al
rapporto fra 11 privato e la P.A.; è, invece, devoluto al giudice
ordinario il sindacato sulla lesione del diritto di proprietà,
determinata dalla costruzione realizzata in violazione della normativa
che è dettata in tema di distanze legali a tutela non solo di interessi
generali ma anche della posizione soggettiva del privato ( art. 873 cod.
civ. ) : tale profilo, estraneo alla cognizione del giudice
amministrativo, non potrebbe essere pregiudicato dal pur legittimo
7

2.1.- Il secondo motivo denuncia che, nel ritenere illecita la

rilascio del provvedimento concessorio. Pertanto, correttamente, la
sentenza impugnata ha escluso la efficacia di giudicato nel presente
giudizio della decisione del Consiglio di Stato invocata dai convenuti.
3.1.- Il terzo motivo censura la sentenza che aveva proceduto alla

ovvero la prova dell’esistenza del danno medesimo.
3.2.- Il motivo è infondato.
Secondo

il

legittimità,
dell’immobile

consolidato orientamento della
il danno

giurisprudenza di

conseguente alla diminuzione di godimento

determinato dalla violazione della distanze nella

costruzione da parte del confinante è in re ipsa, determinando una
presunzione della esistenza del danno senza che occorra al riguardo
una specifica attività probatoria.
Pertanto, il ricorso principale va rigettato.
RICORSO INCIDENTALE
1.- Il

primo motivo, nel censurare la decisione nella parte in cui

aveva determinato il , risarcimento nella misura di euro 18.000, denuncia
l’omesso esame della perizia giurata, redatta dal tecnico che aveva
descritto e quantificato il danno derivante dalla illegittima costruzione
edificata dai convenuti in contrasto con quanto consentito dalla legge
Regione

Marche e a distanza inferiore a quella prescritta dal

regolamento comunale ; il che aveva reso necessario
edificasse

che l’attore

a sua volta mantenendosi a 7 metri dal confine con

pregiudizio conseguente al minor valore di mercato del manufatto.
2.- Il secondo motivo denuncia che la sentenza aveva omesso di motivare
8

liquidazione equitativa del danno pur non sussistendo il presupposto

f/111-

in ordine alle osservazioni e ai rilievi del consulente di parte,
incaricato dal Bucci, formulati nei confronti della consulenza tecnica
di ufficio, che non aveva tenuto conto di quanto era stato
rappresentato nella tavola grafica comprovante la violazione da parte

Bucci che aveva dovuto costruire a metri 7 dal confine.
3.- Il terzo motivo censura la sentenza la quale immotivatamente non
aveva accolto la richiesta di consulenza tecnico di ufficio formulata per
la quantificazione dei danni per la violazione delle distanze in termini
di diminuzione di visuale, amenità, tranquillità e soleggiamento; tenuto
conto che in tal caso il danno è
e

in re ipsa,

i Giudici non avrebbero

potuto procedere alla liquidazione equitativa del danno ma avrebbero
dovuto ammettere la chiesta la consulenza.
4.- I motivi – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati

dei convenuti delle distanze prescritte e il pregiudizio risentito dal

p./

congiuntamente – vanno disattesi
Dopo avere ritenuto, come già detto, la illegittimità della costruzione

realizzata dal convenuti in violazione delle maggiori distanze prescritte
dal regolamento comunale, la sentenza ha affermato che il maggior
danno per la diminuzione del valore commerciale del bene non fosse stato
nemmeno allegato, non essendo stati prospettati í fattori costitutivi;

era comunque escluso che fosse possibile alcun diverso utilizzo
dell’immobile, mentre modesta doveva considerarsi la diminuzione di
visuale, tenuto conto della distanza esistente fra le costruzioni.
Ciò posto, le censure difettano di autosufficienza laddove :a) il
ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di avere con i motivi di appello
9

- riportandone il contenuto – evidenziato i fatti costitutivi

del

pregiudizio in concreto risentito, richiamando gli elementi probatori
ai quali ha fatto riferimento nel ricorso per cessazione; b) non
riportano i passi salienti della consulenza tecnica di ufficio, alla

vero che l’acritica adesione alle conclusioni della consulenza può
integrare il vizio di inadeguata motivazione, il ricorrente deve non
soltanto allegare i presunti errori ma dimostrare la decisività di tali
errori in modo da offrire la certezza che il risultato dell’accertamento
sarebbe stato diverso.
Correttamente i Giudici

hanno quindi ritenuto che, in assenza di

specifici elementi offerti, doveva procedersi a una liquidazione
equitativa del danno, che è stato determinato con motivazione immune da
vizi logici o giuridici.
5.1.- Il quarto motivo censura la declaratoria di inammissibilità
dell’intervento formulato dall’attore, deducendo che erroneamente era
stata ritenuta necessaria a tal fine una soggettività autonoma e
distinta e non sufficiente la concorrente qualità di proprietario
perché altrimenti si verrebbe a creare una ingiustificata disparità di
trattamento fra i proprietari dell’edificio realizzato sul terreno già
di proprietà del Bucci e il medesimo ricorrente il quale, pur nella
stessa posizione giuridica di acquirente di altro appartamento, non
sarebbe legittimato a intervenire.
5.2.- Il motivo è infondato.
La ratio ispiratrice

dell’art. 105

cod. proc.

civ,

è quella di
10

quale pure si fa cenno in sentenza, dovendo qui ricordarsi che, se è

consentire a un soggetto di tutelare l’interesse ad agire in un giudizio
già pendente fra altre persone ed avente a oggetto un rapporto giuridico
connesso con quello di cui l’interventore sia titolare. La
legittimazione all’ intervento nasce proprio dalla circostanza che il

evidentemente estraneo : ne consegue che la esigenza giustificatrice
dell’intervento non è configurabile né in relazione alla posizione
dell’attore che, assumendo l’iniziativa di adire il giudice, determina
e circoscrive irreversibilmente l’ambito del

thema décidendum

né per

quanto riguarda il convenuto, il quale potrà in via riconvenzionale
formulare le domande connesse a quelle dell’attore.
Anche il ricorso incidentale va rigettato.
In considerazione del soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per
la compensazione delle spese della presente fase.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi. Compensa spese
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’I].

2015

terzo, in quanto tale, non è parte di quel giudizio, al quale è

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