Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9866 del 24/04/2010

Cassazione civile sez. II, 24/04/2010, (ud. 30/11/2009, dep. 24/04/2010), n.9866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

O.R., P.O., P.M.,

P.S., la prima anche in proprio e tutti quali eredi

di P.R., elettivamente domiciliati in Roma, Via Eleonora

d’Arborea n. 30, presso lo studio legale Cartoni, rappresentati e

difesi dell’Avv. ANGELONI Angelo, per procura speciale su foglio

congiunto materialmente al ricorso;

– ricorrenti –

contro

P.A.R., P.B., PI.BR., P.

A., tutti in proprio e nella qualità di eredi di Pi.

A., elettivamente domiciliati in Roma, Via Italo Carlo Falbo n.

22, presso lo studio dell’Avv. COLUCCI Angelo, dal quale sono

rappresentati e difesi, le prime due, per procura speciale per atto

notaio Manara di Roma, rep. n. 72477 del 29 gennaio 2009, e gli altri

due per procura speciale per atto notaio Manara di Roma, rep. n. 72

641 del 31 marzo 2009;

– resistenti con procura –

e contro

PI.AN.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4992/06

depositata il 15 novembre 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per i ricorrenti, l’Avvocato Bernardo Cartoni, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

sentito, per i resistenti, l’Avvocato Angelo Colucci, che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, il quale ha così concluso: nulla osserva.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che O.R., P.O., P.M., P.S., la prima anche in proprio e tutti quali eredi di P.R., impugnano per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Roma, depositata il 15 novembre 2006, che, in accoglimento dell’appello incidentale proposto da PI.AN., P.A., P.A.R., P.B. E P. B., ha dichiarato che il locale sottotetto sovrastante l’appartamento di M.E., sito in (OMISSIS), fa parte del predetto appartamento;

Che P.A.R., P.B., PI.BR., P. A. hanno depositato procura; PI.AN. non ha svolto attività difensiva.

che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il precedente relatore designato, nella relazione depositata il 4 maggio 2009, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) rilevato che il primo motivo di ricorso denunzia “Motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria”, censurando la sentenza impugnata per avere compiuto, ai fini dell’accertamento del fatto, un generico richiamo alle risultanze istruttorie e per avere affermato, in stridente contrasto con la documentazione in atti, che il bene conteso non risultava autonomamente censito;

ritenuto che il motivo proposto è manifestamente inammissibile in quanto mira ad introdurre un sindacato sulla valutazione delle prove e la ricostruzione del fatto che costituiscono attività riservate dalla legge al giudice di merito ed in quanto, comunque, la sua formulazione non appare conforme all’orientamento espresso di recente dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 20603 del 2007, secondo cui anche l’enunciazione del motivo che deduce il vizio di motivazione deve contenere un momento di sintesi, omologo al quesito di diritto, che ne circoscriva i limiti in modo da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua inammissibilità;

che il secondo motivo di ricorso denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1 e art. 191 cod. proc. civ.. Motivazione omessa od insufficiente, illogica e contraddittoria”, lamentando che il giudice di merito non abbia preso in considerazione, senza motivare al riguardo, le testimonianze rese dai testi Po. e Pu., laddove hanno riferito circa la possibilità di accedere al locale per cui è causa dall’appartamento degli attuali ricorrenti, ed altresì ignorato l’istanza di condono presentata in data 27.2.1995, la quale dimostrava che all’epoca della compravendita – (OMISSIS) – esisteva una sola soffitta, sicchè sia quest’ultimo documento che i testimoni non potevano che riferirsi al locale in contestazione; si sostiene inoltre che l’accertamento dei fatti compiuto dal giudice di merito si risolve in un’adesione acritica alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e non è sorretto da autonoma motivazione; ritenuto che il motivo è in parte inammissibile per le medesime ragioni esposte in sede di esame del primo motivo, laddove in particolare nuovamente tende ad introdurre un sindacato sulla valutazione delle prove e l’accertamento dei fatti compiuto dal giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità, nonchè infondato, avendo la sentenza de qua fornito una ricostruzione dei fatti di causa coerente e congrua rispetto alle risultanze probatorie evidenziate, motivando il riconoscimento della titolarità del locale alla proprietà M.E. sul presupposto di fatto, accertato dal consulente tecnico, che esso costituiva una mera pertinenza del loro appartamento, e ritenendo le testimonianze assunte irrilevanti atteso che esse, come dimostrato dall’elaborato del consulente, si riferivano ad altra soffitta, mentre eventuali punti di contraddizione tra quanto accertato e gli atti ed i documenti di causa integrano comunque errori di fatto denunziabili con lo speciale rimedio della revocazione”;

che, sulla base di tali argomentazioni il Consigliere delegato ha ritenuto il ricorso infondato;

che i ricorrenti hanno depositato memoria, con la quale hanno contestato la proposta formulata dal consigliere delegato, rilevando come l’art. 366 bis cod. proc. civ., non prevedesse la formulazione di un apposito quesito inerente i vizi di motivazione, ma solo la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;

che, secondo i ricorrenti, con il primo motivo era stato indicato il fatto controverso in relazione al quale la motivazione era contraddittoria, consistente nella esclusione della circostanza dell’autonomo censimento del bene conteso, dal quale la Corte d’appello ha fatto dipendere la natura accessoria del bene stesso rispetto all’appartamento della controparte, ed era stata evidenziata la mancanza di analiticità della motivazione in ordine ai rilievi critici del consulente tecnico di parte;

che, sempre ad avviso dei ricorrenti, con il secondo motivo, lungi dal richiedere una nuova valutazione nel merito, era stata denunciata la violazione di specifiche regole di giudizio;

che il Collegio condivide la proposta del consigliere delegato, di cui sopra, non apparendo le argomentazioni svolte dai ricorrenti idonee ad indurre a diverse conclusioni;

che, in primo luogo, occorre rilevare che gli stessi ricorrenti, nell’evidenziare che il momento di sintesi non era richiesto dal testo dell’art. 366 bis cod. proc. civ, con riferimento al vizio di motivazione, sostanzialmente riconoscono le carenze del ricorso rispetto alle modalità di deduzione del vizio di motivazione, cosi come illustrate dalla giurisprudenza di questa Corte, richiamata nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ.;

che, in secondo luogo, entrambi i motivi di ricorso sollecitano una nuova valutazione delle risultanze istruttorie, diversa da quella operata dalla Corte d’appello nell’esercizio del potere, proprio del giudice del merito, di apprezzare le prove raccolte nel corso del giudizio;

che, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte si è chiarito che “è devoluta al giudice del merito la individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta fra le risultanze istruttorie di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica e ragionevole taluni mezzi di prova e disattendendo altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio e della rilevante consistenza, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato. Di guisa che, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass., n. 9384 del 1995; Cass., n. 10896 del 1998; Cass., n. 6023 del 2000);

che, inoltre, deve qui ribadirsi che “il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza, impugnata a norma dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, deve contenere – in ossequio al disposto dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 4, che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il difetto – la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione d’illogicità, consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Ond’è che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame.

Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito; cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d’aver omesse l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo” (Cass., n. 12052 del 2007);

che, peraltro, con riferimento alla questione principale sollevata dai ricorrenti, concernente la affermazione della Corte d’appello, mutuata da quanto accertato dal consulente tecnico d’ufficio, che il locale sottotetto in contestazione non venne in origine censito autonomamente, il vizio denunciato assume profili revocatori, assumendosi l’errore di fatto del giudice del merito per non avere esaminato il documento allegato alla consulenza tecnica di parte, dal quale sarebbe emerso, in contrario, l’avvenuto accatastamento;

che, quanto al secondo motivo e alla denuncia in esso contenuta di un vizio di violazione di legge, deve poi ribadirsi la non rispondenza del quesito di diritto ai criteri enunciati in proposito dalla giurisprudenza di questa Corte;

che, invero, si è chiarito come la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, debba risolversi in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa o affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (Cass., S.U., n. 23732 del 2007), e come sia inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass., S.U., n. 6420 del 2008);

che a tali criteri non risponde il quesito così formulato dai ricorrenti: “dica l’Ecc.ma Corte se viola il disposto dell’art. 116 c.p.c., comma 1, e art. 191 c.p.c., il Giudice che aderisca alle conclusioni del CTU, disattendendo le testimonianze univocamente nel segno contrario a quanto riferito dal CTU, nonchè disattendendo un atto pubblico di compravendita, senza motivare in ordine a tale dissenso”, trattandosi di quesito che postula in sè un accertamento di fatto, insuscettibile di essere effettuato in sede di legittimità;

che, per il resto, il secondo motivo di ricorso, nella parte in cui denuncia un vizio di motivazione, incorre nelle medesime ragioni di inammissibilità già rilevate in riferimento al primo, risolvendosi esso nella sollecitazione di un riesame delle risultanze istruttorie, e in particolare delle deposizioni testimoniali, già tenute presenti dal giudice di appello allorchè ha esaminato il terzo motivo di gravame, piuttosto che nella evidenziazione di lacune argomentative della sentenza impugnata, la quale risulta al contrario immune dal denunciato vizio motivazionale;

che, in conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in dispositivo tenendo conto del fatto che l’attività difensiva è stata limitata alla partecipazione alla udienza camerale, in assenza di controricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000,00, di cui Euro 900,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2010

 

 

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