Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9865 del 19/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/04/2017, (ud. 23/11/2016, dep.19/04/2017),  n. 9865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI A. Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19141-2013 proposto da:

F.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA CRESCENZIO 58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SAVINA BOMBOI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PO 25-B presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO SANTORI,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2921/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/08/2012 R.G.N. 5604/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2016 dal Consigliere Dott. NEGRI DELLA TORRE PAOLO;

udito l’Avvocato COSSU BRUNO;

udito l’Avvocato FABOZZI RAFFAELE per delega orale Avvocato SANTORI

MAURIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2921/2012, depositata il 25 agosto 2012, la Corte di appello di Roma accoglieva il gravame di RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.A. e, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma, respingeva le domande, con le quali F.C. aveva chiesto che venisse dichiarata la nullità del termine apposto ai sette contratti a tempo determinato stipulati nel periodo 9/10/2002 – 24/5/2005, in forza dei quali aveva collaborato ad altrettanti e diversi programmi televisivi, come “addetta ai costumi di livello 9” del CCL dell’8/6/2000 per i dipendenti RAI.

La Corte riteneva legittimi sia i primi tre contratti a termine, stante l’applicabilità per essi della disposizione di cui D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, che aveva fatto salva l’efficacia transitoria delle clausole dei contratti collettivi stipulate ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, fino alla scadenza dei contratti collettivi stessi; sia i successivi quattro contratti a termine stipulati nel vigore del suddetto decreto legislativo, sul rilievo della infondatezza dell’unica contestazione rivolta agli stessi con il ricorso introduttivo, relativa al divieto di assunzione di lavoratori con contratto a tempo determinato da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, e successive modificazioni (del Dec. n. 368 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d).

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la lavoratrice con unico motivo; la società ha resistito con controricorso.

Con ordinanza della Sezione Sesta, emessa all’udienza del 14 gennaio 2016, è stata disposta la trattazione del ricorso in pubblica udienza.

Risultano depositate memorie di entrambe le parti avanti alla suddetta Sezione nonchè memoria ex art. 378 c.p.c., per la RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.A. e osservazioni in replica alle conclusioni del pubblico ministero nell’interesse della parte ricorrente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo, deducendo la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sull’intento fraudolento che la RAI avrebbe perseguito attraverso la mera reiterazione di contratti a termine, nonostante che la relativa eccezione di nullità fosse stata espressamente riproposta, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., nella memoria difensiva in secondo grado.

Il motivo è infondato.

Si deve premettere che la sentenza impugnata ha escluso la illegittimità di quattro dei sette contratti a termine dedotti in giudizio (e precisamente di quelli all’origine dei rapporti intercorsi fra le parti dal 15/1 al 7/2/2004, dal 18/3 al 12/6/2004, dal 15/10 al 28/12/2004 e dal 7/2 al 24/5/2005) sulla base della ritenuta infondatezza dell’unica contestazione che risultava ritualmente mossa nei loro confronti dalla parte ricorrente e cioè dell’assunto, di per sè implicante l’esame di fatti estranei al campo di indagine proprio dell’allegato intento fraudolento, secondo cui i contratti in questione sarebbero stati stipulati in violazione di quella parte del Dec. n. 368 del 2001, in cui è fatto divieto di ricorrere al contratto a tempo determinato da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4, e successive modificazioni (D.Lgs. n. 368 del 2001 art. 3, comma 1, lett. d).

Tenuto conto di tale statuizione, non oggetto di censura con il presente ricorso (e della statuizione, anch’essa non censurata in questa sede, relativa alla ritenuta legittimità dell’apposizione del termine ai precedenti tre contratti), è da ritenere che la Corte territoriale abbia implicitamente rigettato la ragione di doglianza, già assorbita nella pronuncia di primo grado e ad essa riproposta ex art. 346 c.p.c., avente ad oggetto il comportamento in frode alla legge (art. 1344 c.c.) che la datrice di lavoro avrebbe posto in essere nella fattispecie dedotta e che, in particolare, si sarebbe sostanziato, con abuso della funzione tipica del contratto a termine, nella predisposizione e nel ricorso stabile ad un sistema di assunzioni a tempo determinato di “addetti ai costumi” non in ragione di concrete esigenze connesse a specifici programmi ma per sopperire a ordinarie e gravi carenze di organico.

Come più volte precisato da questa Corte, con orientamento consolidato, “ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia”: Cass. n. 20311/2011; conformi, fra le più recenti, Cass. n. 21612/2013 e Cass. n. 17956/2015.

D’altra parte, è altrettanto consolidato il principio di diritto, secondo il quale “il giudice, in applicazione dell’art. 1344 c.c., è tenuto ad accertare, caso per caso, se l’esercizio della facoltà di assumere a tempo determinato integri una frode alla legge, dovendosi a tal fine considerare il numero di contratti a tempo determinato, l’arco temporale complessivo in cui si sono succeduti e ogni altra circostanza fattuale in atti” (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 59/2015): e cioè una pluralità di elementi di fatto che, peraltro, non risulta siano stati dedotti dalla parte ricorrente (che ne aveva l’onere: Cass. n. 4690/1983), non essendo sufficiente e idonea – alla stregua del criterio di ampia e articolata ricostruzione della fattispecie posto dal richiamato orientamento, quale presupposto per l’affermazione, pur a fronte di termini legittimamente apposti, di una chiara finalità fraudolenta – la mera reiterazione di contratti a tempo determinato (nella specie, anche numericamente ridotti, in conseguenza dell’accertamento operato dalla Corte territoriale) e l’allegazione di circostanze (come l’esistenza di squilibri quantitativi tra personale assunto con contratto a tempo indeterminato e personale a termine) riferite a taluni periodi iscritti nell’ambito di uno (il primo) dei tre rapporti residui oggettivamente valutabili ai fini in esame.

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2017

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