Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 986 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. I, 20/01/2021, (ud. 26/10/2020, dep. 20/01/2021), n.986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 890/2016 proposto da:

Alitalia Servizi S.p.a. in Amministrazione Straordinaria, in persona

dei commissari straordinari pro tempore, elettivamente domiciliata

in Roma, Via Gian Giacomo Porro n. 15, presso lo studio

dell’avvocato Santosuosso Daniele Umberto, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

Contro

G.B., elettivamente domiciliato in Roma, Via Antonio

Chinotto n. 1, presso lo studio dell’avvocato Minucci Stefano, che

lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

-controricorrente –

avverso il decreto n. 813/2015 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

27/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/10/2020 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto depositato in data 9.11.2015 il Tribunale di Roma, in accoglimento dell’opposizione proposta da G.B. avverso il decreto con cui il G.D. aveva rigettato in toto la sua istanza di insinuazione al passivo della Alitalia Servizi s.p.a. in Amministrazione Straordinaria, ha ammesso il G. medesimo allo stato passivo della procedura in oggetto per la somma di Euro 134.145,00 in prededuzione e con il privilegio ex art. 2751 c.c., oltre accessori di legge, a titolo di indennità supplementare.

Il Tribunale di Roma ha riconosciuto al G. la predetta indennità, in primo luogo, sul rilievo che era risultata pacifica in causa l’applicazione al rapporto di lavoro controverso dell’Accordo interconfederale del 27 aprile 1995 stipulato tra la Confindustria, l’Associazione Sindacale Intersind e la Federazione Nazionale Dirigenti Aziende Industriali. Inoltre, il giudice di merito ha osservato che, affinchè il dirigente di azienda industriale possa beneficiare dell’indennità supplementare al trattamento di fine rapporto prevista dal predetto accordo, se da un lato, è necessario che – come nel caso di specie – la soppressione del posto di lavoro sia la naturale e diretta conseguenza dovuta alla crisi aziendale, dall’altro, non è prevista la prova dello stato di disoccupazione del dirigente.

In ordine alla collocazione dell’emolumento richiesto, il Tribunale di Roma ha affermato che nel momento in cui la procedura di amministrazione straordinaria sceglie di proseguire il rapporto di lavoro, e non licenziare immediatamente il dirigente, tutti i crediti da quest’ultimo maturati devono ritenersi sorti in funzione della continuità aziendale, e devono quindi collocarsi in prededuzione, senza che sia dato distinguere tra quelli aventi maggiore o minore funzione retributiva piuttosto che indennitaria.

Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso l’Alitalia Linee Aeree Italiane s.p.a. in Amministrazione Straordinaria affidandolo a otto motivi.

G.B. si è costituito in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la procedura ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 e ss. c.c. e dell’art. 12 preleggi in relazione all’Accordo sindacale interconfederale del 27.4.1995.

Lamenta la ricorrente che lo stato di disoccupazione è requisito imprescindibile per poter beneficiare dell’indennità di cui all’Accordo del 27 aprile 1995, atteso che la finalità dell’indennità in questione non è quella di ristorare il dirigente delle conseguenze di un provvedimento illegittimo, bensì indennizzarlo per il fatto che ad un provvedimento che comunque si assume giustificato (la ristrutturazione aziendale conseguente ad uno stato di crisi riconosciuto ufficialmente) consegue il suo status di disoccupato. Nè la circostanza che non vi sia alcun atto integrativo o interpretativo dell’Accordo che preveda chiaramente la necessaria sussistenza di tale condizione (stato di disoccupazione) è argomento idoneo ad escludere la necessità di tale status, essendo la tipologia ed il contenuto dell’indennità in questione a presupporlo per sua natura.

Ne consegue che, essendo tale status elemento costitutivo della fattispecie, l’onere della prova grava su colui che rivendica il pagamento dell’indennità in oggetto.

Nel caso di specie, il G. non ha fornito una tale prova e non ha quindi diritto all’indennità.

Infine, la procedura richiama precedenti dello stesso Tribunale di Roma che hanno ritenuto necessario, ai fini della spettanza dell’indennità di cui all’Accordo, che il licenziamento da parte dell’impresa in A.S. corrispondesse ad un’effettiva cesura del rapporto di lavoro, con la conseguenza che tale indennità poteva essere riconosciuta solo al dirigente che avesse dimostrato di non essere stato riassunto dal cessionario del complesso o del ramo d’azienda ceduto.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.

Espone la ricorrente che, costituendo la mancata assunzione da parte dell’azienda cessionaria un elemento costitutivo del diritto all’indennità supplementare, il decreto impugnato è errato e deve essere cassato, non avendo il G. fornito una tale prova, a norma dell’art. 2697 c.c., comma 1.

3. I primi due motivi, da esaminarsi unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili.

Va preliminarmente osservato che l’interpretazione di un atto negoziale – tra cui rientrano anche i contratti collettivi nazionali di lavoro – è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa. (Cass. n. 14355/2016; Cass. n. 10554 del 30/04/2010, Cass. n. 22102 del 19/10/2009).

Nel caso di specie, la ricorrente, pur avendo genericamente dedotto nella rubrica del motivo la violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e art. 1363 c.c. e ss., non ha neppure precisato quali eventuali criteri legali di ermeneutica contrattuale avrebbe violato il Tribunale di Roma, limitandosi a prospettare, sulla base della asserita natura dell’indennità in oggetto, una diversa interpretazione dell’Accordo del 27 aprile 1995, il cui contenuto è il seguente:

“In presenza delle specifiche fattispecie di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione ovvero crisi aziendale di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, riconosciute con il decreto del Ministero del lavoro di cui alla L. 19 luglio 1994, n. 451, art. 1, comma 3, nonchè delle situazioni aziendali accertate dal Ministero del lavoro ai sensi della L. 19 dicembre 1984, n. 863, art. 1 l’azienda che risolva il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, motivando il proprio recesso come dovuto alle situazioni sopra indicate, erogherà al dirigente, oltre alle spettanze di fine rapporto, una indennità supplementare al trattamento di fine rapporto pari al corrispettivo del preavviso individuale maturato”.

E’ quindi indiscutibile che l’Alitalia in A.S. non abbia fatto altro che formulare censure di merito, essendosi, in realtà, lamentata non della violazione di una norma di ermeneutica contrattuale, ma dall’interpretazione dell’Accordo fornita dal giudice di merito, dalla stessa non condivisa.

Va, in ogni caso, osservato, che, sul tema in oggetto, questa Corte ha di recente affermato che l’indennità supplementare al trattamento di fine rapporto prevista per i dirigenti di azienda dall’Accordo Interconfederale del 27.4.1995 deve essere riconosciuta al dipendente nel caso in cui il licenziamento sia obiettivamente causato da ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale, rilevando esclusivamente il rapporto di derivazione causale del recesso datoriale rispetto alle fattispecie (di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale) individuate dall’Accordo (Cass. n. 86/2019; Cass. n. 142/2019; Cass. n. 14940/2019).

Anche nella sentenza n. 29735/2018, questa Corte ha confermato la statuizione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto condizioni necessarie e sufficienti, ai fini dell’indennità supplementare “lo stato di crisi aziendale e la conseguente soppressione del posto di lavoro, escludendo espressamente la necessità della prova dello stato di disoccupazione, ed implicitamente quella di non essere (il dipendente) “transitato” in CAI”, precisando poi come non fosse possibile “rinven(ire) nella normativa in questione (ed in particolare nel D.L. n. 347 del 2003, art. 5, comma 2 ter,…) l’onere del dipendente di fornire la prova “negativa” del mancato “passaggio” in CAI, il quale potrebbe semmai rivestire il ruolo di eccezione a carico del datore di lavoro” (in termini la già citata Cass. 14940/2019).

E’ stato quindi ribadito che, in ipotesi di licenziamento intimato dal commissario straordinario della società datoriale in amministrazione straordinaria, il mancato trasferimento del dirigente alle dipendenze del cessionario di cui al D.L. n. 347 del 2003, art. 5, comma 2-ter non rappresenta un elemento costitutivo della domanda di indennità supplementare ai sensi dell’Accordo del 27 aprile 1995, sicchè nessun onere probatorio può addossarsi al riguardo al lavoratore (vedi Cass. n. 3442/2020; in termini Cass., n. 16788/2020, Cass. 16789/2020; Cass. n. 16563/2020).

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, artt. 20 e 52 nonchè della L. Fall., art. 111.

Espone la ricorrente che il credito vantato dall’ing. G. non può essere qualificato come prededucibile, essendo al più assistito dal privilegio, e ciò sul rilievo che una voce stipendiale che – come l’indennità supplementare – non ha carattere retributivo, ma esclusivamente indennitario, non è funzionale alla gestione dell’impresa o del patrimonio del debitore.

5. Il motivo è infondato.

Deve segnalarsi l’orientamento recentemente espresso da questa Corte sul tema in esame (Cass. n. 29735 del 19/11/2018), cui questo Collegio ritiene di dare continuità, secondo cui: “L’indennità supplementare prevista dall’Accordo sulla risoluzione del rapporto di lavoro nei casi di crisi aziendale” allegato al CCNL dei dirigenti aziendali, costituisce – a prescindere dalla sua natura retributiva o indennitaria – un credito da ammettere al passivo in prededuzione L. Fall., ex art. 111, per i dirigenti di imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria che siano cessati dal rapporto di lavoro solo successivamente al provvedimento di ammissione alla procedura, essendo la sua prosecuzione indubitabilmente funzionale alle esigenze di continuazione dell’attività di impresa”.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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