Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 986 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/01/2020, (ud. 29/10/2019, dep. 17/01/2020), n.986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27143/2014 proposto da:

ISTITUTO NAZIONALE DI FISICA NUCLEARE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA,

alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– ricorrente –

contro

O.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 14145/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositate il 08/09/2014 R.G.N. 81/2011.

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 1145 del 2014, accogliendo l’impugnazione proposta da O.F. nei confronti dell’INFN, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Bologna tra le parti, dichiarava il diritto del lavoratore a godere dei benefici della polizza assicurativa INA stipulata nel 1963, e condannava l’Istituto a stipulare in favore del lavoratore la polizza in questione, ed a ricostruire la sua posizione a far tempo dalla data di assunzione.

2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’INFN prospettando tre motivi di impugnazione.

4. Il lavoratore è rimasto intimato.

5. In prossimità dell’adunanza camerale, il ricorrente ha depositato

memoria.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso è cedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, commi 43 e 45, L. n. 70 del 1975, art. 26 e del D.P.R. n. 411 del 1976, art. 46, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente censura l’affermata novità delle questioni con cui aveva dedotto in appello la mancanza di fonti normative o contrattuali circa la satura retributiva del trattamento in questione. Ed infatti, si trattava di riferimenti normativi che il giudice avrebbe dovuto prendere in esame in ragione del principio iura novit curia.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 38 Cost., nonchè della L. n. 70 del 1975, art. 14,D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, comma 9, L. n. 144 del 1999, art. 64, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La mancanza della natura retributiva del diritto di cui si chiedeva il riconoscimento determinava anche la violazione dell’art. 38 Cost., nonchè delle disposizioni sopra richiamate, che avevano disciplinato i trattamenti previdenziali integrativi.

Ed infatti, il trattamento in questione aveva natura previdenziale, ome poteva rilevarsi anche dalla giurisprudenza di legittimità richiamata nello svolgimento del motivo di ricorso.

2. Con il terzo motivo di ricorso è prospettato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra e parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Assume il ricorrente di aver formulato deduzioni, relative alla circostanza della facoltatività della polizza, che avrebbero dovuto essere esaminate qualora fosse stata affermata la natura retributiva della provvidenza in questione.

3. I suddetti motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione, atteso che gli stessi si incentrano sulla natura della provvidenza in questione, previdenziale o retributiva, che costituisce il thema decidendum del giudizio.

4. Tale questione della natura dei versamenti del dato-e di lavoro nei fondi di previdenza complementare per il periodo anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, in cui si inserisce anche la polizza INA (1953) per cui è causa, è stata decisa da questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 4684 del 2015, successiva alla sentenza impugnata, che ha affermato che per il periodo anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, i versamenti del datore di lavoro nei fondi di previdenza complementare – sia che il fondo abbia personalità giuridica autonoma, sia che consista in una gestione separata del datore stesso – hanno natura previdenziale, non retributiva, sicchè non rientrano nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro.

Pertanto, è erronea la statuizione della Corte d’Appello, basata sulla giurisprudenza di questa Corte (è richiamata Cass., n. 3188 del 2012) che vi aveva attribuito natura retributiva, ed è stata disattesa dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 4698 del 2015.

Come si legge nella decisione n. 4684 del 2015 (cui adde, Cass., n. 14758 del 2017), i fondi di previdenza complementare preesistenti a 15 novembre 1992, data di entrata in vigore della citata Legge Delega n. 421 del 1992 (c.d. “Riforma Amato”), attuata con il D.Lgs. n. 124 del 1993, erano generalmente basati sul sistema “a ripartizione” caratterizzata da un meccanismo di bilancio in cui i contributi dei lavoratori attivi venivano utilizzati per pagare le prestazioni ai lavoratori in quiescenza; in sostanza, la contribuzione raccolta fra i lavoratori attivi veniva “ripartita” fra gli aventi diritto sotto forma di prestazioni previdenziali, mancando quindi la corrispondenza fra contribuzione e prestazione, atteso che la prima non incideva sulla misura delle future prestazioni, ma serviva a finanziare le prestazioni in corso. Gli stessi fondi erano normalmente caratterizzati dal regime “a prestazione definita” nel quale la misura della prestazione è determinata in funzione di particolari parametri, e non strettamente connessa all’ammontare dei contributi versati, con la conseguenza che in tali fondi prevale la funzione solidaristica sulla corrispettività individuale.

A tale statuizione si intende dare continuità, pertanto le sentenza di appello va cassata e decidendo nel merito la domanda del lavoratore va rigettata.

In ragione del contrasto giurisprudenziale venutosi a creare e risolto da Cass. S.U., n. 4684 del 2015, devono essere compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda del lavoratore. Compensa tra il lavoratore e l’INFN le spese di giudizio dei gradi di merito e condanna il lavoratore al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4.500,00, per compensi professionali, Euro 200,00, per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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