Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9859 del 05/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 05/05/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 05/05/2011), n.9859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

NOBIL METAL SPA, in persona dell’Amministratore delegato in carica,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA LAZIO 20-C presso lo studio

dell’avvocato COGGIATTI CLAUDIO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato STEFANELLI SILVIA, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 46/2006 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 21/12/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE FERRARA;

udito per il resistente l’Avvocato STEFANELLI SILVIA, che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e

in subordine per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate, con le quali si chiariva definitivamente che la cessione di leghe preziose per l’impiego in odontoiatria era soggetta all’applicazione dell’aliquota IVA agevolata del 4%, in quanto compresa nella previsione del n. 33 della Tabella A, parte 2^, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, la Nobil Meta s.p.a. esercente appunto l’attività di produzione di leghe preziose dentali, il 4.11.2003 presentava al competente Ufficio istanza di rimborso della maggiore imposta versata nel periodo 1 novembre 2001-luglio 2002, per effetto dell’erronea applicazione dell’aliquota ordinaria del 20%, per un importo complessivo di Euro 858.947,00.

Formatosi il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione, la società contribuente lo impugnava dinanzi alla C.T.P. di Torino. In quella sede si costituiva l’Ufficio ed eccepiva l’infondatezza del ricorso per non esser stata seguita la procedura secondo le formalità previste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26 e per non aver provato la società il suo preteso credito con la produzione delle fatture di vendita dei prodotti. Il giudice adito, dopo aver disposto con ordinanza la verifica da parte dell’Ufficio di tutta la documentazione custodita dalla società presso la propria sede, accoglieva il ricorso disponendo l’integrale rimborso della somma richiesta.

Proposto appello dall’Ufficio, che riproponeva le sue iniziali difese, la C.T.R. del Piemonte con sentenza n. 46/33/2006 del 18.12.2006 confermava la decisione impugnata.

Per la cassazione della sentenza di appello, notificata il 7.2.2007, proponeva quindi ricorso l’Agenzia delle Entrate, articolando due motivi, all’accoglimento dei quali si opponeva la società con controricorso e con il successivo deposito di memoria aggiunta.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi articolati la ricorrente, abbandonando ogni contestazione in ordine all’ammissibilità della procedura seguita dalla contribuente, deduce, formulando in proposito appositi quesiti di diritto:

a) La violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver il giudice di appello omesso di pronunciarsi sulla questione relativa alla dedotta assenza di prove in ordine all’ammontare del credito rivendicato dalla contribuente;

b) La violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26 del D.Lgs. n. 46 del 1997, artt. 1 e 2, dell’art. 2697 c.c. e dei principi generali in tema di onere probatorio, per aver il giudice di merito accolto integralmente l’istanza di rimborso della contribuente pur in assenza di idonea prova della corresponsione di maggiori somme a titolo di IVA, per l’esatto complessivo ammontare richiesto in restituzione.

Il ricorso così articolato risulta inammissibile, non tenendo adeguatamente conto degli effettivi contenuti della contestata decisione.

Dall’attenta lettura dell’impugnata sentenza emerge infatti che, riproponendo in sede di gravame l’Ufficio le stesse difese sviluppate già dinanzi alla C.T.P. la definizione della controversia poneva il giudice di appello nuovamente di fronte alla necessità di affrontare le due questioni poste nel precedente grado di giudizio: 1) quella relativa alla prova del credito rivendicato dalla società (conseguente alla differente e minore aliquota del 4% da applicarsi alle cessioni di leghe preziose destinate all’impiego in odontoiatria); 2) e quella relativa all’ammissibilità nel caso di specie della procedura di rimborso D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, in luogo di quella prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, con l’emissione di note di variazione.

Entrambe le suddette questioni devono ritenersi affrontate e risolte dal giudicante, confermandosi quanto in proposito statuito dal primo giudice, come reso evidente anche dall’impostazione grafica della motivazione della sentenza, sintomatica della riferibilità delle argomentazioni ivi svolte distintamente all’una e all’altra delle problematiche poste dall’appellante. E ciò ritenendo la C.T.R. per un verso, al punto 1), attraverso il richiamo, anche ivi contenuto, all’ordinanza (significativamente citata già in narrativa, a conferma dell’importanza attribuitale dal giudice) emessa dalla C.T.P. in data 8.2.2005 nell’esercizio dei poteri istruttori all’epoca previsti dalla L. n. 546 del 1992, art. 7, condivisibile la decisione dei primi giudici di ricavare, evidentemente ex art. 116 c.p.c. dal comportamento dell’Ufficio, la prova del credito, in conseguenza della mancata ottemperanza all’ordine di verifica ; e per altro verso, al punto 2) ammissibile la procedura seguita dalla contribuente, in quanto alternativa a quella prevista dall’art. 26 citato.

Tanto premesso, e considerato altresì che le problematiche relative alla legittimità del potere istruttorio esercitato dal giudice e delle conseguenze trattene, esulano dal presente giudizio, non costituendo oggetto di censura, ne consegue l’inammissibilità del ricorso per effetto della formulazione di quesiti che, per entrambi i motivi, non tengono assolutamente conto della vicenda processuale così come innanzi ricostruita, facendo, all’esito del primo motivo, riferimento ad una pretesa omessa pronuncia del tutto inesistente, e a conclusione del secondo motivo, richiamo alle regole generali e astratte che disciplinano l’onere probatorio in caso di istanza di rimborso, senza minimamente preoccuparsi di aggredire il ragionamento posto dal giudice a sostegno del suo convincimento in ordine al profilo probatorio, tra l’altro in adesione a quanto già in proposito ritenuto dalla C.T.P. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 7.500,00 comprensivi di Euro 200,00 per spese vive, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2011

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