Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9858 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 26/05/2020), n.9858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6961-2017 proposto da:

V.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA, 18, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO IOFFREDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO BORGHETTI;

– ricorrente –

contro

AVIVA ITALIA SPA, in persona dell’Amministratore Delegato,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI MONTE VERDE, 162, presso

lo studio dell’avvocato BARBARA CECCARELLI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIORGIO MARCELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2950/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 23/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. V.E. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 2950/16, del 23 dicembre 2016, della Corte di Appello di Venezia, che – rigettando il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza n. 1554/12, del 1 luglio 2012, del Tribunale di Verona – ha dichiarato prescritto il diritto dell’odierno ricorrente a conseguire dalla società Aviva Italia S.p.a. (d’ora in poi, “Aviva”) l’indennizzo di cui alla polizza infortuni n. 49474628.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di aver subito nella propria abitazione – in data 7 aprile 2007 – un grave infortunio, cadendo e sbattendo il viso sul pavimento, tanto da dover essere sottoposto a numerosi interventi chirurgici. Essendo, tuttavia, titolare della suddetta polizza, con scadenza il 24 marzo 2007, il V. riferisce di aver contattato – per il tramite della propria moglie l’assicuratore Aviva (già Commercial Union Insurance), inviando in data 10 aprile 2007 la denuncia dell’avvenuto sinistro. La compagnia assicuratrice, però, comunicava alla donna – il giorno successivo che la polizza era stata “stornata”.

Fallito ogni tentativo di conseguire in via stragiudiziale il pagamento dell’indennizzo, l’odierno ricorrente, con atto di citazione del 4 luglio 2010, conveniva in giudizio la società Aviva, affinchè fosse condannata a corrispondere l’indennizzo per tutti i danni “patiti e patendi” da esso V. a seguito dell’infortunio occorsogli, nonchè al pagamento della somma di Euro 20.000,00 a titolo di risarcimento per responsabilità da “mala gestio”.

Rigettata dall’adito Tribunale scaligero la domanda, in ragione dell’intervenuta prescrizione ex art. 2952 c.c., comma 2, analogo esito conosceva il giudizio di appello, radicato innanzi alla Corte lagunare con atto dell’8 ottobre 2012. Essa, infatti, confermava la decisione del primo giudice, condividendone il rilievo secondo cui lo stesso V. ebbe ad individuare nel 26 ottobre 2007 – come da certificato prodotto in giudizio e redatto dal suo medico curante – la data di stabilizzazione dei postumi dell’infortunio occorsogli, donde la tardività (anche a voler ritenere operante il termine biennale di prescrizione, introdotto per effetto della modifica dell’art. 2952 c.c., comma 2 operata dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 22, comma 14, convertito con modificazioni in L. 17 dicembre 2012, n. 221) dell’atto di costituzione in mora, risalendo esso al 2 dicembre 2009.

3. Avverso la decisione della Corte di Appello di Venezia ha proposto ricorso per cassazione il V., sulla base di tre motivi.

3.1. Con il primo motivo si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “nullità della sentenza o del procedimento”, e ciò “in relazione alla domanda di risarcimento danni per “mala gestio””, ribadita nel secondo grado di giudizio.

Ci si duole del fatto che la Corte veneziana abbia ravvisato l’esistenza di “un unico articolato motivo di gravame” (sulla prescrizione del diritto all’indennizzo assicurativo, ex art. 2952 c.c., comma 2), laddove l’atto di appello recava tre motivi. In particolare, il secondo di essi investiva il mancato riconoscimento da parte del primo giudice – del risarcimento dei danni da “mala gestio”, pretesa costituente oggetto di un’autonoma domanda che, secondo il ricorrente, avrebbe potuto (o meglio, dovuto) essere decisa indipendentemente dalla statuizione sul diritto all’indennizzo. Di qui, dunque, la dedotta nullità, in ragione dell’omessa pronuncia sul motivo di appello.

3.2. Il secondo motivo ripropone – questa volta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – identica censura, sebbene “sub specie” di “omesso o quantomeno insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo nel giudizio”, e cioè la “valutazione e trattazione dei motivi di appello”, in particolare del secondo.

3.3. Con il terzo motivo è ipotizzata – sempre a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – “omessa o quantomeno insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo nel giudizio”, censurando la “valutazione – soggettiva e non fondata su criteri medico legali – espressa” dalla Corte di appello “in riferimento all’asserita stabilizzazione dei postumi dell’infortunio ed alla mancata sospensione del termine di prescrizione”.

Il ricorrente si duole, in sostanza, del fatto che la sentenza abbia ravvisato la data della stabilizzazione (rilevante ai fini dell’individuazione del “dies a quo” del termine prescrizionale, ex art. 2952 c.c., comma 2) nel 27 ottobre 2007, come da certificato medico prodotto in giudizio dall’odierno ricorrente.

Ad una diversa conclusione, tuttavia, la Corte lagunare sarebbe dovuta pervenire valutando l’ulteriore documentazione prodotta in giudizio da esso V., ed in particolare una serie di certificati redatti – tra l’11 settembre 2012 e l’8 gennaio 2013 – dallo stesso medico curante dell’odierno ricorrente, attestanti la perdurante presenza di postumi dell’incidente domestico dell’aprile 2007, dichiarando anche il sanitario (nel primo di tali documenti) di non essere stato al corrente, in occasione della stesura del certificato del 27 ottobre 2007, degli interventi programmati nei riguardi del proprio paziente. Nega, inoltre, il ricorrente che le due perizie da esso prodotte in giudizio – diversamente da quanto ipotizzato dalla Corte di Appello – attestino l’avvenuta stabilizzazione alla data del 27 ottobre 2007. D’altra parte, anche gli altri interventi (per l’esattezza, due) ai quali lo stesso sarebbe stato sottoposto successivamente a tale data, come quello ulteriore, il sesto complessivo, suggerito all’esito di visita medica del 3 giugno 2016, verrebbero a delineare un quadro del tutto incompatibile con la supposta stabilizzazione, suggerendo, quantomeno, la necessità di dare corso – diversamente da quanto deciso dalla Corte veneziana – ad una CTU medico-legale che potesse individuare in modo oggettivo la durata dei postumi dell’infortunio.

Su tali basi, dunque, si è concluso che la valutazione operata dalla Corte di Appello “non risulta corretta sia sotto il profilo logico-formale e sia sotto il profilo giuridico”.

4. La società Aviva, con controricorso, ha resistito all’avversaria impugnazione, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o infondata.

In punto di fatto, la controricorrente precisa di aver sempre sostenuto – prima ancora che l’intervenuta prescrizione del diritto all’indennizzo assicurativo – l’inesistenza del contratto di assicurazione alla data dell’infortunio, sul rilievo che, in data 1 marzo 2007, le fu comunicato dall’assicurato che, per ragioni di salute, il medesimo avrebbe interrotto l’attività lavorativa di stuccatore, con conseguente richiesta di annullamento della polizza. Disposto, dunque, il successivo 2 marzo l’annullamento, a decorrere dalla data di scadenza annuale (fissata per il 24 marzo), a partire da tale momento – in assenza, ovviamente, del pagamento del premio veniva disposto lo “storno” della polizza.

Per tali ragioni, dunque, essa assume di essersi sempre, motivatamente, opposta al pagamento dell’indennizzo.

Quanto all’avversaria impugnazione, si sottolinea come la Corte di Appello abbia dichiarato “tardiva” la documentazione prodotta in giudizio dall’allora appellante e posta alla base, in particolare, dell’odierno terzo motivo di ricorso. Per il resto, si sottolinea la congruità delle ragioni per le quali il giudice di appello ha ritenuto irrilevanti le comunicazioni verbali e telefoniche – aspetto sul quale l’odierno ricorrente aveva insistito nel proprio atto di gravame (come dallo stesso indicato nella parte espositiva dell’odierno ricorso) intercorse tra il V. e la compagnia assicuratrice, giacchè inidonee, in difetto di forma scritta, ad interrompere il corso della prescrizione.

5. Ha presentato memoria il ricorrente, insistendo nelle proprie argomentazioni e replicando a quelle avversarie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. In via preliminare, deve ritenersi superato ogni dubbio relativo alla procedibilità del ricorso in esame.

7.1. Invero, la notifica, all’odierno ricorrente, della sentenza di appello oggi impugnata risulta essere avvenuta telematica mente, sicchè, nel proporre il presente ricorso, il legale del V. non doveva limitarsi ad attestare – come ha fatto – la conformità della copia analogica (“id est”, cartacea) all’originale digitale del provvedimento. L’attestazione, infatti, avrebbe dovuto investire – pena la possibile improcedibilità del ricorso – anche la relata di notificazione ed il messaggio “PEC”, formalità, quest’ultima, “necessaria, perchè solo di lì si evince il giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6, ord. 22 dicembre 2017, n. 30765, Rv. 647029-01).

Anche la prova di resistenza – ovvero (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 10 luglio 2013, n. 17066) l’accertamento che la notifica del ricorso (nella specie, risalente al 16 marzo 2017) sia avvenuta entro il sessantesimo giorno della pubblicazione della sentenza (nella specie, datata 23 dicembre 2016) – è negativa.

Nondimeno, sul punto, trova applicazione quanto precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 25 marzo 2019, n. 8312, in particolare il punto “sub” b del p. 34), ovvero che in caso di “sentenza impugnata sottoscritta con firma autografa ed inserita nel fascicolo informatico” vale il principio secondo cui “l’equiparazione della copia all’originale consegue comunque dalla non contestazione o dall’asseverazione” (che intervenga entro l’udienza pubblica o l’adunanza camerale).

Il citato arresto delle Sezioni Unite ha, inoltre chiarito che l’applicazione dei “suindicati principi” vale, “a maggior ragione, con riguardo al requisito del deposito della relata attestante la notificazione telematica decisione impugnata” (fr. p. 35, punto 2), ovvero con riferimento alla fattispecie che viene qui in rilievo.

Nella specie nessuna contestazione risulta formulata dalla controricorrente, donde allora il superamento del dubbio relativo all’improcedibilità del ricorso.

8. Ciò detto, il ricorso va rigettato.

8.1. Il primo motivo non è fondato.

8.1.1. Sul punto, occorre muovere dalla constatazione che non si comprende affatto – rispetto ad un’assicurazione contro gli infortuni, qual è la presente – in cosa consista, esattamente, la lamentata “mala gestio”, trattandosi di nozione tipica dell’assicurazione della responsabilità civile auto, che presuppone un rapporto trilaterale assicuratore-assicurato-danneggiato, nel quale quest’ultimo risulta munito di azione diretta verso il primo.

Difatti, è in tale ambito – come ha chiarito questa Corte – che, “con formula tralaticia si continua a definire “mala gestio”” impropria (“trattandosi propriamente di responsabilità da colpevole ritardo”) quella responsabilità che “trova titolo in un comportamento dell’assicuratore ingiustificatamente dilatorio, a fronte della richiesta di liquidazione avanzata dal danneggiato”, laddove, invece la “mala gestio” propria, ovvero quella verso l’assicurato, “trova fondamento nella violazione dell’obbligo dell’assicuratore di comportarsi secondo buona fede o correttezza nell’esecuzione del contratto ai sensi degli artt. 1175-1375 c.c.”, essendo “configurabile non solo nel caso in cui l’assicuratore, avvalendosi del patto di gestione della lite, la gestisca in modo da arrecare pregiudizio all’assicurato, ma anche nell’ipotesi in cui, senza un apprezzabile motivo, rifiuti di gestire la lite e se ne disinteressi in modo da recare pregiudizio allo stesso assicurato”, sul quale, pertanto, viene “a gravare l’onere economico del danno provocato dal colpevole ritardo con cui è stato corrisposto l’indennizzo al danneggiato” (cfr., “ex multis”, in motivazione Cass. Sez. 3, sent. 13 marzo 2013, n. 6291).

Di qui, dunque, la totale estraneità della nozione rispetto ad una relazione bilaterale, qual è tipicamente quella dell’assicurazione contro i danni.

Tuttavia, anche a voler ritenere che l’odierno ricorrente con l’azione proposta – oltre al conseguimento dell’indennizzo previsto dalla polizza contro gli infortuni stipulata con il proprio assicuratore – intendesse ottenere pure il risarcimento del danno da ritardata liquidazione dello stesso (attribuendo tale significato al concetto di “mala gestio”), si dovrebbe, comunque, trarre la conclusione che in nessuna “omessa pronuncia” è incorso il giudice di appello nel non statuire sul motivo di gravame relativo a tale (ulteriore) pretesa.

Difatti, con la conferma della pronuncia del primo giudice che ha dichiarato prescritto il diritto all’indennizzo, nulla la Corte di Appello di Venezia avrebbe dovuto (anzi, potuto) decidere – se non statuire, come fatto, l’assorbimento del motivo – circa la richiesta di risarcimento danni da “mala gestio” come sopra ricostruita.

Pertanto, il presente motivo va rigettato in applicazione del principio secondo cui il “vizio d’omessa pronuncia, configurabile allorchè manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, deve essere escluso, pur in assenza di una specifica argomentazione, in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza” (tra le più recenti, Cass. Sez. Lav., sent. 26 gennaio 2016, n. 1360, Rv. 638317-01).

Ancor più specificamente si è affermato che “quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni” (come, appunto, nel caso in esame), “ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande, l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento”, (Cass. Sez. 1, ord. 12 novembre 2018, n. 28995, Rv. 651580-01).

8.2. Il secondo motivo è, invece, inammissibile.

8.2.1. Esso costituisce riproposizione del precedente, “sub specie” di “omesso esame di un fatto decisivo”, ovvero dei “motivi di appello” – per vero, solo uno, quello sulla presunta “mala gestio” – che non sarebbero stati oggetto di decisione da parte della Corte lagunare.

Trova, pertanto, applicazione il principio secondo cui la “omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicchè, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile” (Cass. Sez. 3, sent. 16 marzo 2017, n. 6835, Rv. 643679-01).

8.3. Il terzo motivo, infine, non è fondato.

8.3.1. Esso, come visto, investe l’apprezzamento che il giudice di appello ha fatto della documentazione agli atti del giudizio, per pervenire alla conclusione della stabilizzazione dei postumi dell’infortunio (e quindi del decorso del “dies a quo” del termine prescrizionale ex art. 2952 c.c., comma 2) in data 26 ottobre 2007, donde la tardività – ai sensi della norma testè richiamata – del primo atto interruttivo della prescrizione del diritto all’indennizzo, risalendo esso al 2 dicembre 2009.

Ad escludere, come detto, la fondatezza del motivo – proposto “sub specie” di “omesso esame di fatto decisivo” – è sufficiente richiamare il principio secondo cui il “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4), – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).

D’altra parte, la riduzione del sindacato sulla motivazione al minimo costituzionale esclude che possano essere formulate censure alla sentenza impugnata sotto il profilo del difetto di motivazione, ormai configurabile solo “quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01).

Infine, è appena il caso di osservare che nel considerare la stabilizzazione dei postumi dell’infortunio, ai fini del decorso della prescrizione del diritto all’indennizzo, la sentenza impugnata si è attenuta al principio, già enunciato da questa Corte, secondo cui, in “tema di assicurazione contro gli infortuni, da cui derivino postumi di invalidità di carattere permanente, il termine di prescrizione del diritto all’indennizzo decorre, ex art. 2952 c.c., comma 2, dal verificarsi dell’evento lesivo previsto dalla polizza e, dunque, dal momento in cui emerga lo stato di invalidità permanente coperto dalla stessa, sicchè l’assicuratore che intenda opporre la prescrizione del diritto fatto valere dall’assicurato ha l’onere di provare non già la data di verificazione del sinistro, ma quella in cui si è manifestato lo stato di invalidità conseguente allo stesso” (Cass. Sez. 6-3, sent. 10 luglio 2013, n. 17066, Rv. 628539-01, in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 22 settembre 2015, n. 18645, Rv. 636810-01), giacchè assume rilievo, nella specie, “non il fatto che l’infortunio indiscutibilmente rientri fra quelli coperti dalla assicurazione, ma che possa ragionevolmente rientrarvi” (Cass. Sez. 3, sent. 18 settembre 2014, n. 19660, Rv. 632853-01).

9. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.

10. A carico del ricorrente sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando Enzo V. a rifondere alla società Aviva Italia S.p.a. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, più spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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